Il giacobino nero

di Daniel Finn, Paul Buhle /
5 Agosto 2021 /

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C.R.L. James ha mostrato per primo che i lavoratori del sud del mondo possono liberarsi da soli, senza aspettare i paesi cosiddetti sviluppati. E che le loro lotte sono decisive sul piano globale

C.L.R. James è stato una delle grandi figure politiche e intellettuali del Novecento. Nato a Trinidad, James ha trascorso gran parte della sua vita in Gran Bretagna e negli Stati uniti. La sua lunga carriera di scrittore e attivista lo ha portato in contatto con tantissime persone, da Paul Robeson e Richard Wright a Eric Williams e Kwame Nkrumah.

James ha scritto diversi libri, incluso il suo studio sul cricket, Giochi senza frontiere. Del cricket o dell’arte della politica, un esercizio pionieristico di storia sociale dello sport. Ma è soprattutto ricordato per la sua storia classica della rivolta degli schiavi ad Haiti, I Giacobini Neri, che ha aperto un campo di studi completamente nuovo, mostrando il ruolo vitale che gli schiavi avevano svolto nella loro emancipazione.

Paul Buhle ha fondato Radical America e ha scritto una biografia pionieristica, C.L.R. James: The Artist as Revolutionary, pubblicata nel 1988 poco prima della morte di James. Quest’intervista è una trascrizione editata da un episodio del podcast di Jacobin Long Reads. Potete ascoltare l’episodio qui.

Puoi descriverci il contesto di Trinidad e dei Caraibi governati dagli inglesi in cui è nato James e il suo background familiare?

Nacque nel 1901, quindi in un ambiente molto coloniale. C’erano state deboli agitazioni patriottiche a Trinidad: più culturali che politiche, si potrebbe dire, più attraverso il carnevale che con lotte politiche. Suo padre era un insegnante. Sua madre una donna che aveva frequentato una scuola cattolica ed era una grande lettrice di narrativa di vario genere. È cresciuto con un padre che desiderava fortemente che questo figlio molto brillante diventasse un avvocato di successo, o un funzionario politico minore nella colonia, o un medico, o qualcos’altro al quale un giovane ragazzo di talento e nero all’epoca poteva aspirare.

Quello era il suo background. Secondo i racconti più noti, si ribellò alla sua scuola. Anche se era uno studente eccezionale, trascorreva il suo tempo sul campo di cricket. Deluse terribilmente i suoi genitori. Tuttavia, si laureò e cominciò a insegnare. Si interessò all’insegnamento della storia di Trinidad e poi fu attratto dal giornalismo. Cominciò a scrivere alcuni reportage sul cricket, i suoi primissimi saggi.

Si convinse che «non sono migliori di noi», vale a dire i bianchi rispetto ai neri. Il capitano Arthur Cipriani, un politico emergente, gli chiese di scrivere di lui e del suo movimento. Cipriani aveva sfidato la regola politica esistente, non chiedendo l’indipendenza, ma reclamando un maggiore senso di libertà. Era diventato prima sindaco di Port of Spain, la capitale di Trinidad, e poi aveva portato la sfida al sistema più in generae. Il capitano Cipriani teneva manifestazioni a Port of Spain, autorizzate dalle autorità coloniali.

James iniziò a scrivere su di lui, non molte volte; non fu coinvolto direttamente, facendo discorsi per Cipriani o cose del genere. Ma stava cercando di guardarsi intorno per capire quale sarebbe stata la sua vita politica e culturale. Si imbattè in un gruppo di intellettuali essenzialmente dalla pelle scura – tra di essi alcuni intellettuali gay, tutti maschi – e pubblicarono un paio di riviste che scandalizzarono le classi rispettabili parlando di sesso e di cose del genere, come i bassifondi e la vita delle donne e così via. Si potrebbe dire che fosse arrivato tanto lontano quanto poteva farlo un giovane ambizioso e con una mentalità letteraria nella Trinidad di quel tempo.

