Pandora Papers, l’inchiesta realizzata dal consorzio di giornalismo investigativo Icij, di cui fa parte anche L’Espresso, ha svelato i tesori nascosti di leader mondiali, politici e vip. Nonostante siano usciti solo i primi nomi, i documenti hanno già iniziato a scuotere il panorama internazionale.
Il presidente cileno Sebastián Piñera rischia l’impeachment dopo le rivelazioni contenute nei Pandora Papers. I deputati dell’opposizione, con l’obiettivo di chiarificare le responsabilità del presidente, si preparano a presentare un’accusa parlamentare che potrebbe portare alla sua rimozione, a sei settimane dal primo turno delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 21 novembre. Anche la procura del Cile ha ordinato un’indagine separata sulla vicenda.
Secondo quanto rivelato dall’inchiesta Piñera, liberista di destra, in carica – al secondo mandato – dal 2018, ha gestito affari per centinaia di milioni di dollari tramite aziende con sede nelle Isole Vergini britanniche, dove non esistono tasse sui redditi personali né sui profitti aziendali e nel 2010 ha utilizzato una di queste offshore per vendere, per 140 milioni di dollari, una parte di una compagnia mineraria cilena a un imprenditore amico, a sua volta nascosto dietro un’altra società registrata nelle Isole Vergini.
Per il primo ministro della Repubblica Ceca Andrej Babiš, alla guida di un governo populista di destra, le rivelazioni dei Pandora Papers sono solo un modo per screditare la sua campagna elettorale e influenzare le elezioni parlamentari che si terranno i prossimi otto e nove ottobre. Babiš – già in difficoltà visto che il suo partito Ano, secondo gli ultimi sondaggi, otterrà risultati ben inferiori a quelli del 2017 – è accusato di non aver rivelato una serie di società di comodo utilizzate per acquistare una villa di lusso in Costa Azzurra, nota come “Chateau Bigaud”, per 22 milioni di dollari. Babiš ha negato di aver fatto qualcosa di sbagliato o illegale: «Ho pagato tutte le tasse. Questo è assurdo». La polizia nazionale ceca, invece, ha affermato che condurrà indagini sulla base delle informazioni contenute nei Pandora Papers, «non solo per quanto riguarda il primo ministro ma anche per tutti i cittadini della Repubblica ceca».
Wopke Hoekstra, ministro delle Finanze olandese, ha fatto dell’austerity un mantra, cercando anche di bloccare il Recovery Fund e chiedendo all’Unione europea un’indagine sui conti dell’Italia, in piena crisi pandemica. Per poi finire al centro dell’inchiesta sulle società offshore. Nel caso di Hoekstra, alle Isole Vergini britanniche.
Il suo coinvolgimento non è passato inosservato. Poco dopo le rivelazioni di Icij e L’Espresso, il cinque ottobre, l’Ue aggiorna la lista di quelli che considera paradisi fiscali. Rimuovendo le Seychelles e le isole caraibiche Anguilla e Dominica dall’elenco delle giurisdizioni che non cooperano sul piano fiscale. Il documento conferma stati come Samoa americana, Figi, Guam, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane e Vanuatu. Eppure, ricorda l’eurodeputato olandese di centro sinistra Paul Tang, mancano «grandi Paesi offshore che fanno affari con riciclaggio e evasione delle tasse». Tra cui proprio le Isole Vergini britanniche, l’angolo fortunato di Hoekstra.
Anche l’eurodeputata socialista francese Aurore Lalucq la pensa così: «Alcuni non sono nemmeno elencati dall’Ue», dice. Per questo motivo, Lalucq ha redatto una risoluzione che verrà votata dalla plenaria dell’Eurocamera giovedì sette ottobre.
Proprio il ministro delle Finanze olandese è responsabile dell’approvazione dell’elenco dei paradisi fiscali dell’Ue. Secondo alcuni eurodeputati, dunque, il conflitto di interessi è tale da richiederne le dimissioni.
Le critiche nei confronti di Hoekstra non si fermano. «Stiamo parlando di una persona che evade le tasse – denuncia l’eurodeputata francese di sinistra Manon Aubry – mentre dalla sua posizione di potere decide quali paesi siano da inserire nella lista dei paradisi fiscali. E invita le persone povere a rassegnarsi alla crisi, mentre lui investe il suo denaro nelle Isole Vergini britanniche».
I commenti provengono anche da politici italiani. «Il ministro delle finanze olandese predica austerità, critica l’Italia e invoca controlli sui nostri conti pubblici. Poi, da privato cittadino, fa affari nei paradisi fiscali con una società fantasma, per eludere la tassazione. Non ci interessa giudicare i suoi affari, ci interessa però che certi ministri siano estromessi dai tavoli europei dove si discute di vincoli di bilancio, fiscalità e tassazione globale», sostiene in una nota l’eurodeputato del gruppo Verdi/Alleanza libera europea Piernicola Pedicini.
«C’è un grave problema politico e di credibilità, che è forse quello che più emerge dai Pandora Papers », afferma l’eurodeputata dei verdi Rosa D’Amato. Poi prosegue: «Con che credibilità l’Europa alza la bandiera della lotta a evasione e riciclaggio, quando abbiamo ben due capi di governo e un ministro delle Finanze che eludono il fisco. Io credo che in Europa serva più trasparenza. Qui non è in gioco solo la giustizia fiscale, ma anche e soprattutto la giustizia sociale».
Re Abdullah II di Giordania sapeva che sarebbe servito correre ai ripari. Giorni prima che i Pandora Papers rivelassero dettagli sulle sue proprietà immobiliari straniere, il sovrano si è rivolto allo studio legale DLA Piper. Secondo l’accordo siglato, gli avvocati si impegnano a fornire «consulenza in merito a potenziale diffamazione e altre questioni relative ad articoli sul Re da parte dei media». E, pubblicata l’inchiesta, proprio da DLA Piper è arrivata la smentita sui presunti illeciti.
Al leak di documenti i giordani hanno reagito in modi diversi. Alcuni hanno difeso il monarca sui social, definendo le accuse «immondizia» e postando video di Abdullah con canzoni patriottiche in sottofondo. Altri, al contrario, hanno sottolineato come acquistasse proprietà mentre al suo Paese arrivavano aiuti internazionali.
La parola Pandora, poi, ha un suono simile a quella araba “bandoora”, pomodoro. Per questo Twitter e Facebook sono stati inondati di immagini di pomodori, tanto più che il re Abdullah li aveva definiti il suo cibo preferito. «Immagino ora non sarà più così», ha scritto un utente. «Non permetteremo di distruggere il nostro Paese, siamo a fianco del nostro leader nei momenti critici», ha invece replicato un altro.
Il primo ministro del Pakistan Imran Khan ha dichiarato che indagherà su qualsiasi cittadino pakistano il cui nome si trova nei Pandora Papers e «se verrà accertato un illecito, prenderemo le misure appropriate». Khan ha detto di aver accolto con favore l’avvenuta fuga di notizie perché ha reso nota la ricchezza nascosta delle élite. Nei documenti non c’è nessuna evidenza che lega il primo ministro alla proprietà di società offshore, ma a essere esposte sono le partecipazioni finanziarie di numerosi suoi collaboratori di alto profilo, tra cui Chaudhry Moonis Elahi, un alleato politico chiave, che ha pianificato di occultare i proventi di un affare presumibilmente illecito in un trust segreto, così da nasconderli alle autorità fiscali del Pakistan.
Questo articolo è stato pubblicato su L’Espresso il 7 ottobre 2021