Il disastro dovuto alla crisi pandemica non si cura con la sola urbanistica. L’urbanistica serve, ma ancor più occorre un progetto politico per la città, di ampio respiro, a servizio degli abitanti e delle periferie esistenziali. Altrimenti, il futuro Piano di Firenze si atterrà alla linea già tracciata. Quella dell’urbanistica a “doppio regime”, ordinario e straordinario; fatta di occasioni e annunci; priva di un disegno complessivo dove urbs, civitas e polis siano in relazione tra loro e con l’ecosistema anch’esso in crisi.
Del redigendo Piano, ancora pochi sono i documenti per svolgere una puntuale analisi critica. E, per quanto «sien conte» (Inf. X, 39), le parole diffuse a mezzo stampa dall’assessore Cecilia Del Re (a triplice delega: urbanistica, ambiente, turismo) hanno un sapore autopromozionale che non aiuta. Per chi volesse interpretare il futuro urbano, resta a disposizione il Documento di Avvio (2019). Con tenore narrativo arrendevole, esso dà atto dell’impotenza del Piano cui prelude: l’urbanistica, vi si legge, è fortemente settoriale e quindi «non può incidere» sui fenomeni strutturali (p. 43).
Sui fenomeni strutturali, si sa, è la politica a incidere. Ma quale politica, quella dell’Invest in Florence? Quella che valorizza gli spazi monumentali con gli eventi, che riduce la città a brand da sfruttare sul mercato globale? La politica cittadina ha perseguito, per decenni, un modello fragile, monocolturale, fondato sul turismo predatorio, sul city grabbing, sull’estrazione di valore in una città usata come giacimento. E oggi torna a traguardare il «rilancio turistico».
In questa cornice, all’urbanista non resta che regolamentare l’ordinaria amministrazione (i bisogni di famiglie e piccole imprese). Per ciò che sta fuori dall’ordinario (le intraprese dei grandi investitori) il Piano si rende meno efficace, le previsioni si negoziano, variano. Un solo esempio. Per l’ex ospedale militare San Gallo, il Piano produce la stringente destinazione d’uso «mix di funzioni da definire». Stop. Sarà una variante (stilata per conto della proprietà) a definirle, e non stupisca se propende per il turistico-ricettivo. Quando poi le pur blande regole ostacolano le importanti operazioni immobiliari, il PRG si depotenzia: con una variante all’articolato, l’obbligatorietà del restauro sugli edifici monumentali decade.
Riprendere in mano pubblica le sorti dello spazio fisico è la prima urgenza cui rispondere per salvare Firenze. Urge attuare uno scarto affinché i fondi del Pnrr, piuttosto che nelle Grandi Opere, possano confluire in una moltitudine di opere minori, utili a conferire dignità abitativa ai quartieri. Urge favorire la formazione di un senso diffuso di co-appartenenza alla città, affinché continuare ad abitare a Firenze divenga, oltre che desiderabile, possibile.
Questo articolo è stato pubblicato su La Repubblica – Firenze il 19 maggio 2021