Il colonialismo che non si vede
- di Lea Melandri
- / 17 Luglio 2021
- / Femminismi, Libri

Razzismo, sessismo, colonialismo, capitalismo, specismo, le diverse forme che ha preso il dominio patriarcale nel corso della storia, arrivano oggi alla coscienza, insieme ai legami che vi sono sottesi. Si possono analizzare criticamente, riconoscere nei monumenti con cui ogni epoca ha inteso celebrarle, e persino additarle con gesti iconoclasti al pubblico disprezzo. Maย per una pratica politica che voglia produrre un cambiamento, il โpartire da sรฉโ, dalla interiorizzazione di quegli stessi sistemi di potere, รจ imprescindibile.
Del colonialismo, tornato recentemente al centro del discorso politico a seguito delle grandi manifestazioni antirazziste dopo lโuccisione di George Floyd negli Stati Uniti, molto รจ stato scritto, anche se ignorato dai programmi scolastici. Poco o quasi nulla invece si sa di quello che potremmo chiamare il suo risvolto invisibile, il suo radicamento nei pensieri e negli affetti. Rachele Borghi, insegnante di Geografia allโUniversitร Sorbona di Parigi in un libro coraggioso e originale appena uscito da Meltemi โ Decolonialitร e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema-mondo -, scrive:
โIl problema oggi รจ la colonialitร , non solo il colonialismo. I territori, quelli della mente, quelli dellโessere, quelli del potere, vanno decolonizzati, liberati cioรจ dalla colonialitร โ.
Le logiche del dominio sono inscritte nelle istituzioni, cosรฌ come nella oscuritร dei corpi e nelle relazioni piรน intime. I privilegi di cui godiamo, le violenze che esercitiamo sugli altri, possono restare invisibili dietro il paravento della โnormalitร โ e di comportamenti dati come โnaturaliโ. Ma, una volta che li riconosciamo come tali โ dice Rachele -, possiamo โtrasformarli in strumenti di lottaโ.
Quale luogo si puรฒ considerare allora piรน essenziale dellโUniversitร per favorire lo sviluppo di un sapere critico e di una azione diretta a sovvertire i paradigmi di una โscientificitร โ costruita sulla separazione tra pensiero e corpo, ragione e sentimenti? Bell Hooks, piรน volte citata nel libro, indica con chiarezza che cosa significhi partire da un โsรฉโ che riguardi non solo la collocazione geografica, lโappartenenza a un sesso, a una razza, a una classe, ma anche la contaminazione, piรน o meno consapevole, con le molteplici voci presenti in noi.
โSpesso, parlando con radicalitร del dominio, parliamo proprio a chi domina. La loro presenza cambia la natura e la direzione delle nostre parole. Questa lingua che mi ha consentito di frequentare lโUniversitร , di scrivere una tesi di laurea, di sostenere colloqui di lavoro, ha lโodore dellโoppressore. La lingua รจ anche un luogo di lotta. ร un bisogno di resistere che ci rende liberi, che decolonizza le nostre menti e tutto il nostro essereโ.
Nei luoghi del sapere la colonialitร passa innanzi tutto attraverso lโidea di โrigoreโ, di โveridicitร โ di un testo inversamente proporzionale, dice Rachele, alla capacitร di โnon far trapelare la propria presenza dietro le paroleโ. Esplicitare le proprie emozioni e suscitarle in chi legge, โnon รจ solo un modo alternativo di scrivere il sapere scientifico: รจ un atto di resistenza al regime cartesiano, alla ingiunzione alla razionalitร e alla distanza, che il sapere occidentale, eurocentrico, fa passare come unico modo possibile per scrivere la conoscenzaโ. Diventare โdisertoriโ rispetto allโaccademia non vuol dire abbandonarla, ma scegliere di dismettere i panni di divulgatori di una violenza sistemica, creare alleanze, trovare modi di agire per trasformare il mondo, sovvertire le frontiere che hanno diviso saperi legittimi della cultura europea e saperi subalterni.
Mi chiedo se un ragionamento analogo si puรฒ fare per il sesso femminile, considerato โvita inferioreโ, materia, natura senza un Io intellegibile, piรน vicina agli animali e alle piante, e quindi messo fin dallโorigine nella impossibilitร di avere un sapere e una lingua propria. Non dovrebbe meravigliare che tra tanti passaggi della storia che hanno visto le donne schierarsi a fianco degli oppressori, ci sia stata anche lโimpresa coloniale italiana in Libia, quella che la stessa Aleramo chiamรฒ โlโora virileโ. Nel suo interessante studio sul rapporto tra il movimento femminile italiano e la cultura coloniale dellโItalia postunitaria โ Sotto altri cieli (Viella 2009) โ Katia Papa scrive:
โLa retorica del consenso, del risveglio della coscienza nazionale generato dalla prova bellica, imbrigliรฒ il movimento emancipazionista. Il cedimento sul terreno dei diritti rese la simbologia del materno definitivamente subalterna allโordine della nazione in guerra. Il valore nazionale della maternitร risucchiรฒ ogni altro motivo della riflessione femminile, a cominciare dal principio della autodeterminazione delle donne quale fondamento della appartenenza alla comunitร nazionaleโ.
Mettere le โcompetenzeโ materne o le โvirtรน del cuoreโ al servizio della โnazione stirpeโ, sostenere gli โsplendidi frutti della magnifica razza italianaโ (Matilde Serao), educare le donne mussulmane โbestiole mansuete, abituate a obbedire ciecamenteโ (Maddalena Cisotti Ferrara), รจ stato per alcune femministe del primo โ900 il tentativo di uscire dalla lunga estraneitร alla sfera pubblica, raggiungere una cittadinanza piena. Risalire secoli di colonialitร o incorporazione forzata dellโunica visione del mondo, patriarcale prima ancora che eurocentrica, bianca, capitalista, ha significato e significa tuttora per le donne un doppio scarto, per quanto riguarda la presa di coscienza: uscire dalla identificazione col corpo, la sessualitร , la maternitร , e interrogare il sapere che ha dato loro una collocazione, un ruolo, un destino.
Razzializzazione e naturalizzazione hanno riguardato fin dagli inizi della storia umana quel primo โdiversoโ che lโuomo ha conosciuto nascendo, in condizioni di estrema dipendenza e inermitร , e successivamente in posizione di dominatore, e cioรจ il corpo femminile che lโha generato. Questo spiega anche perchรฉ la โviolenza invisibileโ, lo sguardo maschile su di sรฉ e sul mondo, sia stata al centro delle pratiche del primo femminismo, perchรฉ siano stati i cento ordini del discorso, forzatamente fatti propri, a essere interrogati affinchรฉ la parola, parlata e scritta, potesse aprire la strada a una autenticitร e autonomia sconosciute.
Nel libro di Rachele Borghi ho trovato sorprendenti analogie con lโesperienza del gruppo โsessualitร e simbolicoโ creato a Milano nel 1977, il cui proposito ambizioso era di โsconvolgere nella scrittura delle donne i modi di pensare e di esprimersi acquisiti senza che si avesse la libertร di scegliere, rintracciare lโorigine e il farsi della parola scritta dentro la storia del corpoโ. A dare forma alla lenta modificazione di sรฉ si pensava giร allora che dovesse essereย una โnuova linguaโ, capace di ragionare con la memoria di sรฉ e insieme con il linguaggi di fuori, i linguaggi sociali.
Questo articolo รจ stato pubblicato su Comune il 10 luglio 2021