Un disperato bisogno di politica

di Silvia Napoli /
20 Febbraio 2022 /

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L’ultima fatica di Valerio Romitelli, docente e ricercatore appassionato nell’ambito della storia delle dottrine e dei partiti politici, come pure delle metodologie delle scienze sociali, con una spiccata vocazione antropologica, è un libro che suscita sentimenti, aspettative e interrogativi contrastanti, ponendosi da subito come un oggetto di difficile definizione. Già dal titolo,il densissimo volumetto uscito a Natale per i prestigiosi e pensosi tipi di Derive Approdi, ci interroga con la sottintesa propensione alla sfida propria di tutti gli enigmi, che più che di risposte incontrovertibili, abbisognano di scioglimenti complessi, chiamandoci in causa su diverse faccende dirimenti per chi ha soprattutto cara una certa visione di Umanesimo e, naturalmente, di Politica con la maiuscola.

Potremmo intanto cominciare con l’osservare che esso consta di una sorta di parte introduttiva pamphlettistica in cui vengono presentate le questioni che più stanno a cuore all’autore e la sua proposta di lettura della nostra contemporaneità come successione di tre momenti a partire dalla seconda guerra mondiale : ovvero i trent’anni gloriosi, più o meno rispondenti alla fase espansiva del cosiddetto welfare, i trenta ingloriosi della globalizzazione finanziaria e informatica e infine l’epoca del sovranismo che accomunerebbe tutte le più grandi potenze di tutti i continenti, Unione europea compresa, in uno spettro da destra a manca, per usare categorie che il nostro con qualche ragione sembra considerare obsolete o comunque non cosi qualificanti o parlanti. Fase in cui, come recitano le note di copertina, latita il principio universalistico della giustizia sociale. Piuttosto ciò che è universalistico in questo momento è un principio di sperequazione sociale, di palese asimmetria di poteri, di disequilibrio crescente in tutte le sfere dell’umano agire. Una lunga storia, evidentemente, potrebbe obiettare qualcuno, una ciclicità della Storia o del Capitale, potrebbe dire qualcun altro, posto che il Capitale sia ormai una sorta di ultra-corpo invasivo e pervasivo, capace di dominare l’immaginario, impedendoci ogni immaginazione.

In ogni caso qui, la Storia c’è, quasi che, cacciata in qualche modo, o fuggita sua sponte come un’amante volubile dalla porta, abbia a ritornare dal lucernario, a fare un po’ di luce su alcune questioni. Una Storia a dirla tutta, mondiale

Dunque, bisognerà anzitutto andare a declinare, ad interpretare ed elaborare questa fine della storia cui il sottotitolo allude, esattamente come si fa per quelle battute controverse che non sappiamo mai bene collocare tra satira, cabaret, commedia. Del resto, lo stesso buon Karl, ci avvertiva sulle caratteristiche duplici delle occorrenze storiche, che hanno un volto iniziale in tutto credibile e drammatico e, in seguito, si presentano con un risvolto grottesco. Personalmente considero la fine della Storia, una formulazione drammaticamente totalizzante che quasi sempre ha in sé l’esigenza di porre un accento, un allarme su qualche categoria fondante del vivere civile e del pensiero ritenuta in grave pericolo.

La dichiarazione d’intenti della parte introduttiva del libro è dunque di avviare una riflessione politica controcorrente, definita cosi, fondamentalmente per due buoni motivi,ovvero il rifiuto netto dell’economicismo e, aggiungo, del corto raggio d’azione della politica oggi, nonché del suo corto, affannoso respiro, della sua carenza di governance e prospettive e la scelta degli strumenti in tutto filosofico-antropologici per suffragare questa analisi.

In questo senso il titolo vero e proprio, l’Emancipazione a venire, mi pare abbastanza parlante circa l’intenzione dell’autore, di suggerire la visione di un qualcosa letteralmente avanti, oltre, che ancora non c’è, ma che muove e si muove. Dunque siamo ben lungi da una fine,siamo piuttosto consapevoli della necessità di immaginare un processo, forme d’inveramento della giustizia sociale che non potranno più porsi come eventi antagonistici sporadici. Notare bene come venga accuratamente evitata la parola Futuro, con tutto il pesante carico di sovradeterminismo distopico che ormai comporta, per qualificare quella cosa che non è stucchevolmente ed escatologicamente liberazione, ma emancipazione per un recupero, non già dal passato,( altro termine assai poco amato dal nostro), quanto dalla Storia della consapevolezza e dell’affrancamento di tutti i subalterni.

