La segregazione, poiché separa le persone a seconda della classe, del colore della pelle, delle scelte sessuali o della geografia, è sempre stata una forma di potere. I lavoratori hanno sempre vissuto in quartieri separati da quelli delle classi medie e alte, in zone con meno servizi, con una qualità dell’aria e dell’acqua più scadente e con molto meno spazio verde.
I popoli indigeni e neri sono stati espropriati dei loro territori, un processo che si è acutizzato negli ultimi decenni, e che li condanna a vivere su terre meno produttive, spesso scoscese e in zone rocciose, come nel caso dei popoli Nasa e Misak del Cauca colombiano (NdT: Regione del Sud-Ovest della Colombia).
Ci sono molte altre forme di segregazione, ma ora ne appaiono di nuove, con la scusa della pandemia. Si preparano i “passaporti sanitari” per attraversare le frontiere, includendo o escludendo i vaccini che le multinazionali privilegiano o rifiutano.
Per esempio, un latinoamericano potrebbe non poter entrare in Europa se è stato vaccinato con il Sinovac, anche se è uno dei vaccini biologici più diffusi nella regione. Non solo esigono la vaccinazione, ma discriminano anche in base alla geografia di provenienza della persona, con una geopolitica sanitaria che aggrava la segregazione.
Siamo di fronte a una finestra di opportunità per coloro che, con la scusa della pandemia, cercano di limitare le libertà ampliando i codici penali. In Uruguay, il parlamento sta per approvare una legge che crea il reato di “pericolo sanitario”, che sarà applicato a coloro che violano le norme sulla salute.
Se il nuovo crimine sembra grave, il fatto che possa essere punito da 3 a 24 mesi di prigione “senza la necessità di dimostrare che la persona ha infettato qualcun altro”, è indicativo della discrezionalità con cui si intendono stabilire le condanne.
Il presidente dell’Associazione degli Avvocati penalisti, Juan Fagúndez, ha definito questa legge “assolutamente fascista”, poiché considera “un errore inventare un reato in queste circostanze e per questo momento”. Come è successo durante la dittatura militare, “ancora una volta ricadrà sui giovani la punizione del loro comportamento”, il che non ha nulla a che vedere con la salute, ma con l’imposizione di una disciplina a intere generazioni che non accettano l’imposizione di comportamenti da parte dello Stato e della polizia.
Fra le cose che si vogliono criminalizzare ci sono le feste e i raduni giovanili, che generano “assembramenti”, una circostanza che la polizia è impegnata a criminalizzare.
Mesi fa, il parlamento uruguaiano ha approvato una legge su un articolo della Costituzione, vietando per quattro mesi “assembramenti di persone” che possono generare un “rischio certo per la salute”. Tuttavia, quando è stato chiesto al governo di definire cosa intende per “assembramento” e quante persone include, la risposta è stata che spetta alla polizia definirlo al momento e sul campo.
In breve, è la polizia, o il “colpo di stato permanente”, per usare le parole di Michel Foucault, che ha il potere di definire se c’è un rischio per la salute quando gruppi di giovani si riuniscono. Negli ultimi mesi, la polizia ha interrotto più di 100 raduni al giorno, in un paese di appena 3 milioni di abitanti. In alcuni casi, si trattava di “gruppi” di sole cinque persone su una spiaggia, come dimostrato sui social network.
Quello che stanno cercando di fare è stringere le viti del controllo sociale vietando le manifestazioni (quella dell’8 marzo a Santiago del Cile è già stata accusata in tutto il mondo di diffondere la pandemia) e limitare i diritti e le libertà permettendo alla polizia di entrare nelle case private, persino di notte, se c’è una denuncia di rischio sanitario.
Interpreto questa situazione come parte della militarizzazione delle nostre società. Il controllo su larga scala, con polizia, telecamere di sorveglianza e droni, è completato da un controllo capillare, che invade ogni angolo della socialità popolare.
Anche qui ci sono differenze di classe e di geografia. Per dissipare qualsiasi accusa di “complottismo”, uno studio sulla mobilità a Montevideo (1,5 milioni di abitanti) con dati di Google, ci dice che la mobilità è diminuita del 51% nelle piazze, nei parchi e sulle spiagge; è scesa del 48% nei ristoranti, nei caffè e nei centri commerciali, e più del 40% nei trasporti pubblici; ma è aumentata del 10% nelle zone residenziali, cioè nei quartieri della classe media e medio-alta.
Siamo forse giunti al panopticon a cielo aperto, una gigantesca prigione le cui sbarre sono poco visibili, perché le sue guardie sono i nostri vicini, e persino noi stessi? Come si può fuggire da una tale prigione?
Non lo sappiamo, perché le forme di dominazione stanno mutando, le nuove si sovrappongono alle vecchie, senza sostituirle. Quello che è certo è che non ci sono vie d’uscita individuali e senza essere organizzati. Il resto dovrà essere improvvisato, provando, sbagliando e riprovando, finché non si riuscirà ad aprire delle brecce.
Questo articolo è stato pubblicato sulla Jornada il 23 aprile 2021.
Traduzione a cura di Camminardomandando, pubblicata su Comune info il 4 maggio 2021