L’omofobia è dappertutto

di Massimo Prearo /
25 Marzo 2021 /

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L’affettività non eteronormata per il Vaticano è «oggettivamente disordinata», per la politica italiana una «formazione sociale specifica» con meno diritti. Le aggressioni sono la punta dell’iceberg.

Le immagini dell’aggressione subita da due ragazzi gay sulla banchina della metropolitana di Roma mentre si scambiavano un bacio mostrano drammaticamente il volto dell’omofobia, e più generalmente della violenza e delle discriminazioni specifiche che pesano sulle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, intersex e non conformi alle norme di genere e della sessualità (Lgbti+). 

Ma, altrettanto drammaticamente, sono purtroppo immagini prevedibili, anzi, previste. L’indagine European Lgbti+ Survey II, condotta dall’Agenzia dell’Unione europea per i Diritti Fondamentali (Fra) nel 2019 su un campione di circa 140.000 persone Lgbti+, ha fatto emergere che 1 persona su 10 (ovvero l’11%, percentuale che sale al 17% per le persone trans e al 22% per le persone intersex) dichiara di aver subito una o più aggressioni fisiche o sessuali negli ultimi cinque anni. 

Per quanto riguarda le condizioni in cui sono avvenute tali aggressioni, «la maggior parte delle aggressioni fisiche o sessuali motivate dall’odio è commessa da un solo autore (56%)», sebbene una notevole percentuale (44%) sia stata commessa da due o più aggressori. «In più di 3 casi su 4 (77%), l’autore della più recente aggressione fisica o sessuale era un uomo». Riguardo il profilo delle vittime, «l’aggressione fisica o sessuale motivata dall’odio è più comune tra i giovani adulti (18-24 anni). Tra gli intervistati di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 14% ha subito un’aggressione di questo tipo nei 5 anni precedenti l’indagine». Infine, «le persone intervistate dichiarano che la maggior parte degli incidenti di aggressione fisica o sessuale sono avvenuti in pubblico – per strada, in una piazza, un parco, un parcheggio o altro luogo pubblico (51%). Altri luoghi comunemente menzionati sono un caffè, un ristorante, un pub o un club (12%) e i trasporti pubblici (10%)».

Previste e prevedibili, le violenze e le aggressioni che le persone Lgbti+ subiscono anche in Italia sono una realtà fatta di pugni e calci, come nel caso della metropolitana romana, e un’esperienza quotidiana di paura o di timore di subire un’aggressione (secondo la stessa indagine, in Italia, il 63% delle persone Lgbti che hanno risposto dichiara di evitare sempre o spesso di tenersi per mano in pubblico con il o la partner per paura di essere aggredite o molestate).

Questi dati rivelano un fenomeno diffuso di violazione dei corpi delle persone Lgbti+ che arriva – a valle – fino a queste forme di violenza fisica, agita il più delle volte da aggressori uomini in luoghi pubblici; ma che si manifesta – a monte – in una continua e permanente negazione delle vite delle persone Lgbti+, della loro legittimità, della loro dignità e dei loro diritti.

Illecite benedizioni nel pensiero vaticano

La dichiarazione che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato il 15 marzo 2021 in settelingue circa l’illiceità di ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le unioni di «persone con inclinazione omosessuale», secondo l’infelice espressione che il Vaticano continua a utilizzare per sottolineare il «problema» dell’omosessualità, ne è un esempio particolarmente incisivo. E nulla cambiano le sottolineature francescofile circa gli elementi «positivi» che sarebbero contenuti in tale dichiarazione quando si precisa che «la Chiesa […] non benedice né può benedire il peccato» ma «benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui», o che «la dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un’ingiusta discriminazione». 

Il punto è che tali benedizioni non sono lecite, dal punto di vista della Chiesa, perché non può e non deve esserci «imitazione o rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull’uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che», ricorda il responsum, citando le parole dell’Amoris Laetitia di Papa Francesco, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». 

Al di là delle vicende interne alla Chiesa, con questa dichiarazione una delle istituzioni centrali del Vaticano interviene in un dibattito pubblico più ampio sulle trasformazioni introdotte negli ultimi decenni nella disciplina delle unioni affettive e familiari. Al contempo interviene prendendo posizione, dottrinariamente parlando, al fianco di quei movimenti neo-cattolici che hanno fatto della lotta contro i diritti delle donne e i diritti Lgbti+ l’occasione di un risveglio del cattolicesimo politico in Italia. E rinvigorendo il potere delle parrocchie nel mobilitare le masse assopite del popolo orfano della Democrazia cristiana e pungolando la politica incantata dalle sirene della democrazia dei diritti, per mettere un freno a quella che essi vedono come una deriva, una caduta, una decadenza, una dittatura, un’apocalisse.  