Qual è stato il significato del suo trasferimento in Gran Bretagna negli anni Trenta?

Raccontò che gli venne detto: «Sei andato fin dove può spingersi un uomo di colore». Vale a dire, i suoi amici che facevano i letterati e tali rimasero – anche se in realtà non avevano scritto molto, un romanzo o due – credevano che non potesse andare oltre come uomo di colore senza partire per l’Inghilterra. Ma penso che si sia trattato anche di un vuoto di memoria – un vuoto di memoria voluto – perché il mondo di Trinidad era diventato troppo piccolo per lui. Partì per Londra con un’insolita clausola che la più grande delle figure di cricket di Trinidad, Learie Constantine, lo avrebbe invitato, gli avrebbero pagato il viaggio e dato un posto dove stare. In cambio, James avrebbe scritto l’autobiografia di Costantino.

Quando James arrivò in Gran Bretagna, scrisse una serie di corrispondenze – piccoli saggi, in realtà – a un giornale di Trinidad. Quelle lettere spiegavano che era caduto immediatamente nella folla di Bloomsbury ed era apparso a eventi letterari. Le persone erano sorprese da come questo giovane uomo molto bello e nero parlava con cognizione di causa e sapesse recitare Shakespeare da un momento all’altro. Come raccontava, venne accolto da giovani donne belle e ricche e portato via in limousine.

Nel frattempo, giocava a cricket al nord e aveva trovato lavoro come collaboratore per il Manchester Guardian. Quasi immediatamente, nel giro di un anno, divenne un eccezionale reporter di cricket ammirato da tutti. Si stava preparando in forme anomale a diventare uno autore di rilievo.

Che contatti aveva a quel punto con gli attivisti politici panafricani che si trovavano in Gran Bretagna?

Una cosa sorprendente dei suoi contatti è che molte delle principali figure panafricane provenivano dalle Indie occidentali anglofone, e che avesse conosciuto da ragazzino a Trinidad il più noto di essi, George Padmore. Avevano nuotato insieme nel fiume Arima. Padmore era vicino al Comintern e poi aveva rotto con esso per intraprendere un percorso indipendente verso i conflitti dell’Africa occidentale e le lotte anticoloniali in generale. Diverse altre persone provenivano da ambienti simili.

James entrò a far parte della Lega dei Popoli di Colore, fondata da un giamaicano nel 1931. Poi di un’organizzazione a sostegno dell’Etiopia: gli International African Friends of Abyssinia. Ciò gli consentì di entrare in contatto con un ampio spettro di persone importanti, tra cui Krishna Menon, che era parte della lotta anticoloniale a Londra. Aveva contatti ovunque, dalle Indie Occidentali all’India. Era un piccolo gruppo, ma molto potente, e ciò lo pose al centro del crescente movimento panafricano.

Questo divenne uno scopo determinante per la sua comprensione della politica che lo differenziava dai movimenti comunisti o trotskisti esistenti. Non era in grado di stare a suo agio in quei contesti perché non si integravano o si associavano completamente al movimento anticoloniale. Il che gli conferì uno status che all’interno della Gran Bretagna era piuttosto unico.

Il Partito laburista indipendente (Ilp) aveva un’importanza considerevole a metà degli anni Trenta perché il Partito Comunista dalla fine degli anni Venti in poi era screditato dal suo settarismo estremo. Il movimento trotskista era composto solo da una serie di individui, per lo più intellettuali. Ebbe poca influenza ma riuscì a far conoscere le posizioni trotskiste, soprattutto all’interno dell’Ilp. James riuscì a muoversi tra la partecipazione alla lotta anticoloniale da un lato e il diventare di gran lunga l’intellettuale più eccezionale all’interno di questo piccolo movimento trotskista.

Allo stesso tempo, stava cominciando a scrivere sull’indipendenza di Trinidad. The Case for West-Indian Self Government era un piccolo opuscolo sulla lotta di Trinidad e del capitano Cipriani. Cominciò a ragionare attorno al significato dell’ascesa e della caduta di Marcus Garvey e del movimento a lui legato negli Stati uniti per interpretarlo non solo come un folle tentativo di riportare gli afroamericani in Africa, ma piuttosto per il suo ruolo nel rafforzare la consapevolezza della razza tra migliaia e migliaia di afro-caraibici e afroamericani, in un modo in cui ciò non era mai accaduto.

Stava lavorando con questi movimenti e tenendo discorsi a Londra e in altri luoghi. Era un oratore molto carismatico, in grado di attirare folle a sé in quanto singolo intellettuale e come qualcuno che poteva avere qualcosa di straordinario da dire, indipendentemente dal fatto che i comunisti britannici gli avessero scagliato un anatema, dal momento che aveva sposato una prospettiva antistalinista.

I giacobini neri, l’opera di James per la quale è più conosciuto oggi, quando è uscito nel 1938 ha aperto un campo di studi completamente nuovo, decenni prima del lavoro di storici marxisti come Edward Thompson o Christopher Hill. Come è arrivato James a scrivere il libro? E come lo confronteresti con due opere apparse nello stesso decennio: Storia della Rivoluzione russa di Leon Trotsky da un lato e Black Reconstruction in America di W.E.B. Du Bois dall’altro?

Questa storia è un po’ complessa, cercherò di semplificarla. James ebbe l’idea di scrivere questo libro. Ha detto in diversi momenti che era in parte ispirato da Storia della Rivoluzione russa di Trotsky, che considerava uno dei più grandi libri che avesse mai letto. Ma c’era anche un altro scopo, ed era sicuramente il suo interesse per l’anticolonialismo e in particolare per la rivoluzione haitiana.

Voleva mostrare qualcosa che nessuno aveva mostrato prima, cioè che gli schiavi si erano liberati da soli. Non erano stati liberati dai bianchi in questa grande lotta storica, prima di tutto. Ma in secondo luogo – e questo è cruciale – voleva dimostrare che non facevano parte di una società lontana e arretrata.

Gli schiavi, a causa della loro collocazione forzata all’interno di una delle industrie più moderne del mondo settecentesco, la piantagione di zucchero, avevano acquisito le capacità e le conoscenze per lavorare insieme, per creare la ricchezza con la quale erano state costruite le più grandi città d’Europa. Non erano un popolo arretrato in virtù della socializzazione della produzione, e qui arriviamo all’importanza di Marx per James. Attraverso la loro partecipazione ai rapporti sociali di produzione, un lavoratore con l’altro, facevano parte del mondo moderno, ed essendo una parte particolarmente oppressa di quel mondo, avevano combattuto con successo per liberarsi.

Ho detto che nessun altro oltre a lui aveva notato tutto ciò. Non è del tutto esatto, perché W.E.B. Du Bois, mentre scriveva Black Reconstruction, pubblicato tre anni prima, aveva osservato la stessa cosa a proposito del sud degli Stati uniti. Forse ha esagerato descrivendo la fuga degli schiavi dalle piantagioni come uno sciopero generale degli schiavi. In realtà, se ne andarono non appena ne ebbero l’opportunità quando durante la guerra civile le truppe dell’Unione occuparono le zone in cui vigeva la schiavitù. Ma era arrivato allo stesso punto: non appena ne avessero avuto l’opportunità, i neri si sarebbero liberati.

Il grande significato di tutto questo era che James stava raggiungendo una conclusione a cui nessuno era arrivato prima nel movimento marxista. Non Lenin prima della sua morte, non Stalin, e nemmeno Trotsky. Il suo libro del 1937, World Revoution, costituiva già una deviazione dal trotskismo nella versione di Trotsky. James ha suggerito che i contadini e gli operai del mondo non bianco stavano aspettando un segnale dai lavoratori dell’Occidente e un passo verso il socialismo nei cosiddetti paesi avanzati per liberarsi dei loro oppressori coloniali ed entrare nel mondo moderno. Ma era anche il contrario: i lavoratori del mondo occidentale erano in ultima analisi dipendenti da quella rivolta dei contadini e di altri nel sud globale coloniale.

