Dobbiamo smettere di elogiare il centro

di Rebecca Solnit /
16 Giugno 2021 /

Condividi su

L’idea che tutte le opinioni di parte siano deviazioni rispetto a un centro imparziale è di per sé parziale, e impedisce a esperti, giornalisti, politici e altri di riconoscere alcuni dei pregiudizi peggiori del nostro tempo. Quest’idea parziale secondo cui il centro non è mai di parte, non ha programmi, pregiudizi né percezioni sbagliate, è una difesa preconcetta dello status quo. Dietro c’è la convinzione che le cose tutto sommato vanno abbastanza bene, che bisogna fidarsi delle autorità perché il potere conferisce legittimità, che chi vuole un cambiamento radicale è troppo rumoroso o irragionevole, e che dovremmo semplicemente andare tutti d’accordo senza guardare gli scheletri nell’armadio e la polvere sotto il tappeto. Soprattutto, è un pregiudizio di chi ricava vantaggi dal sistema contro chi invece ci rimette.

L’altro giorno ho letto su Twitter che i servizi segreti e la polizia degli Stati Uniti dovevano essere incompetenti o complici per farsi trovare così impreparati all’invasione del congresso a Washington il 6 gennaio. L’autore del tweet sembrava non contemplare una terza possibilità, e cioè che i servizi segreti non siano stati capaci di vedere oltre l’assunto che i conservatori maschi bianchi di mezza età non rappresentano una minaccia alla democrazia, che i funzionari eletti non stavano alimentando una rivolta, che il pericolo erano gli altri.

Nel 2012, quando sono andata in Giappone per il primo anniversario del terremoto e maremoto del Tōhoku, mi hanno detto che l’onda di acqua nera alta trenta metri era uno spettacolo così inconcepibile che alcuni non erano riusciti a riconoscere il pericolo. Altri avevano dato per scontato che lo tsunami non sarebbe stato più forte di quelli precedenti e non si erano riparati abbastanza in alto. Molte persone erano morte perché non erano state capaci di affrontare una cosa inattesa. Le persone stentano a riconoscere quello che non rientra nella loro visione del mondo. Per questo chi è al potere non ha reagito adeguatamente a decenni di terrorismo da parte degli uomini bianchi: gli omicidi commessi dagli antiabortisti, la violenza razziale, l’omofobia e la transfobia, la violenza misogina che si nasconde dietro molte stragi, le aggressioni agli ambientalisti e il suprematismo bianco tra i poliziotti e i militari. Finalmente quest’anno il ministro statunitense della giustizia Merrick Garland ha chiamato questo terrorismo con il suo vero nome, definendolo “la più pericolosa minaccia alla nostra democrazia”.

Il pregiudizio sul fatto che i crimini vengono commessi da “loro”, non da “noi”, non è mai scomparso. Ed è per questo che la scorsa estate le proteste del movimento antirazzista Black lives matter sono state descritte dai conservatori, e a volte dalla maggioranza, come molto più violente di quanto fossero in realtà e che la destra ha avuto gioco facile a demonizzare gli immigrati. Spesso le violenze commesse durante le proteste di Black lives matter sono state opera della destra. Per esempio, l’omicidio di una guardia in un tribunale federale di Oakland, in California, a quanto risulta per mano di un sergente dell’aeronautica e sostenitore del movimento di estrema destra Boogaloo. Oppure anche alcuni degli incendi dolosi scoppiati a Minneapolis poco dopo l’uccisione di George Floyd.

Nessuno ha mai amato lo status quo più del New York Times, che in un recente editoriale ha affermato che gli organizzatori del Pride hanno sbagliato a “ridurre la presenza delle forze dell’ordine, vietando agli agenti in divisa di marciare in gruppo almeno fino al 2025”. Il giornale ha intervistato una poliziotta lesbica nera che si sentiva “distrutta” perché non poteva partecipare al corteo, invece di affrontare la logica che stava dietro a quella decisione. Il Pride ricorda la rivolta contro le violenze della polizia e la criminalizzazione della queerness avvenuta nel 1969 al bar Stonewall Inn di New York. Agli agenti di polizia non è in nessun modo vietato partecipare in abiti civili, ma non è abbastanza per gli editorialisti del New York Times, che hanno anche aggiunto: “Impedire di marciare agli agenti lgbt è una risposta politicizzata e non è degna dell’importante ricerca di giustizia per chi è stato perseguitato dalla polizia”. La decisione d’includere i poliziotti non sarebbe meno politica di quella di escluderli. E poi, chi decide cosa è degno? L’idea che ci sia uno stato magicamente apolitico a cui tutti dovrebbero aspirare è la chiave di questa parzialità.

Il pregiudizio dello status quo l’ho incontrato più volte sotto forma di violenza di genere, in particolare nel rifiuto di riconoscere che un uomo o un ragazzo ricco, che sia un produttore cinematografico o un giocatore di football del liceo, può anche essere un criminale. Chi non riesce a credere alle accuse, per quanto credibili, spesso incolpa la vittima (o peggio: troppo spesso chi denuncia uno stupro riceve minacce di morte e altre forme di molestie e intimidazioni per far sparire una verità scomoda). La società ha poca immaginazione quando si tratta d’intuire che in segreto questi predatori trattano le loro vittime (spesso più povere di loro) in modo molto diverso da come trattano in pubblico i loro simili, e questa mancanza di immaginazione nega la disuguaglianza e la perpetua.

