“Sciopera, divertiti, fai la storia”: i lavoratori di Amazon e i rider in lotta

di Andrea Fumagalli e Faber /
25 Marzo 2021 /

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Questa settimana (22-27 marzo 2021) si preannuncia assai importante. Dopo un periodo di incubazione, reso ancor più arduo dalle limitazioni di movimento e di assemblea imposte dall’emergenza sanitaria, sono state indette due giornate di sciopero nel settore della logistica: lunedì 22 marzo sciopera, per la prima volta in Italia, l’intera filiera di Amazon, mentre il 26 marzo è stato proclamato lo sciopero nazionale dei Rider.

Entrambi gli scioperi, pur nelle differenze, sono interni al settore della logistica, un settore che è diventato sempre più nevralgico nell’organizzazione a flussi dell’odierna produzione capitalistica che ha saputo sfruttare in modo efficiente (dal punto di vista dei profitti) lo sviluppo delle piattaforme tecnologiche. Il settore della logistica (che sia funzionale al sistema delle imprese o al consumo finale) è soprattutto caratterizzato da condizioni di lavoro spesso manuali e con bassa qualifica (magazzinaggio e trasporto), e negli ultimi anni ha visto fortemente aumentare la presenza di lavoratori immigrati. Condizioni celate dall’apparente neutralità del freddo algoritmo.

Da un lato questo settore può essere un potenziale luogo di ricomposizione delle diverse produzioni sparse sul territorio, dall’altro è caratterizzato da una eterogeneità di contratti e condizioni di lavoro accomunate da un elevato tasso di sfruttamento. Non è un caso se proprio nella logistica si è registrato negli ultimi anni un livello di conflittualità costante, che spesso ha consentito di conquistare diritti precedentemente negati. E non è un caso se il nuovo paradigma tecnologico degli algoritmi di seconda generazione, della robotica, delle nanotecnologie punta proprio a incrementare il grado di automazione della logistica per ridurre tale conflittualità.

Entrambi gli scioperi presentano delle novità che vale la pena sottolineare.

Amazon: “Strike hard, have fun, make history”

Per la prima volta in Italia e in Europa, lo sciopero di Amazon del 22 marzo non riguarda solo i dipendenti della multinazionale di Bezos ma tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’intera filiera produttiva, che smistano e consegnano in tutta Italia ben 1 milione di pacchi al giorno.

Sono circa 9mila i lavoratori diretti di Amazon Italia Logistica che operano negli hub (immensi magazzini) e nelle station (magazzini più piccoli). Ma accanto a loro, sempre più spesso e non solo nei momenti di picco (es. nel periodo natalizio), ci sono circa altri 9mila lavoratori interinali che portano il rapporto tra lavoratori fissi e precari a 1:1. Vanno poi aggiunti circa 1.500 lavoratori in appalto che in alcuni hub – come quello di Rovigo – gestiscono in completa autonomia il magazzino Amazon. La rete di Amazon è articolata anche in forme “congiunte”. A Soresina (Cremona) gli ordini Amazon vengono gestiti tramite Geodis (la vecchia Zust Ambrosetti) che a sua volta si serve di una società interinale rumena; occupano la struttura immobiliare del vecchio ipermercato chiuso tramite la società Kryalos-Fondo Tannic (il fondo di investimento americano Blackstone, che ha rilevato anche la sede di Via Solferino del Corriere della Sera). Finanza, lavoro e piattaforme così si congiungono nel modello di organizzazione del lavoro del futuro. E poi ci sono circa 19mila driver, gli autisti che portano il pacco direttamente a casa. Nessuno di loro è dipendente diretto Amazon perché il gigante di Jeff Bezos si appoggia su una pluralità di aziende di corrieri riunite in Assoespressi (sebbene usi anche Poste, Sda e altri corrieri).

In totale, la filiera di Amazon, in Italia dà lavoro a circa 40mila addetti, in continua incremento anche se non con lo stesso tasso di crescita dei ricavi dovuto all’aumento degli ordini a causa del Covid-19. In teoria a tutti viene applicato il contratto nazionale della Logistica – ad eccezione dei lavoratori del primo grande magazzino Amazon di Castel San Giovanni a Piacenza, ai quali è stato applicato storicamente il contratto del Commercio e che sono stati protagonisti del primo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori Amazon (24 febbraio 2017, ribattezzato “Red Friday”) – e per questo sono i sindacati dei trasporti ad avere costruito faticosamente una piattaforma di filiera che richiedesse ad Amazon un contratto di secondo livello, al fine di arrivare ad un accordo quadro che armonizzi le condizioni di lavoro e salariali su tutto il territorio.

A ciò si aggiunge una richiesta banale ma fondamentale: il monitoraggio dei ritmi e dei carichi di lavoro. Con l’emergenza sanitaria, il volume di lavoro è raddoppiato mentre non sono di certo raddoppiati né il numero dei lavoratori né i salari. Il risultato sono carichi di lavoro insostenibili sia nei magazzini che per i driver, e conseguente aumento dello sfruttamento. Ma è proprio su tale richiesta che il gigante di Bezos, insieme ad Assoespressi, fa orecchie da mercante.

Rider: “Non per noi ma per tutt*!”

Lo sciopero nazionale dei rider, indetto per il 26 marzo, avviene all’interno di un settore – quello del delivery a domicilio – che viene definito “economy on demand”, dal momento che l’attivazione del servizio avviene per iniziativa del cliente finale e non del produttore. È per questo che la rete RiderXidiritti chiede che allo sciopero partecipino attivamente anche i consumatori, astenendosi per quel giorno dall’ordinare cibo tramite le diverse piattaforme.

Questo sciopero segue e riprende la prima giornata nazionale di mobilitazione dei rider (30 ottobre 2020) e vede tra i punti principali il riconoscimento della subordinazione, il rifiuto dell’accordo truffa tra UGL e Assodelivery, un monte ore minimo garantito, diritti sindacali, aumento della paga oraria e rifiuto del cottimo, riconoscimento degli istituti contrattuali fondamentali quali la malattia, i congedi parentali, la maternità e le ferie.

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, i rider hanno continuato a lavorare senza sosta, ma durante questi mesi sono anche stati in grado di mettere in campo diverse mobilitazioni per il riconoscimento dei propri diritti (a giugno 2020 ad esempio a Milano sono riusciti ad imporre il ripristino del diritto di mettere la bici sui treni, a novembre sono stati protagonisti in diverse città di cortei contro l’accordo truffa dell’UGL). Queste iniziative hanno portato all’apertura di un tavolo al Ministero del Lavoro in merito alla stesura di protocolli riguardanti le condizioni di sicurezza e la lotta al caporalato (si veda a tal proposito il provvedimento del tribunale di Milano del maggio 2020). Inoltre è in corso una trattativa per la definizione di un contratto con Just Eat che, uscendo da Assodelivery, ha finalmente riconosciuto la subordinazione dei rider. A febbraio questo importante risultato è stato anche ribadito da un’altra sentenza del Tribunale meneghino che stabilisce che i rider sono dei lavoratori subordinati a tutti gli effetti e obbliga le piattaforme ad assumerli nei prossimi mesi ().

In risposta alle mobilitazioni, in questi giorni alcune società di food delivery (come Deliveroo) hanno lanciato una nuova app per permettere al cliente di prenotare il take away e di andarlo a ritirare direttamente al ristorante bypassando il rider e rendendo potenzialmente meno efficace lo sciopero.

Se si vuole sostenere fortemente lo sciopero dei rider si può condividere sui social gli hashtag #NODELIVERYDAY#il26nonordino#peoplebeforeprofits, oltre ovviamente a condividere l’invito a non ordinare.

Considerazioni finali

Nella giornata del 26 marzo avranno luogo anche delle mobilitazioni legate al mondo della scuola lanciate da alcuni sindacati di base e dai comitati di Priorità alla Scuola, per chiedere la riapertura in sicurezza delle scuole e di convogliare un numero congruo di risorse del Recovery Plan sulla scuola pubblica.

Inoltre, nella stessa giornata ci sarà uno sciopero della logistica indetto dal SICOBAS come risposta a ciò che è successo a Piacenza relativamente alla vertenza TNT-FedExp: qualche settimana fa, in seguito al blocco dei cancelli per impedire l’uscita della merce da consegnare, la polizia è intervenuta duramente, e circa un mese dopo ha arrestato i due sindacalisti più attivi, distribuito 4 divieti di dimora e fatto 29 perquisizioni con relative denunce. L’intento intimidatorio verso le forme più combattive di organizzazione dei lavoratori risulta evidente.

Gli scioperi e le mobilitazioni di questa settimana possono avviare una ripresa della conflittualità sociale nonostante le limitazioni dovute al Covid-19: una sorta di “primavera calda”, che ricomincia a pensare a una strategia offensiva, non limitandosi quindi a chiedere che venga rispettato ciò che è stato già pattuito, ma avanzando nella pretesa di nuovi diritti.

Si tratta inoltre di scioperi che possono far male alle controparti, e ciò è proprio il compito di uno sciopero: provocare danni economici e di immagine alla controparte per aumentare il proprio peso nei rapporti di forza. Per questo si tratta di un banco di prova, considerata la perdita di rappresentanza sindacale a seguito anche delle strategie accomodanti e concertative dei sindacati tradizionali. Negli ultimi anni, tuttavia, nella logistica si sono sviluppati forme di autorganizzazione e sindacati di base molto più conflittuali e con un forte protagonismo dei lavoratori migranti, che mettono a repentaglio la convinzione padronale di non dover fronteggiare nessuna forma di sindacalizzazione interna e quindi di avere mano libera.

L’appoggio che potremmo dare a queste giornate, astenendoci dall’ordinare qualcosa e condividendo i vari appelli a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici, sarà importante per la riuscita degli scioperi. Ai tempi della sfavillante Gig Economy la vecchia arma dello sciopero, se in grado di bloccare tutti i flussi della produzione, può ancora fare molto male.

Questo articolo è stato pubblicato su Effimera il 22 marzo 2021

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