Nessuno lo aveva mai detto così chiaramente prima di lui. Non era mai stato creduto in precedenza nel campo del marxismo, sebbene i nazionalisti neri avessero suggerito qualcosa in tal senso. World Revolution in Gran Bretagna è stato definito «la Bibbia del trotskismo», ma non da Trotsky. È stato un gigantesco passo avanti nel suggerire cosa sarebbe stata la rivoluzione mondiale.

James passò del tempo a cercare negli archivi della Rivoluzione francese, perché era convinto del fatto che i comuni giacobini a Parigi, se ne avessero avuto l’opportunità, avrebbero felicemente sostenuto gli schiavi ad Haiti e la loro rivolta, e che alla fine del diciottesimo secolo era stata raggiunta una fase di genuina solidarietà operaia transrazziale. Questa è la conclusione che stava cercando di dimostrare attraverso il suo lavoro negli archivi di Parigi.

La pubblicazione de I Giacobini Neri lo fece diventare un autore molto rispettato, almeno nel Regno unito e negli Stati uniti, aveva ricevuto ottime recensioni dal London Times e dal New York Times. Si era affermato tra gli storici di spicco di qualcosa che non era mai stato studiato prima in questo modo.

Ma affinché questo libro cambiasse subito il campo della storia serviva il contesto adatto. Si potrebbe dire che, proprio come Du Bois e Black Reconstruction, era venti o trent’anni in anticipo perché gli storici o le comunità intellettuali più in generale nel Regno unito e negli Stati uniti lo calassero nel loro mondo e ripensassero la storia britannica o quella americana attorno a questi concetti.

Come descriveresti l’eredità del libro nel lungo termine?

La cosa strana è che è caduto nell’oblio. Fu grazie a un redattore di Pantheon Books, André Schiffrin, che negli anni Sessanta tornò in catalogo come libro di testo principalmente per i corsi universitari. Il movimento per i diritti civili degli Stati uniti aveva sollevato la domanda: qual era il ruolo dei neri negli Stati uniti e nel resto del mondo? James colse questa opportunità: riscrisse una buona parte del libro, eliminò gran parte della retorica marxista degli anni Trenta e aggiunse una nuova appendice sull’importanza di Fidel Castro e della Rivoluzione cubana.

La nuova edizione uscì nel 1963 e venne adottato nei corsi di storia in numero significativo, crescendo con il passare degli anni. Le lezioni universitarie erano al culmine, gli atenei erano in espansione e c’erano i piccoli inizi di qualcosa che potrebbe essere chiamata storia nera, quindi c’era sempre più pubblico per questo tipo di cose.

Non credo che abbia ancora avuto un impatto nel mondo politico, ma viene visto, insieme a quello di Du Bois, come un libro importante per la storia delle persone non bianche, soprattutto nel Nuovo Mondo. Da allora ha assunto il suo status di classico. La gente adesso parla de I Giacobini Neri come di un importante libro storico, ma era anche uno studio sulla politica nera contemporanea.

Perché James si è trasferito negli Stati uniti alla fine degli anni Trenta? Quando si è trasferito lì, cosa aveva da dire sul razzismo e sulla lotta per la libertà degli afroamericani?

È un’ottima domanda, a causa della complessità dei suoi rapporti con Trotsky e il trotskismo. James P. Cannon, uno dei fondatori del movimento trotskista negli Stati uniti, visitò il Regno unito nel 1937. Mise in testa a C.L.R James l’idea che avrebbe dovuto trasferirsi negli Usa. Nel frattempo, il Partito comunista di Gran Bretagna, che, come negli Stati uniti, era caduto in disgrazia a causa del settarismo, era stato protagonista di un ritorno travolgente con l’ascesa del Fronte Popolare.