Il fallimento nasce da un indebito rispetto per i potenti. E qui penso a tutti gli idioti pronti a cogliere “il momento in cui Trump ha cominciato a comportarsi da presidente” senza capire che la sua incompetenza era indelebile quanto la sua corruzione e cattiveria, forse perché il loro rispetto per l’istituzione si è esteso all’imbroglione che ci si è infilato dentro.

Il pregiudizio centrista è un pregiudizio istituzionale, e tutte le nostre istituzioni, nella storia, si sono rese responsabili di disuguaglianze. Riconoscerlo significa delegittimarle; negarlo significa voler salvare capra e cavoli, pensare di essere dalla parte del bene e allo stesso tempo negare che serve un cambiamento drastico. Una persona di estrema destra può anche inneggiare al razzismo, alla brutalità della polizia o alla cultura dello stupro e metterla in pratica; un moderato al massimo può minimizzarne l’impatto.

Riconoscere la pervasività degli abusi sessuali significa dover ascoltare i bambini e gli adulti; donne e uomini; subordinati e capi. Significa rovesciare le vecchie gerarchie su chi va ascoltato, rompere i silenzi che proteggono lo status quo. Nella causa per abusi sessuali contro i Boy scout of America del 2020, più di 95mila persone hanno fatto domanda di risarcimento. Cosa ci è voluto per far stare zitti tutti quei bambini mentre si svolgevano centinaia di migliaia di abusi? Un’enorme riluttanza ad ascoltare e a distruggere la fede in un’istituzione che era parte dello status quo.

Prima della guerra civile americana i centristi erano contrari all’abolizione della schiavitù e prima del 1920 a concedere il voto alle donne. Ai suoi tempi, il movimento per i diritti civili non era popolare come pensano i moderati che di Martin Luther King prediligono le citazioni più educate. Com’è noto, King disse: “Ho quasi raggiunto l’amara conclusione che il grande ostacolo per il nero nel suo cammino verso la libertà non sia il seguace del White citizen’s council o del Ku klux klan, ma il moderato bianco, che è più devoto all’‘ordine’ che alla giustizia; che preferisce una pace negativa, cioè l’assenza di tensione, a una pace positiva, cioè alla presenza della giustizia…”. Come osservava King, lo status quo cambia di continuo e i centristi spesso non vogliono cambiamenti che aumentino i diritti e la giustizia, mentre sono più indulgenti nei confronti dei tentativi della destra di limitare gli uni e l’altra.

In uno studio recente della rivista scientifica Pnas si legge: “Abbiamo misurato l’attività cerebrale di militanti che guardavano dei video politici. Anche se abbiamo mostrato a tutti gli stessi filmati, le risposte cerebrali erano diverse tra progressisti e conservatori. Questa polarizzazione delle percezioni è stata poi acuita da un tratto della personalità: l’intolleranza all’incertezza”. Lo studio parte dal presupposto che le persone alle estremità dello spettro politico abbiano convinzioni forti e siano intolleranti all’incertezza. Ma chi è più intollerante all’incertezza di chi crede sempre alle autorità?

Un altro errore del centrismo è pensare che destra e sinistra siano estremiste in modo simmetrico. La violenza di sinistra è un esperimento fallito tramontato negli anni settanta. Inoltre, negli ultimi anni le voci più forti della sinistra hanno quasi sempre detto verità importanti, mentre quelle della destra hanno strombazzato bugie e si sono schierate contro i diritti umani. Un esempio sono tutte le falsità sull’aborto usate per giustificare le restrizioni all’interruzione di gravidanza. Un altro è il dibattito sulla crisi climatica.

Attivisti e scienziati dicono da tempo che siamo in una situazione drammatica. Eppure l’appello al cambiamento è presentato come una tesi estrema, invece che come la reazione necessaria a una crisi estrema. Da destra sono arrivati appelli a negare la scienza. Il 18 maggio, seppur tardivamente, l’Agenzia internazionale dell’energia ha sottoscritto quello che i gruppi ambientalisti sostengono da anni: bisogna interrompere l’esplorazione e l’estrazione di nuovi combustibili fossili. È questo il cambiamento necessario per preservare il pianeta.

È stato forse da estremisti avere ragione troppo presto? Spesso quella che viene chiamata “sinistra” è solo più avanti in tema di diritti umani e giustizia ambientale, mentre la destra nega l’esistenza del problema. Non c’è simmetria. Molte di quelle che ora sono considerate posizioni moderate, centriste, erano viste come radicali non molto tempo fa, quando gli Stati Uniti sostenevano la segregazione, vietavano i matrimoni misti e poi quelli omosessuali, impedivano alle donne di ricoprire alcune posizioni e alle persone queer altre, ed escludevano le persone disabili da quasi tutto. Il centro è di parte, e questa parzialità conta.

Questo articolo è stato pubblicato su Internazionale il 13 giugno 2021

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati