In questo periodo di aperture vorticose, di prime teatrali e riprese teatrali, di stagioni nelle piazze, di eventi pubblici in cui si vorrebbe tornare a discutere dei nostri fondamentali, sono anche tante le iniziative che si propongono di fotografare la nostra realtà di questi tempi, che si tinge di tonalità invero sempre più inquietanti e chiama in causa come non mai il discorso del ruolo e prima ancora della esistenza degli intellettuali, dei pensatori, delle coscienze critiche.
L’impressione è che esistano tantissime manifestazioni ottimamente organizzate, frutto della elaborazione di altrettanto ottimi curatori e forse private di quella scintilla di alterità che può fare la differenza.
Non si tratta naturalmente di un problema di superfice, inerente la necessità della sopravvivenza o il desiderio auto conservativo di formule fortunate, quanto di qualcosa di più profondo che ha a che fare con la nostra stessa esperienza di civile convivenza e di governance cosi duramente messe alla prova da esperienze di isolamento, passività, ripiegamento forzati, che hanno minato qualsiasi forma di tenuta sociale da ogni angolazione possibile la si consideri.
Non è pertanto banale in tale eccezionalità delle cose, non tanto stare sul leggero o recitare un forzoso volemose bene, quanto cercare una prospettiva intanto costruttiva e soprattutto tutta volta alla identificazione di un possibile futuro: va da sé che, dunque, la cultura della legalità e dell’inclusione sviluppino una attitudine pedagogica e creativa capace di catalizzare e sviluppare risorse giovanili.
Ovvero quel patrimonio di curiosità, di slancio, di sdegno, di idealismo, ricerca di convinzioni e punti fermi che fa parte di un processo di introduzione alla vita adulta.
Sotto questa lente voglio leggere la ripresa praticamente estiva della sedicesima edizione di Politicamente scorretto, ovvero la cultura dell’impegno, format ideato da quel Carlo Lucarelli, assurto a icona del genere noir, sia come scrittore che personaggio televisivo, per poi rivelarsi un raffinato paladino della giustizia e della ricerca storica a tanti livelli. Il progetto, che partito da suggestioni letterarie e nato in collaborazione con il comune di Casalecchio di Reno, è stato una incredibile occasione nel corso di qesti anni per familiarizzare il grande pubblico con intrighi e complotti di stato, complesse questioni di legalità. Il tutto mettendo in relazione giornalisti, attivisti della legalità, familiari di vittime di mafia, magistrati scomodi e coraggiosi, per svolgere un racconto anche documentale rafforza quest’anno le sinergie con Ater e teatro di Casalecchio, si rivolge particolarmente ai più giovani, sceglie l’elaborazione artistica, più che l’inchiesta per renderci tutti protagonisti di una auspicabile rinascita civile.
Un approccio piu marcatamente culturale che giornalistico, una chiave di lettura non trasgressiva ma comunque non bacchettona o appiattita sulla contrapposizione Tra Legge e tutto ciò che ne è fuori.
Mentre scrivo il festival è ancora in corso ed ha in serbo le repliche del bellissimo spettacolo di Vincenzo Pirrotta storia di un oblio per la regia di Roberto Ando un recital fruibile on line di testi per canzoni di Pier Paolo Pasolini e la presentazione del volume La seduta spiritica, condotta da Valerio Varesi, ma ha visto lo stesso Lucarelli prodursi nella veste di attore autore per un testo dal titolo Controcanti, definito l’opera buffa della Censura, a riprova del fatto che forse Giustizia, in senso alto più che legalismo politichese interessano l’artefice della manifestazione e che operare in teatri e biblioteche e in questa edizione anche nel parco di una bellissima casa museo, casa Nena, può che rafforzare l’approccio anche artistico alle complesse questioni sul tappeto. Insomma, guardiamo dritto negli occhi la parte oscura di noi stessi e della nostra società , prima di sparare giudizi affrettati e rimedi improvvisati, avvaliamoci di un metodo interdisciplinare che superi la ritualità dei talks e delle conferenze tematizzate.
Questo è stato evidente sin dalla bruciante partenza con il tour delle ”storie nere“ di Licia Lanera insieme con il musicista Qzerty ed proseguito con i partecipatissimi incontri con due musicisti beniamini tra i piu giovani e non solo. Murubutu, anomalo rapper reggiano che forgia rime a partire da spunti poetico-letterari e del resto è un insegnante al liceo di storia e filosofia, si è lasciato a lungo interrogare dal critico musicale Pierfrancesco Pacoda sulla legittimità o pericolosità morale della musica trap, citando disinvoltamente Heidegger senza colpo ferire e senza tema di smentire un ‘immagine tosta… ci ha cosi annunciato la presentazione della sua prossima fatica discografica presso il parco caserme Rosse, una sorta di concept prodotto e concepito con altro mostro sacro della cultura hip hop e dedicato alle celebrazioni dantesche, tanto da titolarsi Infernum.
