L’estinzione dei pagamenti dovuti nei Paesi a basso reddito libererebbe risorse per i sistemi sanitari nazionali. Non ci sono più scuse.
Si è conclusa con una decisione all’unanimità la sessione speciale dell’assemblea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), tenutasi dal 29 novembre al primo dicembre 2021, chiamata a decidere sul negoziato di un nuovo trattato pandemico. Dopo due anni di emergenza sanitaria la sfida non banale, in una congiuntura di bassa marea dell’azione multilaterale, è la messa a punto di un nuovo strumento vincolante per adeguare la governance globale della salute alla gestione delle prossime inevitabili pandemie.
L’idea ha origine dalla fantasia del presidente del Consiglio d’Europa, Charles Michel, il quale ha lavorato sodo nel 2021 per incardinare la proposta a Ginevra e per conseguire in poche battute il sostegno incondizionato del direttore generale dell’Oms e di 25 Paesi (“The Friends of the Treaty”), così da conferire all’iniziativa europea un senso di adesione globale.
Sotto l’impalcatura retorica del consenso diplomatico -in molti hanno ribadito che la decisione di questa assemblea speciale segna una pagina storica dell’Oms alla ricerca di nuova legittimazione dopo due anni vissuti pericolosamente- si sono ravvisate nei giorni scorsi crepe assai meno accomodanti. Sono le crepe di realismo dei governi che hanno denunciato le difficoltà in cui si dimenano ancora, nella lotta contro Covid-19, a causa del mancato accesso ai vaccini. Alla fine di novembre 2021, solo il 27% del personale sanitario in Africa ha ricevuto la prima dose di vaccino. Sono le fessure di indignazione dei ministri che hanno ricordato il fallimento della comunità internazionale con il dispositivo Covax, l’incapacità di mantenere la promessa sulle donazioni dei vaccini e la caparbia resistenza contro la moratoria dei diritti di proprietà intellettuale, ferma da un anno all’Organizzazione mondiale del commercio.
Il successo del trattato pandemico ruota intorno alla grande questione del finanziamento dell’Oms e dei sistemi sanitari nei Paesi che sono il solo baluardo possibile contro il contagio. Abbiamo già raccontato come vadano per la maggiore misure di austerità in questa fase della pandemia. Ma non ci sono più scuse, il Covid-19 deve segnare uno spartiacque su ogni ragionamento che riguardi il finanziamento globale della salute. Inutile continuare a inventarsi diavolerie assicurative per finanziarla, occorre stanare le montagne di soldi nascosti.
483 miliardi di dollari si perdono ogni anno in abusi fiscali commessi da multinazionali e “paperoni” vari del Pianeta. Basterebbero per vaccinare contro il Covid-19 tutta la popolazione mondiale più di tre volte, secondo uno studio di Tax Justice Network.
Ogni anno le multinazionali depositano 1,19mila miliardi di dollari di profitti nei paradisi fiscali con una perdita per le finanze pubbliche globali di 321 miliardi di dollari in entrate fiscali dirette. Sono i Paesi dell’Ocse a permettere la gran parte di tali abusi. Agire su questo nodo strutturale è urgente. Così come occorre intervenire sul fatto che i Paesi poveri con i sistemi sanitari più fragili sono guarda caso quelli costretti a pagare il servizio del debito ai Paesi ricchi. Sessantaquattro di essi sono costretti a spendere più per tener buoni i creditori che per investire in salute. Il debito è il loro virus incurabile. Più pagano, più il debito incalza: un peso cresciuto dal 35% al 65% nell’ultimo decennio secondo il Fondo monetario internazionale. La cancellazione del debito è il solo vaccino. L’estinzione dei pagamenti dovuti nel solo 2020 di 76 Paesi libererebbe 40 miliardi di dollari, 300 miliardi se si contasse anche il 2021. Infine occorre attaccare i flussi finanziari illeciti, un’altra voragine che serve ai Paesi del Nord del mondo. Finita la retorica diplomatica, servirà mettere mano a queste ingiustizie. Ne vedremo delle belle.
Si è conclusa con una decisione all’unanimità la sessione speciale dell’assemblea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), tenutasi dal 29 novembre al primo dicembre 2021, chiamata a decidere sul negoziato di un nuovo trattato pandemico. Dopo due anni di emergenza sanitaria la sfida non banale, in una congiuntura di bassa marea dell’azione multilaterale, è la messa a punto di un nuovo strumento vincolante per adeguare la governance globale della salute alla gestione delle prossime inevitabili pandemie.
L’idea ha origine dalla fantasia del presidente del Consiglio d’Europa, Charles Michel, il quale ha lavorato sodo nel 2021 per incardinare la proposta a Ginevra e per conseguire in poche battute il sostegno incondizionato del direttore generale dell’Oms e di 25 Paesi (“The Friends of the Treaty”), così da conferire all’iniziativa europea un senso di adesione globale.
Sotto l’impalcatura retorica del consenso diplomatico -in molti hanno ribadito che la decisione di questa assemblea speciale segna una pagina storica dell’Oms alla ricerca di nuova legittimazione dopo due anni vissuti pericolosamente- si sono ravvisate nei giorni scorsi crepe assai meno accomodanti. Sono le crepe di realismo dei governi che hanno denunciato le difficoltà in cui si dimenano ancora, nella lotta contro Covid-19, a causa del mancato accesso ai vaccini. Alla fine di novembre 2021, solo il 27% del personale sanitario in Africa ha ricevuto la prima dose di vaccino. Sono le fessure di indignazione dei ministri che hanno ricordato il fallimento della comunità internazionale con il dispositivo Covax, l’incapacità di mantenere la promessa sulle donazioni dei vaccini e la caparbia resistenza contro la moratoria dei diritti di proprietà intellettuale, ferma da un anno all’Organizzazione mondiale del commercio.
Il successo del trattato pandemico ruota intorno alla grande questione del finanziamento dell’Oms e dei sistemi sanitari nei Paesi che sono il solo baluardo possibile contro il contagio. Abbiamo già raccontato come vadano per la maggiore misure di austerità in questa fase della pandemia. Ma non ci sono più scuse, il Covid-19 deve segnare uno spartiacque su ogni ragionamento che riguardi il finanziamento globale della salute. Inutile continuare a inventarsi diavolerie assicurative per finanziarla, occorre stanare le montagne di soldi nascosti.
483 miliardi di dollari si perdono ogni anno in abusi fiscali commessi da multinazionali e “paperoni” vari del Pianeta. Basterebbero per vaccinare contro il Covid-19 tutta la popolazione mondiale più di tre volte, secondo uno studio di Tax Justice Network.
Ogni anno le multinazionali depositano 1,19mila miliardi di dollari di profitti nei paradisi fiscali con una perdita per le finanze pubbliche globali di 321 miliardi di dollari in entrate fiscali dirette. Sono i Paesi dell’Ocse a permettere la gran parte di tali abusi. Agire su questo nodo strutturale è urgente. Così come occorre intervenire sul fatto che i Paesi poveri con i sistemi sanitari più fragili sono guarda caso quelli costretti a pagare il servizio del debito ai Paesi ricchi. Sessantaquattro di essi sono costretti a spendere più per tener buoni i creditori che per investire in salute. Il debito è il loro virus incurabile. Più pagano, più il debito incalza: un peso cresciuto dal 35% al 65% nell’ultimo decennio secondo il Fondo monetario internazionale. La cancellazione del debito è il solo vaccino. L’estinzione dei pagamenti dovuti nel solo 2020 di 76 Paesi libererebbe 40 miliardi di dollari, 300 miliardi se si contasse anche il 2021. Infine occorre attaccare i flussi finanziari illeciti, un’altra voragine che serve ai Paesi del Nord del mondo. Finita la retorica diplomatica, servirà mettere mano a queste ingiustizie. Ne vedremo delle belle.
Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 1 gennaio 2021