Quant’è importante Napoli per la politica italiana? E quanto lo è il Sud della nazione? E, per essere ancora più espliciti, le condizioni della terza città italiana sono di qualche interesse per la classe dirigente del Paese? Sono le domande semplici e drammatiche che il nuovo sindaco, Gaetano Manfredi, ha posto nella tavola rotonda con il direttore di questo giornale. Napoli è oggi una città in ginocchio, e lo è da tempo. Ma rispetto al lungo passato in cui si è sempre presentata sulla scena della storia italiana come l’area urbana problematica per eccellenza, oggi lo è in modo del tutto particolare: è la struttura burocratica-amministrativa che è collassata, è la macchina comunale che non è in grado di assolvere ai suoi compiti fondamentali: cioè organizzare ed erogare servizi elementari. In poco più di un decennio i dipendenti comunali sono passati da 12.000 a 4.000, in una città di un milione di abitanti. La percentuale di asili-nido è la più bassa d’Italia, non esistono risorse per la manutenzione ordinaria delle scuole, non c’è personale per mantenere aperto il Maschio Angioino e Castel dell’Ovo, non si può assicurare la cura del verde e la custodia dei parchi pubblici, solo per citare le cose più clamorose. È stata costruita la metropolitana più bella d’Europa ma non ci si può permettere un adeguato numero di treni; si sta per completare una linea metropolitana di superficie e non ci sono i soldi per avviarla. E tutto ciò avviene mentre la tassazione dei cittadini è arrivata a livelli insostenibili per i redditi familiari: Napoli è tra le prime cinque città con le aliquote più alte per i servizi (non) erogati.
Ma, come sempre è avvenuto negli ultimi decenni, è nei periodi economici e sociali peggiori che Napoli si affida ad alcuni dei suoi uomini migliori. È capitato con Maurizio Valenzi dopo l’epidemia di colera del 1973, è avvenuto con Antonio Bassolino dopo la crisi dell’Italsider e i guasti del decennio del post-terremoto del 1980, è successo poche settimane fa con l’elezione plebiscitaria di Gaetano Manfredi, ex rettore della università più grande del Mezzogiorno, un intellettuale del fare, sobrio, antiretorico, poco incline alla scena mediatica, allineando Napoli alle grandi aree metropolitane come Roma e Milano che hanno scelto alla loro guida professori universitari e manager per provare ad uscire dall’angolo in cui si erano cacciate. Dopo aver percorso per 10 anni la strada ribellistica con De Magistris, la città si è affidata di nuovo alla competenza, alla discrezione, a una specie di civismo luterano dei diritti e dei doveri sempre minoritario ma sempre riscoperto nei periodi di massima difficoltà.
Ora la domanda da porsi, senza girarci attorno, è questa: può una grande città come Napoli farcela da sola? Altre grandi città italiane, alle prese con problemi d’identità e di prospettive produttive, hanno utilizzato occasioni e risorse pubbliche per potersi rialzare da momenti delicati della loro storia. Perché ciò non può avvenire per Napoli? E se si guarda in Europa, come si fa ad ignorare che le trasformazioni urbane e produttive di Barcellona e di Berlino sono avvenute a seguito di massicci investimenti pubblici derivanti da strategie nazionali e non locali, grazie alle quali si sono ricollocate al centro delle loro rispettive nazioni? Nessuna città al mondo può uscire dai suoi mali solo con le sue forze. “Aiutati se vuoi essere aiutato” è un precetto giusto: qualsiasi cura deve sempre stimolare energie all’interno del corpo che si vuole curare, ma “alzati e cammina” appartiene alla miracolistica e non alle leggi dell’economia e della politica. Napoli non può rialzarsi da sola.
Il piano nazionale di rinascita e resilienza (Pnrr) destina il 40% delle risorse al Sud, e non lo fa per generosità ma per obbligo: l’Italia ha ottenuto finanziamenti così cospicui perché, in base ai regolamenti europei sulle politiche di coesione, vengono aiutate di più le nazioni che presentano maggiori squilibri territoriali. Quindi, da questo punto di vista, sono state le condizioni arretrate del Sud a consentirci aiuti così rilevanti. Ma per le condizioni disastrose degli enti locali e di alcune regioni meridionali si rischia che i territori più bisognosi di sostegno non saranno in condizione di intercettare le risorse a loro destinate e a spenderle. Napoli è l’emblema di questa paradossale situazione. Si può accettare tutto ciò? E l’economia italiana quali benefici duraturi ne riceverà se Napoli e il Sud resteranno nelle condizioni di oggi? Non possiamo più permetterci di essere una nazione a metà.
Le proposte di Manfredi sono, certo, da discutere per verificarne la fattibilità, ma è indubbio che il sindaco di Napoli sta parlando di una cosa seria e sta parlando a nome di un territorio, il Sud, che è il 40% del Paese.
Questo articolo è stato pubblicato su La Repubblica Napoli il 3 novembre 2021