Altri 45 giorni di carcere. La custodia cautelare in carcere in Egitto per Patrick Zaki è stata prolungata per l’ennesima volta. L’avvocata, Hoda Nasrallah, uno dei legali che segue la vicenda, ha annuncia l’esito dell’udienza svoltasi ieri e reso noto oggi dalla Procura egiziana all’Ansa. Altri “45 giorni, come ogni volta”, si è limitata a dire al telefono l’avvocata. Lo studente dell’Università “Alma Mater” di Bologna è in prigione in Egitto dal febbraio dell’anno scorso con l’accusa di propaganda sovversiva su internet. Il 29enne era stato arrestato in circostanze controverse il 7 febbraio dell’anno scorso e, secondo Amnesty International, rischia fino a 25 anni di carcere. In Egitto chi pubblica informazioni sulla situazione interna del Paese in modo da danneggiare lo Stato e i suoi interessi nazionali è punibile con una reclusione da sei mesi a cinque anni, oltre che con una multa, secondo l’articolo 80 della codice penale. “L’ennesimo rinnovo che non lascia spazio a dubbi: la sua detenzione è un accanimento giudiziario” scrive Amnesty Italia su Twitter.
Per Patrick però c’è anche l’accusa di “tentativo di rovesciare il regime”, ha ricordato all’Ansa un altro avvocato, Mohamed Halim, confermando che potrebbe quindi essere condannato all’ergastolo o deferito alla Giustizia militare. La custodia cautelare in Egitto può durare due anni ma prolungarsi ulteriormente quando emergono altre accuse. Dopo una prima fase di cinque mesi di rinnovi quindicinali ritardati dall’emergenza Covid, ora il caso di Patrick è in quella dei prolungamenti di 45 giorni. Le accuse a suo carico sono basate su dieci post di un account Facebook che i suoi legali considerano fake ma che hanno configurato fra l’altro la “diffusione di notizie false”, l’incitamento alla protesta e l’istigazione alla violenza e “a crimini terroristici”. Patrick, attualmente detenuto nel braccio indagati del carcere cairota di Tora, dove dorme per terra, stava compiendo all’ateneo bolognese in un Master biennale in studi di genere (Gemma).
“Si tratta soprattutto di un’accusa politica di cui recentemente si è fatto abuso utilizzandola” anche contro “bambini, accusati di aver tentato di rovesciare il regime al potere”, ha detto l’avvocato Halim. Secondo un ex rettore della facoltà di Giurisprudenza dell’università del Cairo, Mahmoud Kobeish, in questi casi le indagini di polizia non sono l’unica prova per una condanna e “di solito” si “finisce con la scarcerazione dell’imputato”: “per condannarlo bisogna provare che c’è una persona che progetta e si mette d’accordo con altri per commettere atti di sabotaggio che puntano al sovvertimento dell’ordine costituzionale e al crollo del regime al potere”, ha ricordato il giurista.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 2 giugno 2021