Le possibilità che il trotskismo fosse più di una piccola minoranza che resisteva a un movimento molto più ampio erano diminuite enormemente nel 1937-1938. Lo stesso movimento trotskista nel Regno unito era molto diminuito e frammentato. C’erano anche poche prospettive di ottenere sostegno per resistere allo sforzo bellico nella Seconda guerra mondiale, in cui credeva l’ala del trotskismo di James, quando il Regno unito ha affrontato bombardamenti e invasioni.

Era già affascinato dalla cultura popolare americana, ma gli Stati uniti ora gli sembravano molto più invitanti. È emigrato con un visto temporaneo. Non si assicurò mai la cittadinanza, che in seguito permise al governo di deportarlo nel 1953. Si impegnò in un ampio giro di conferenze, per quanto pubblico potesse riunire il movimento trotskista. Fu riconosciuto quasi immediatamente come un docente meravigliosamente bello e carismatico, in un’epoca in cui le conferenze popolari sulla politica attiravano ancora un vasto pubblico.

Fece anche visita a Trotsky in esilio in Messico. Da quello che possiamo capire, Trotsky era ansioso di incontrarlo. Era a disagio, perché James aveva posto alcuni problemi in World Revolution e in altri scritti rispetto al fatto che il partito d’avanguardia avesse preso troppo potere, che avrebbe dovuto essere in grado di controllare i propri limiti anche ai tempi di Lenin – idea che Trotsky ricevette in modo non molto amichevole – e che forse i trotskisti non avrebbero dovuto avere un ruolo chiave nel partito d’avanguardia, ma piuttosto far parte di un movimento rivoluzionario più ampio.

James inoltre insisteva sul fatto che il movimento nero avesse un ruolo indipendente da svolgere. Non aveva bisogno di far parte dei partiti socialisti o comunisti, o qualunque cosa fosse un partito di sinistra. Poteva mantenere la propria indipendenza e prendere le proprie decisioni. Questa visione era scioccante nel campo del bolscevismo e Trotsky non era del tutto disposto ad accettarla. D’altra parte, James era una figura così eccezionale, e il trotskismo aveva così poche figure eccezionali – nessuna di colore – che Trotsky prese sul serio queste idee e sperò che sarebbero arrivate da qualche parte attraverso James e la sua influenza.

Visse a New York per la maggior parte del tempo, vivendo in un quartiere di razza mista, un’insolita zona di Harlem. Fece amicizia con persone come il famoso romanziere Richard Wright. Continuò a girare e iniziò a scrivere furiosamente per il movimento trotskista, e in realtà non pubblicò un altro libro vero e proprio nel periodo tra World Revolution e I Giacobini Neri, che apparvero rispettivamente nel 1937 e nel 1938, e Giochi senza frontiere, che uscì nel 1963. Dedicò la sua vita alla guida di un movimento rivoluzionario, anche se quel movimento era diventato sempre più piccolo con il crollo della sinistra statunitense dopo la Seconda guerra mondiale e l’aumento della pressione da parte di tutti i tipi di agenzie repressive.

Che effetti ebbe su di lui la sua espulsione dagli Stati uniti negli anni Cinquanta da parte delle autorità per l’immigrazione?

Voleva disperatamente restare e fece una petizione ad alcuni membri del Congresso. Si potrebbe dire che il suo libro su Herman Melville faceva parte dell’appello a restare, ovviamente senza successo. Secondo una testimonianza, chiese a Sir Anthony Eden se poteva aiutarlo a restare negli Usa, Eden rispose che essere deportato nel Regno Unito non doveva essere considerata una punizione. È difficile dire se questo aneddoto possa essere documentato o meno, almeno non ho potuto documentarlo.

L’espulsione nel 1953 lo fece concentrare di nuovo su sé stesso, ma in un mondo diverso. Viaggiò e tenne conferenze in varie parti dei Caraibi anglofoni e fu accolto come un intellettuale eccezionale in un mondo in cui ce n’erano pochi. Dagli anni Trenta, aveva assunto il ruolo di una specie di mentore per Kwame Nkrumah, che poi assunse un grande significato storico con la lotta per l’indipendenza del Ghana. Ancora più indietro, quando era un insegnante a Trinidad, uno dei suoi studenti era Eric Williams, che poi scrisse Capitalism and Slavery, e in seguito divenne primo ministro di Trinidad.

