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Il colonialismo che non si vede

Razzismo, sessismo, colonialismo, capitalismo, specismo, le diverse forme che ha preso il dominio patriarcale nel corso della storia, arrivano oggi alla coscienza, insieme ai legami che vi sono sottesi. Si possono analizzare criticamente, riconoscere nei monumenti con cui ogni epoca ha inteso celebrarle, e persino additarle con gesti iconoclasti al pubblico disprezzo. Maย per una pratica politica che voglia produrre un cambiamento, il โ€œpartire da sรฉโ€, dalla interiorizzazione di quegli stessi sistemi di potere, รจ imprescindibile.

Del colonialismo, tornato recentemente al centro del discorso politico a seguito delle grandi manifestazioni antirazziste dopo lโ€™uccisione di George Floyd negli Stati Uniti, molto รจ stato scritto, anche se ignorato dai programmi scolastici. Poco o quasi nulla invece si sa di quello che potremmo chiamare il suo risvolto invisibile, il suo radicamento nei pensieri e negli affetti. Rachele Borghi, insegnante di Geografia allโ€™Universitร  Sorbona di Parigi in un libro coraggioso e originale appena uscito da Meltemi โ€“ Decolonialitร  e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema-mondo -, scrive:

โ€œIl problema oggi รจ la colonialitร , non solo il colonialismo. I territori, quelli della mente, quelli dellโ€™essere, quelli del potere, vanno decolonizzati, liberati cioรจ dalla colonialitร โ€.

Le logiche del dominio sono inscritte nelle istituzioni, cosรฌ come nella oscuritร  dei corpi e nelle relazioni piรน intime. I privilegi di cui godiamo, le violenze che esercitiamo sugli altri, possono restare invisibili dietro il paravento della โ€˜normalitร โ€™ e di comportamenti dati come โ€˜naturaliโ€™. Ma, una volta che li riconosciamo come tali โ€“ dice Rachele -, possiamo โ€œtrasformarli in strumenti di lottaโ€.

Quale luogo si puรฒ considerare allora piรน essenziale dellโ€™Universitร  per favorire lo sviluppo di un sapere critico e di una azione diretta a sovvertire i paradigmi di una โ€œscientificitร โ€ costruita sulla separazione tra pensiero e corpo, ragione e sentimenti? Bell Hooks, piรน volte citata nel libro, indica con chiarezza che cosa significhi partire da un โ€œsรฉโ€ che riguardi non solo la collocazione geografica, lโ€™appartenenza a un sesso, a una razza, a una classe, ma anche la contaminazione, piรน o meno consapevole, con le molteplici voci presenti in noi.

โ€œSpesso, parlando con radicalitร  del dominio, parliamo proprio a chi domina. La loro presenza cambia la natura e la direzione delle nostre parole. Questa lingua che mi ha consentito di frequentare lโ€™Universitร , di scrivere una tesi di laurea, di sostenere colloqui di lavoro, ha lโ€™odore dellโ€™oppressore. La lingua รจ anche un luogo di lotta. รˆ un bisogno di resistere che ci rende liberi, che decolonizza le nostre menti e tutto il nostro essereโ€.

Nei luoghi del sapere la colonialitร  passa innanzi tutto attraverso lโ€™idea di โ€œrigoreโ€, di โ€œveridicitร โ€ di un testo inversamente proporzionale, dice Rachele, alla capacitร  di โ€œnon far trapelare la propria presenza dietro le paroleโ€. Esplicitare le proprie emozioni e suscitarle in chi legge, โ€œnon รจ solo un modo alternativo di scrivere il sapere scientifico: รจ un atto di resistenza al regime cartesiano, alla ingiunzione alla razionalitร  e alla distanza, che il sapere occidentale, eurocentrico, fa passare come unico modo possibile per scrivere la conoscenzaโ€. Diventare โ€œdisertoriโ€ rispetto allโ€™accademia non vuol dire abbandonarla, ma scegliere di dismettere i panni di divulgatori di una violenza sistemica, creare alleanze, trovare modi di agire per trasformare il mondo, sovvertire le frontiere che hanno diviso saperi legittimi della cultura europea e saperi subalterni.