Dunque la storia può ben continuare e se parliamo di recuperi è perché comunque dovremmo finirla con la contemplazione di ciò che si è già logorato sotto i nostri occhi, ovvero la Democrazia di stampo illuminista, come fin qui si è inteso e praticato ed anche una certa idea fondativa e unificante del Lavoro.

Inizia qui in qualche modo il core del volume, ovvero una ricca raccolta di articoli, saggi, lezioni vere e proprie che vengono sistemati entro tre case madri:il Metodo, la Storia e la Politica.

Case madri o casematte, nei confronti delle quali Romitelli pratica la sua rivoluzione culturale, attaccando il quartier generale con coraggio ma, mi sento di dire, con un certo tormento interiore e una generosa capacità di mettersi implicitamente in discussione nello stesso tempo, riconoscendo lucidamente la propria stessa genealogia, i suoi maestri, le sue relazioni né semplici né lineari con le correnti di pensiero e attivismo attraversate:ne sono iconica testimonianza i molti punti interrogativi che caratterizzano i titoli dei diversi paragrafi.

Il fatto è che questo attacco alle convinzioni più semplicistiche e corrive al modo di stare dall’altra parte della barricata, quella giusta, naturalmente anticapitalista e antiliberista non ha nulla di denigratorio, perché parte da un grande e, appunto sofferto sforzo analitico che non risparmia maestri e padri nobili, alcuni dei quali molto amati in tutta evidenza. Romitelli non sente il bisogno di rinnegare niente e nessuno, si prende responsabilità, accettando tutti gli aspetti contraddittori che comporta sempre rielaborare, selezionare, risistemare, riadattare. Il fatto è che, viene chiaramente affermato in vari momenti del libro, c’è bisogno, dopo tanta storia alle spalle, storia segnata spesso dal fallimento, dalla disillusione, dal ridimensionamento, dalla divisione, di mettere maestri ed eventi, i grandi momenti di discontinuità, che definiamo svolte, fasi epocali e che sono in realtà più grandi degli stessi strappi che chiamiamo rivoluzioni, in altra luce, in altra prospettiva. Ma non è questo forse lo statuto proprio della storia, se non quello di essere uno strumento, direi ottico, ora lente di ingrandimento ora cannocchiale, che ci consente di allargare o focalizzare,anche spazialmente, il nostro sguardo?

Cosi come il libro non mostra segni di rancore, animosità o volontà demolitrici, accettando i limiti di ciò che è accaduto ed accade, altrettanto però non suggerisce ricette preconfezionate e non ci dice che dobbiamo tenerci pronti per questa o quella ennesima situazione o evenienza. Hobbes, Marx, Lenin, Gramsci, Althusser, Mao, Foucault, Badiou, spiccano e sfilano tra molti altri pensatori e leader per essere visti in altra angolazione e, di conseguenza vedere noi stessi, gli oppositori del sistema, in modo diverso e affatto consolatorio soprattutto rispetto alla nostra capacità di analisi. Si rivela cosi uno degli aspetti a mio avviso più salienti di questa raccolta di testi, ovvero di costituire senza aver l’aria di esserlo, una sorta di manuale di pensiero critico. Quando si dice “Critica”, si sa, che nel nostro debole ed esangue mondo occidentale, per dirla un po’ tutta alla CCCP di Ferretti, poi si allude sempre alla dialettica hegeliana, croce e delizia. O forse, semplicemente,al limite in un mondo globalizzato, non già, ohimè internazionalista.

Il gioco globale/_internazionale, peraltro, posto sia un gioco e non una posta in gioco, è in realtà, uno dei molteplici fuochi accesi dal libro, ovviamente in un mondo che viaggia, giusto per fare qualche altra citazione pop, “Apre la classe”.

Il pensiero cinese, se non MAO_MAO, come si cantava in un noto film di godardiana memoria, si sa, offre interessanti spunti di filosofia, come dire, circolare, in cui gli opposti divengono non dialettici, bensì complementari e necessari. A questo punto, viene in chiaro che, se, in anni cosi vicini, cosi lontani, si cercava una alleanza tra marxismo e psicoanalisi, ben suggerita da Romitelli, dal maoismo in salsa francese in poi, si è cercata una sintesi invece tra marxismo maoista, strumenti sociologici e antropologici di indagine.

