Non mi commuovono le lacrime versate dai padroni sulle spoglie mortali dei loro dipendenti. Ho condiviso invece lo stato d’animo dei lavoratori della ThyssenKrupp sopravvissuti alla strage di Torino, quando buttarono giù per le scale del Duomo la corona di fiori inviata dai responsabili di quella strage. I dirigenti tedeschi avevano abolito le misure di sicurezza in fonderia perché tanto di lì a poco avrebbero chiuso la fabbrica, inutile sprecare danaro. E così si resero colpevoli volontari della morte di sette operai. Ricordi del Novecento.
Nessuno è riuscito a quantificare quanti operai e cittadini ha ammazzato il padrone della Eternit Stephan Schmidheiny in tutto il mondo, certo più dei padroni delle miniere di zolfo di Gessolungo in Sicilia (“Ora piangono i padroni e gli portano dei fiori”, recitava un canto amaro e rabbioso in cui, almeno lì, Gesù Cristo “con la mano giustiziera ha distrutto la miniera”. A Gessolungo si moriva – anche i carusi, i ragazzini – a mazzi anche di 65 in un colpo solo. Ricordi dell’Ottocento. Si moriva perché la mina andava sparata “prima, più in fretta mezz’ora si guadagna/ me ne infischio se rischio se di sangue poi si bagna”, per non perdere tempo e produzione. Come oggi, quando le misure di sicurezza rallentano la produzione – dunque l’accumulazione – e allora via protezioni, norme, pause. Via pure la formazione, sbagliando si impara. Oppure si muore. Luana ammazzata a Prato a un orditoio perché la griglia di sicurezza era stata rimossa. A Modena è Laila a morire orrendamente in una fustellatrice difettosa a cui era stata messa a lavorare senza adeguata formazione. Baljit è precipitato per otto metri dal tetto di un capannone industriale da cui stava togliendo l’amianto, l’eternit di Schmidheiny. Ma non c’era una rete di protezione? Sì, ma aveva un buco. Giorgio in un negozio di surgelati di Asti è bruciato vivo per l’esplosione del frigorifero che stava riparando.
Sono quasi 600 i morti sul lavoro nell’anno in corso, tre al giorno, molto più del doppio dei minatori, soprattutto italiani, morti ammazzati a Marcinelle settant’anni fa. Quante lacrime sprecate, quanta ipocrisia. Dei padroni, dei politici, dell’informazione. Un muratore schiacciato da una lastra di calcestruzzo? “Tragedia fatale”. Ma quale fato? Il fatto è che i media mainstream hanno introiettato l’idea che la produzione vale più della vita di chi produce, chi lavora è uno strumento per il profitto di chi vive del lavoro altrui, l’operaio l’impiegato il muratore il rider sono oggetti, mai soggetti. Se uno o una muore lavorando si vede che si è distratto, ha sbagliato lui. Ma non è proprio per evitare le conseguenze drammatiche di un errore umano che nel secolo scorso sono state strappate dalla lotta operaia nuove misure di prevenzione e sicurezza? Da quando per far scendere una pressa bisogna schiacciare due bottoni contemporaneamente si sono salvate mani e vite operaie. Ma le misure di sicurezza costano, rallentano i processi di accumulazione soprattutto oggi che bisogna recuperare il tempo perduto a causa del covid.
Dice il padrone del cantiere navale, e gli fa eco il padrone dell’azienda automobilistica: quell’operaio morto sul lavoro era dipendente di una ditta d’appalto, mica mio. Dice il padrone dell’azienda appaltatrice: mica era un mio dipendente, era della ditta a cui subappalto il lavoro. Che ci vuole, basta che la politica faccia una legge per dare all’azienda madre la responsabilità dell’intera filiera. Il signor Stellantis e il signor Fincantieri non possono cavarsela dicendo che loro rispettano le norme sulla sicurezza (ammesso e non concesso), se poi appaltano lavoro a finte cooperative, padroncini e caporali che fanno dei lavoratori schiavi senza diritti e sicurezza. Finché non farà una legge di questo tipo la politica deve tacere, nemmeno a versare lacrime hanno diritto, tanti politici, imprenditori, giornalisti. Nemmeno a portare una corona di fiori al funerale del lavoratore ucciso. E invece piangono e portano fiori come fanno i mafiosi al funerale di colui che hanno appena ammazzato.
Hanno fatto il ministero della transizione ecologica, in attesa di cementificare lo stretto tra Scilla e Cariddi naturalmente con cemento ecosostenibile. Ma una legge lavorosostenibile che instauri una patente a punti che imponga di operare nel rispetto delle norme sulla sicurezza e la dignità di chi lavora, che il sindacato chiede da anni, ancora non riescono a farla, ci vuole più tempo che a completare la Salerno-Reggio Calabria. Dice l’Inps che più dell’86% delle aziende controllate è irregolare. Pazienza, i lavoratori possono attendere, il Pil no.