James ha avuto contatti dai Caraibi all’Africa, per lo più ai massimi livelli, tra i più famosi leader intellettuali e politici. Poteva parlare in alcune parti della Gran Bretagna e delle Indie Occidentali, ed era in grado di fare viaggi occasionali in alcune parti dell’Africa. Poteva imprimere le sue idee sulla gente e portare avanti una vita intellettuale che lo stava già spostando da questa idea di rivoluzione proletaria con la classe come fulcro centrale verso una prospettiva piuttosto diversa, basata sull’apertura del mondo coloniale alle lotte rivoluzionarie.

Non si unì a quelle lotte che dipendevano dal sostegno dei sovietici. Ma trovò posti che non si affidavano ai sovietici e cercavano una strada diversa. Si poneva come consigliere, o aveva dei contatti, o teneva conferenze culturali e filosofiche. In una biblioteca pubblica a Trinidad nel 1959 tenne una serie di sei conferenze, che aiutarono il pubblico a trovare coscienza di sé stesso, erano entrati nel mondo come individui moderni ed erano pronti ad affermare la loro indipendenza e il loro ruolo nel mondo.

Negli Stati uniti aveva un gruppo, cui aderivano non più di sessanta o settanta membri, che subì due o tre scissioni significative e si ridusse sempre più a una manciata di persone. (A quel tempo, ero uno di quelli, più o meno). Poi si dissolse: le sue organizzazioni politiche non hanno davvero giocato un ruolo importante dopo la metà degli anni Cinquanta. Ma è emerso come un intellettuale nero al di là di tutto questo.

Nel 1963, il suo Giochi senza frontiere restituì un’affascinante storia dell’ascesa dello sport moderno, e in particolare del cricket – forse il migliore che fosse stato scritto fino a quel momento – collegandolo con gli sport dell’antichità e portandolo alla questione del colore. Era scritto, ovviamente, con una straordinaria brillantezza letteraria. Non vendette molto, nessuno dei suoi libri ha venduto molto fino a oggi, a parte I Giacobini Neri. Ma Giochi senza frontiere gli ha dato una reputazione significativa in diversi ambienti. La gente per strada nel Regno Unito diceva: «Lui è quello del cricket», perché quando iniziarono a trasmettere le partite in televisione, a volte faceva il commentatore.

A Londra aveva un appartamento che era una specie di salotto. La gente entrava e parlava con lui – rivoluzionari di diverso tipo, i giovani leader emergenti delle Indie Occidentali. Stava già rimuginando sulle opportunità di intervento, oltre a rimanere in contatto con una straordinaria schiera di persone nei paesi di tutto il mondo. Si potrebbe dire che stava preparando il suo ruolo per la fine degli anni Sessanta. Gli fu permesso di tornare negli Stati uniti nel 1969. Un gruppo di studenti della Northwestern University lo fece invitare, e continuò a vivere negli Stati uniti a intermittenza per un altro decennio.

Si presentava ora al pubblico come la voce del passato panafricano. Fu in grado di recuperare persone come W.E.B. Du Bois, che in passato non era considerato molto a causa dei suoi legami con il movimento comunista ufficiale. Riuscì a far riconoscere che Frantz Fanon stava dando un contributo vitale alla nostra comprensione alla psicologia. Entusiasmò il pubblico negli Stati uniti e in altre parti del mondo e tornò a Trinidad, Guyana e Barbados, parlando della crescente ondata di indipendenza.

È sempre stato una figura di primo piano. All’età di sessantanove anni mi pareva molto anziano e quasi cinereo, ma quando si alzava per parlare, il sangue gli scorreva in faccia. Diceva: «Parlo per 58 minuti» e rimaneva sempre esattamente nel limite di tempo che si era fissato.