Questo ultimo anno pandemico deve essere stato effettivamente duro per i più giovani, come si evinceva dalle rime prodotte dai giovani talenti che Casalecchio ha saputo comunque coltivare grazie al costante impegno sui laboratori dedicati, profuso sia dal teatro Laura Betti che dall’assessorato alla Cultura e politiche giovanili, rappresentato da una vulcanica e per niente moraleggiante Simona Pinelli. Costanti tra il pubblico i riferimenti ad una sorta di ruolo salvifico offerto dagli artisti per i momenti bui e depressivi, confessati in allarmante percentuale. Neppure lo scanzonato e apparentemente cinico cantore dei razzisti inconsci Willie Peyote, reduce dalla chiaroscurale esperienza sanremese, può ricusare il ruolo ormai pedagogico che svolge inconsapevolmente per giovani sempre più smarriti e provati. Lusingato dalla complice intervista di Lucarelli non si nega benevolmente a dipanare rovelli morali e crisi esistenziali: alla fine sarà una rima ben fatta che ci salverà.
Giovani grandissimi protagonisti anche di questa premiazione finale, recentissimamente completata in posticipo dai riconoscimenti attribuiti dagli spettatori, più politicamente corretta che mai di Biografilm festival per la seconda edizione condotta in circostanze difficili da Lena Pasaneen.
La Regione, main sponsor di questo festival fondamentalmente documentario, dedicato alle storie di vita, tema quanto mai dibattuto non solo a livello espressivo, ma anche di ricostruzione storica, si presenta in una sala medica Palace, nella persona del Presidente Bonaccini a testimonianza di quanto la film commission regionale sia anche un grande investimento economico ed una possibile opa lanciata sul futuro dei tanti giovani che vogliono provarsi nella decima musa a seguito del loro cursus honorum al Dams. Dams, che come abbiamo detto si è linkato per le sue celebrazioni anche a questo festival.
I giovani sono presenti in sala come giurati e come creativi, i primi essendo una educatissima compunta giuria di una quarta classe delle Aldini, i secondi, purtroppo impossibilitati ad essere presenti, dei rappers, anche in questo caso, dal cuore generoso ma nella particolare condizione di giovani detenuti che tributano la loro canzone omaggio al regista del film da loro prescelto, che è stato anche in visita al carcere del Pratello.
I giovani che, come ricorda l’appassionato direttore dell’istituto penitenziale , sono in procinto di lanciare un’attivita imprenditoriale come osti e pizzaioli, dimostrano grande sensibilità artistica premiando un bellissimo film dal titolo White Cube che racconta l’incredibile esperienza di una sorta di spazio artistico d’avanguardia nel cuore della foresta del Congo ex belga. Film evidentemente nel cuore di Lorenzo Balbi, il solo forse ad assumere un tono meno ecumenico , quando come direttore del museo Mambo, rivendica le tante cose fatte anche in chiusura ufficiale degli spazi della sua istituzione e lamenta la mancanza di una visione complessiva delle cose dell’Arte nel nostro paese.
In ogni caso, pur in versione ibrida il Festival ha avuto numeri di tutto rispetto con seimila spettatori. Abbiamo pertanto rivolto qualche domanda alla direttora per esempio, su cosa si porterà per il prossimo anno , da questa edizione di transizione tra on line e presenza. Pasanen mi risponde che certamente la fruizione on line non verrà abbandonata, ma neppure le collaborazioni con l’università e il Centro delle Donne, quanto all’approccio politico degli autori, è normale, in qualche modo, che un film maker abbia sempre un punto di vista sul mondo. Specie sugli aspetti più iniqui o allarmanti, la cosa nuova è la modalità di lettura che possono offrire che oggi combina qualità espressiva e contenuti forti.
Un aspetto fondante del festival è il fatto che films profondamente radicati nei costumi e nei linguaggi di tanti paesi diversi, viaggiando e diventando fruibili a noi, acquistano più links emotivi che ci permettono di apprezzarli. Riguardo alla questione di genere, rispetto a temi e sensibilità, erano dati presentissimi nel Festival e ad oggi nel settore documentaristico agevolmente si è raggiunto il famoso 50-50 di equilibrio tra registe e registi. Viceversa nella fiction pura, c’è ancora molto lavoro da fare. Un lavoro che certamente non spaventa la nostra determinata Leena, cui auguriamo davvero di esprimersi al meglio in mutate e favorevoli condizioni future.