Su questo punto focale, si è scatenata la mia immaginazione connettiva, in realtà, perfettamente antitetica alle acute considerazioni di Romitelli: trovare link e fare reti, sembra quasi un concetto-feticcio della sinistra hype, ma si è dimostrato fallimentare, ove indichi un appiattimento, una omologazione forzosa tra realtà molto diverse. Disconnettere e diversificare, dunque, perché, state connessi, in realtà è la parola d’ordine del sistema stesso, specie con le recenti svolte di capitalismo digitale. Tuttavia, un nesso, come osservavo, il libro lo stabilisce con il modo antropologico di fare inchiesta, sia pure con tutte le riserve del caso.

Le riserve riguardano, qui davvero, specie ora, in emergenza epidemiologica e tra un ‘ondata pandemica e l’altra, i metodi di cosiddetta con-ricerca. In realtà, l’unico luogo possibile della ricerca si situa nella capacità di fare e stimolare inchiesta tra i nuovi i vecchi soggetti più direttamente sofferenti di questo capitalismo globalizzato. La parte più affascinante del libro, per chi scrive, è proprio quella in cui vengono pazientemente illustrate le aporie di metodi pseudo democratici per fare appunto inchiesta, (che di per sé sarebbe concetto da recuperare,) indagine e quant’altro, oppure l’uso disinvolto, aggiungo io, di strumenti psicologici, per ridurre, da sinistra, ebbene si, tutti gli epifenomeni, infine a casi individuali, o comunque di soggettività, giustificate dal salvifico ombrello onnicomprensivo, il fortunato, forse troppo, slogan: Prima le persone.

Si adombra qui, anche se non apertamente trattato tutto il vasto campo da arare della critica alle tematiche universaliste.

Non perché sbagliate da un punto di vista di cittadinanza di diritto, ma perché sempre troppo o troppo poco, rispetto ad una società frantumata, in mutamento profondo e dinamico, o comunque per ora incapaci di essere onnicomprensive dei famosi bisogni… Ma, sarà carente l’analisi dei bisogni, o non piuttosto quella dei soggetti che ne sono portatori?

In questo senso, il multisaggio di Romitelli, in coerenza con ogni saggio efficace nella facoltà di metterci in crisi, ci crea difficoltà criticando lo status di soggettività, perché, sottinteso, fa poi rima facilmente con individualità, mentre, ci avverte, l’esigenza incontrovertibile, sarebbe oggi quella di ritrovare i corpi collettivi, portatori di un disagio, a questo punto ontologico e irriducibile, non adattabile o sottomittibile a quello del Capitale. Il volume cosi stratificato, invita a pensare la difficoltà e la condizione di questi corpi collettivi sfruttati, con la medesima cura e attitudine specifica che si avrebbe da un punto di vista di presa in carico psicologica. Eppure, tutte le forme di buonismo oggi in voga, autentiche Fortezza Bastiani della cosiddetta Sinistra, mostrano la corda rispetto ad un sistema che sembra aver necessariamente previsto, se non incentivato questo processo di attenzione umanitaria, cosi come le forme della ribellione velleitaria antagonista, al capo opposto. Conoscere, studiare e far parlare direttamente i corpi collettivi coinvolti, è un primo passo di implicita emancipazione, per sfuggire a logiche appunto giustapposte, anacronistiche e supponenti. Tutto bene fin qui, ma sarebbe interessante approfondire un discorso sui generi e la riproduzione all’interno di questi corpi collettivi e, ma questo è un merito dei libri che ci interrogano e coinvolgono, sentiamo anche che, i riferimenti alla Scienza, alla Epidemia come paradigma ambientale, sociale, epidemiologico e preventivo irrisolto, alla Techne, meriterebbero non solo un discorso proiettato su molteplici forme di tecnologia e robotica, ma anche sulle tecnologie sociali, oltre la bolla economico finanziaria che comunque rappresentano. Questo, pensando alle funzioni rappresentative, narrative e intercomunicative che rappresentano. Insomma, si attende già, come in tutti i racconti intriganti che lasciano il segno, un seguito a questa storia cosi ben raccontata in diverse tappe salienti e topiche: a partire, per esempio,dal 17,l’ottobre rosso, per poi spiazzare e scontentare certamente alcuni sul 77, letto come conclusione e non novità dal punto di vista del ciclo delle lotte,ma con una dotazione di spunti geopolitici interessanti. Spunti peraltro condivisi, mi pare, da alcuni diretti protagonisti d’epoca, come Boccalone-Palandri, ad esempio, spunti poi non perseguiti nel saggio, sui movimenti no global seguenti ed è un vero peccato.