La sua seconda moglie una volta osservò a proposito delle sue conferenze a Los Angeles nel 1939 che rispetto al periodo precedente c’era stata un’esplosione di pubblico. Penso che esagerasse, ma ricordo di aver assistito a un paio delle sue conferenze e c’era una risposta sorprendente, senza dubbio perché parlava di questo passato panafricano, ma anche per la sua straordinaria eloquenza. È stato un po’ come ascoltare E. P. Thompson, se posso fare un confronto.

James come ha percepito i pensatori e gli attivisti radicali caraibici che sono venuti dopo di lui, come Walter Rodney?

Walter Rodney era un suo discepolo. Si definiva così, anche se era un po’ ambiguo, perché non voleva davvero essere intrappolato nel ruolo di discepolo. Ma se leggi How Europe Underdeveloped Africa, Rodney stava chiaramente seguendo le linee di pensiero che James aveva stabilito. Ero in contatto con James dopo l’assassinio di Walter Rodney nel 1980 e il rovesciamento del governo a Grenada con lo sbarco dei marines americani nel 1983. Sono stati due eventi sconvolgenti perché hanno segnato la fine di un’era per la sinistra caraibica. Triste a dirsi, la grande marea era stata ribaltata.

James ha accolto l’assassinio di Rodney con un tremendo senso di disastro, perché era così entusiasta dell’idea che un individuo all’interno dei Caraibi potesse guidare e portare dietro di sé un intero popolo. Rodney sembrava destinato a farlo in Guyana. James lo aveva avvertito urgentemente di non tornare in Guyana, ma il coraggioso e ineffabile Walter Rodney era tornato comunque.

Qualcos’altro di importante era successo prima nel 1959 o nel 1960. James fu chiamato da Eric Williams, suo ex studente, per diventare direttore dell’organo del People’s National Movement. Era un giornale di vitale interesse che usava per diffondere cultura, ma anche un po’ sottilmente per sfidare la burocrazia che stava prendendo piede a Trinidad, per affermare che la gente comune doveva governare questo paese che stava andando verso l’indipendenza, oppure il progetto di indipendenza e la trasformazione sarebbe fallita. Soprattutto a Trinidad, questo significava riunire i neri e le persone di origine indiana intorno a un programma.

James è stato brutalmente attaccato dall’interno della burocrazia da persone che stavano assurgendo a varie posizioni di governo. Non volevano che interrompesse questo cambiamento dalle élite bianche alle élite nere, se possiamo volgarizzare la tendenza delle cose. Alla fine, Eric Williams ha chiarito a James che doveva smettere di dirigere il giornale e che poteva anche lasciare il paese, cosa che ha fatto con notevole dispiacere, perché pensava che gli fosse stata assegnata una posizione centrale. Alcuni dicevano che sembrava che il numero due stesse diventando il numero uno, anche se Eric Williams era una figura quasi divina per la gente comune di Trinidad.

Nello stesso periodo James aveva scritto lettere furiose a Kwame Nkrumah, sottolineando che era la gente comune nella lotta contro gli inglesi che avrebbe fatto la rivoluzione o l’avrebbero persa e non i burocrati in ascesa. Ma la divisione era chiara. C’era una nuova classe media che stava assumendo i ruoli civici dei coloni in partenza.

Quella nuova borghesia avrebbe avuto bisogno di fermarsi e reprimere le rivendicazioni che venivano dal basso, altrimenti non sarebbe stata in grado di raggiungere la rispettabilità nel mondo, date tutte le pressioni dell’ex potenza coloniale, e soprattutto del Dipartimento di stato e della Cia. Forse non c’era davvero alcuna alternativa, ma per Nkrumah e Williams il corso che hanno seguito è stato quello di accettare la realtà della burocrazia e la trasformazione non rivoluzionaria del processo di decolonizzazione. Fu una delle grandi delusioni della vita di James.

Che influenza ha avuto James sui nuovi movimenti di sinistra e antirazzisti che stavano emergendo in Europa e negli Stati uniti dalla fine degli anni Sessanta in poi?