Mi chiedo se un ragionamento analogo si puรฒ fare per il sesso femminile, considerato โ€œvita inferioreโ€, materia, natura senza un Io intellegibile, piรน vicina agli animali e alle piante, e quindi messo fin dallโ€™origine nella impossibilitร  di avere un sapere e una lingua propria. Non dovrebbe meravigliare che tra tanti passaggi della storia che hanno visto le donne schierarsi a fianco degli oppressori, ci sia stata anche lโ€™impresa coloniale italiana in Libia, quella che la stessa Aleramo chiamรฒ โ€œlโ€™ora virileโ€. Nel suo interessante studio sul rapporto tra il movimento femminile italiano e la cultura coloniale dellโ€™Italia postunitaria โ€“ Sotto altri cieli (Viella 2009) โ€“ Katia Papa scrive:

โ€œLa retorica del consenso, del risveglio della coscienza nazionale generato dalla prova bellica, imbrigliรฒ il movimento emancipazionista. Il cedimento sul terreno dei diritti rese la simbologia del materno definitivamente subalterna allโ€™ordine della nazione in guerra. Il valore nazionale della maternitร  risucchiรฒ ogni altro motivo della riflessione femminile, a cominciare dal principio della autodeterminazione delle donne quale fondamento della appartenenza alla comunitร  nazionaleโ€.

Mettere le โ€œcompetenzeโ€ materne o le โ€œvirtรน del cuoreโ€ al servizio della โ€œnazione stirpeโ€, sostenere gli โ€œsplendidi frutti della magnifica razza italianaโ€ (Matilde Serao), educare le donne mussulmane โ€œbestiole mansuete, abituate a obbedire ciecamenteโ€ (Maddalena Cisotti Ferrara), รจ stato per alcune femministe del primo โ€˜900 il tentativo di uscire dalla lunga estraneitร  alla sfera pubblica, raggiungere una cittadinanza piena. Risalire secoli di colonialitร  o incorporazione forzata dellโ€™unica visione del mondo, patriarcale prima ancora che eurocentrica, bianca, capitalista, ha significato e significa tuttora per le donne un doppio scarto, per quanto riguarda la presa di coscienza: uscire dalla identificazione col corpo, la sessualitร , la maternitร , e interrogare il sapere che ha dato loro una collocazione, un ruolo, un destino.

Razzializzazione e naturalizzazione hanno riguardato fin dagli inizi della storia umana quel primo โ€œdiversoโ€ che lโ€™uomo ha conosciuto nascendo, in condizioni di estrema dipendenza e inermitร , e successivamente in posizione di dominatore, e cioรจ il corpo femminile che lโ€™ha generato. Questo spiega anche perchรฉ la โ€œviolenza invisibileโ€, lo sguardo maschile su di sรฉ e sul mondo, sia stata al centro delle pratiche del primo femminismo, perchรฉ siano stati i cento ordini del discorso, forzatamente fatti propri, a essere interrogati affinchรฉ la parola, parlata e scritta, potesse aprire la strada a una autenticitร  e autonomia sconosciute.

Nel libro di Rachele Borghi ho trovato sorprendenti analogie con lโ€™esperienza del gruppo โ€œsessualitร  e simbolicoโ€ creato a Milano nel 1977, il cui proposito ambizioso era di โ€œsconvolgere nella scrittura delle donne i modi di pensare e di esprimersi acquisiti senza che si avesse la libertร  di scegliere, rintracciare lโ€™origine e il farsi della parola scritta dentro la storia del corpoโ€. A dare forma alla lenta modificazione di sรฉ si pensava giร  allora che dovesse essereย una โ€œnuova linguaโ€, capace di ragionare con la memoria di sรฉ e insieme con il linguaggi di fuori, i linguaggi sociali.

Questo articolo รจ stato pubblicato su Comune il 10 luglio 2021

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