Per quanto mi riguarda, anche se i due lavori sono ovviamente e per tutti i motivi del mondo incomparabili, non ho potuto fare a meno di leggere in filigrana alcune cose di Romitelli, in parallelo al mastodontico saggio postumo del compianto antropologo anarchico scomparso recentemente a Venezia, già noto come l’autore di quel libro sul Debito nella storia dell’Umanità, ovvero David Graeber, per ora non ancora tradotto in italiano ed editato per i tipi di Penguin con l’accattivante titolo: “The Dawn of Everything”. Sarebbe a dire, l’alba, l’insorgenza di tutto, cioè la nostra Storia di civiltà occidentale, anche in questo caso, letta attraverso diversi esempi antropologici, tutt’altro che bianco-cristiano -occidentali, per arrivare a dimostrare quanto siano banalizzanti letture che vogliono le piccole bande di cacciatori raccoglitori, più egalitarie degli agricoltori stanziali, oppure il medioevo come periodo di decadenza e barbarie, quando invece si affermano anche piccole comunità cooperanti di diverso tipo. E parimenti, viene contestata l’asfissiante dicotomia filosofica tra pessimismo hobbesiano (si, ancora imprescindibilmente lui, per spiegare la necessita della costrizione e punizione in ogni contratto sociale, in funzione pacificatrice e preventiva), e il presuntamente libertario, super pedagogo Rousseau. In realtà, Graeber e il suo socio Wainer in poco più di 700 pagine ci mostrano come se non intercambiabili, sicuramente frutto di pregiudiziali sociali diverse ma complementari i portati dei due filoni filosofici, esattamente come anche oggi filoni insospettabili di opposizione antagonista nascono come risvolti o rovesci della medaglia di filosofie dominanti.

Tornando a noi, grande merito del volume, è, per come la vede la sottoscritta, una attenzione, attualmente molto poco condivisa ai temi e all’epopea del welfare, il famoso, ma direi dimenticato e a torto, trentennio glorioso, molto più importante di quanto sembri, da diversi punti di vista. Romitelli ne fa invece, a dispetto della pelosa smemoratezza main stream, uno snodo centrale, con una interpretazione storica e politica molto particolare, che merita di essere valutata e discussa collettivamente e che intriga, come usa dire con abusata espressione chi, per l’appunto, come la sottoscritta, se ne sta occupando dal punto di vista storico-documentario. Se vi prudesse vaghezza peraltro di interrogare l’autore sui temi dell’intersezionalità cosi in voga, per dirla in maniera frivola, rispetto al quadro complessivamente delineato nel libro, potreste partecipare alla seconda presentazione dello stesso, dopo quella avvenuta presso la sede bolognese di Derive Approdi, in programma presso gli spazi autogestiti di Ex centrale del Latte, uno di quei posti, per l’appunto, in cui si sperimentano forme di militanza in parte alternative a quelle passate, alla ricerca di un delicato equilibrio tra mutualismo e lotta di… classe? Vedremo, se tra spezzoni di lotte vecchie e nuove una nuova composizione sia possibile anche generazionalmente, se non altro nella discussione. L’appuntamento è per venerdì 4 marzo alle h 18, con la sottoscritta,in veste di presentatrice, ovviamente l’autore e, come discussants, Sergio Caserta, del Circolo il Manifesto, Nicolo Cuppini, attivista di ex Centrale e il prof Sandro Mezzadra, docente di Filosofia Politica presso dipartimento Dams ad indirizzo artistico. State collegati ed intervenite numerosi, tra un tributo al compianto Lucio Dalla di cui ricorre il decennale dalla scomparsa e un altro. Potreste scoprire ancora una volta che, pessimismo della Ragione, viene battuto ai punti da ottimismo della Volontà.

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