Dato che ero o pensavo di essere parte di quei movimenti, ho un punto di vista interno ma forse anche parziale. La difficoltà di capirlo è che l’ascesa e la caduta della Nuova Sinistra sono avvenute molto, molto rapidamente, non è durato nemmeno un decennio. Le idee presentate da James, principalmente nelle conferenze, sono state assorbite da un numero crescente di persone. Nel 1970 ho pubblicato la prima antologia dei suoi scritti come numero speciale della mia rivista, Radical America. Aveva ottomila lettori. Ma quando è stato recepito, il movimento contro la guerra era già in ritirata. Le vaste manifestazioni contro la guerra raggiunsero il culmine nel 1970-71 e, con la fine del progetto, si sciolsero.

Ci sono stati movimenti rivoluzionari, scioperi e proteste in molti luoghi diversi, dal Portogallo e dall’Italia al Quebec. C’è stato un numero straordinario di scioperi negli Stati uniti, che hanno coinvolto persone non bianche e donne, spesso in luoghi dove non c’erano stati scioperi prima, come l’ufficio postale. Ci sono state sfide alla direzione burocratica dei sindacati. Tutte queste cose hanno avuto un’alta marea dal 1969 al 1972, ma poi si sono dissolte.

Le visioni e le lezioni che James ha cercato di trasmettere non sono cadute nel vuoto. Abbiamo cercato di portarle avanti nella mia piccola rivista per molto tempo da allora in poi. Ma non era più possibile per i lettori agire nei modi che James aveva previsto, sperato e proposto. Nel 1980, James era assurto al ruolo della grande figura, il grande studioso, l’ammirato rivoluzionario nero e visionario; molto più di un argomento di studio o di un tema per i politici radicali impegnati da leggere come materiale di sfondo, più immediato di qualsiasi cosa.

Sono trascorsi più di tre decenni da quando il tuo libro su James è apparso come uno dei lavori pionieristici. Sono trascorsi anche più di tre decenni da quando James è morto a 88 anni. Come pensi che la sua reputazione sia andata avanti da allora sia nei circuiti accademici che in quelli politici?

Voglio iniziare con una nota a piè di pagina. Molte cose non sono disponibili per chi si trovi in una situazione di chiusura, potrebbero non essere in grado di accedere al lavoro di James, quindi voglio solo suggerire una cosa che è disponibile online, che ho curato, si intitola CLR James: His Life and Work. È apparso come numero 12 della rivista Urgent Tasks.

Contiene saggi, note e commenti dei suoi contemporanei, di colleghi insegnanti e di attivisti politici. Ti darà una visione ampia di ciò che le persone dell’epoca, provenienti dalla Nuova Sinistra, pensavano di lui e di come lo vedevano nel contesto delle Indie Occidentali, così come all’interno dei loro contesti nordamericani o britannici.

La mia opinione sugli studi culturali su C.L.R. James è che spesso sono molto interessanti, ma siamo esistiti in un tale periodo di stasi politica, almeno in parte della sinistra. Solo dagli anni 2010 Occupy, Black Lives Matter o le sfide poste da Bernie Sanders e Jeremy Corbyn – solo per citare alcune cose – hanno fornito alla gente un nuovo inizio per un’idea di movimento socialista e una visione oltre il crollo dell’Unione sovietica, oltre l’ascesa e la caduta del neoliberismo, e oltre la terribile stasi nei movimenti neri.

Per questo motivo, i materiali di studi culturali preparati su James e il lavoro più accademico svolto su di lui – che è molto interessante e potenzialmente molto prezioso – sono esistiti all’interno di questo quadro limitato e senza grandi implicazioni politiche. Ma ora le cose potrebbero cambiare, e le persone che studiano James da molto tempo, o i giovani attivisti che hanno appena iniziato a studiarlo, saranno in grado di mettere in pratica le sue idee molto più di prima. Almeno questo è quello che spero.

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin Italia il 2 agosto 2021

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