Il primato matrimoniale nel pensiero politico

Tra la dichiarazione vaticana e l’impianto ideologico e teorico-politico che sostiene la legge che in Italia ha riconosciuto le coppie omosessuali nell’istituto giuridico delle unioni civili, è possibile osservare una sorta di continuità. E per far ciò, è utile ritornare su alcune dichiarazioni di voto espresse durante il dibattito parlamentare da quella stessa classe politica che oggi esprime solidarietà a tutto campo nei confronti delle vittime dell’aggressione omofoba.

Così si esprimeva lapidario il senatore Gian Marco Centinaio della Lega: «Non esiste, Presidente, nessun diritto al riconoscimento pubblico di unioni affettive diverse dalla famiglia» (stenografico del dibattito del 25 febbraio 2016). Perché, ricordava lo stesso senatore un mese prima:

La famiglia è una società naturale: ‘naturale’ vuol dire ‘uomo e donna: sì’, ‘donna e donna: no’ – mi spiace per voi – ‘uomo e uomo: no’. Quando si parla di naturale, è la parola stessa che lo dice. Mi dispiace, signori colleghi, per gli arcobaleno, mi dispiace per i moderni di turno che vogliono aprire a tutto quello che non è società naturale (dibattito al Senato del 28 gennaio 2016). 

Sempre in quota Lega, il deputato Guido Guidesi non esitava a definire la legge in discussione sulle unioni civili «uno scempio» e lanciava un appello:

Ai parlamentari, che sono in giro nelle campagne elettorali, per le parrocchie, e che chiedono il voto alle parrocchie, chiedo oggi di avere un sussulto di coerenza e di dignità e che tentino di fermare questo scempio. Oggi viene lesa la sacralità del matrimonio e viene impressa una maternità surrogata indiretta in questo Paese e qualcuno di voi se ne assume la responsabilità. Oggi a quei parlamentari chiediamo un sussulto di dignità, chiediamo, insieme a noi, di fermare questo scempio, di fermare questo Governo, altrimenti saranno gli elettori sicuramente a fermarvi, nella speranza che però non sia troppo tardi (dibattito alla Camera dell’11 maggio 2016). 

Così, invece, il deputato Alfredo Bazoli del Partito democratico difendeva il testo sulle unioni civili:

Abbiamo scelto la strada che, secondo me, è la più corretta, quella più rispettosa del dettato costituzionale […], cioè abbiamo scelto la strada della introduzione di un istituto autonomo dal matrimonio (dibattito alla Camera del 9 maggio 2016).

Infine, nello stesso campo, la senatrice Monica Cirinnà (Pd), affermava (dibattito al Senato del 2 febbraio 2016,):

La frase che ritengo più falsa è che in Italia stiamo introducendo il matrimonio e l’adozione gay. Questo non è vero: stiamo dando semplicemente tutela giuridica alla vita privata e familiare di coppie omosessuali, attraverso le unioni civili, fondate sull’articolo 2 della Costituzione, che riconosce il valore pubblico delle ‘formazioni sociali specifiche’, e non sull’articolo 29, che riconosce il valore della famiglia come ‘società naturale fondata sul matrimonio’… Abbiamo scelto la via delle unioni civili per rispondere a criteri di prudenza, nella convinzione che alla piena eguaglianza si potrà arrivare passo dopo passo (dibattito al Senato del 2 febbraio 2016).

Il fatto che le unioni delle coppie omosessuali non siano conformi a un presunto progetto «naturale» o «costituzionale», secondo i parlamentari, o «divino», secondo la Chiesa cattolica, è motivo di un trattamento ribassato, di una dichiarazione di inferiorità, di un riconoscimento minore e dunque minorato che scrive sui corpi e sulle vite delle persone Lgbti+ il marchio della discriminazione.

Il continuum della discriminazione

L’aggressione e la violenza fondate su motivi d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere sono la manifestazione concreta di un’idea: le condizioni di vita eterosessuali all’interno del matrimonio hanno un valore intrinseco superiore a condizioni di vita non eterosessuali e non inquadrate dall’unione matrimoniale.  

Esprimere pubblicamente la propria soggettività non eterosessuale e la propria affettività non eteronormata significa rivelare sul proprio corpo il marchio e lo stigma dell’inferiorità, quello che la Chiesa cattolica definisce una condizione «oggettivamente disordinata», un peccato, e quello che la politica italiana definisce una «formazione sociale specifica», una condizione con meno diritti e meno tutele giuridiche (soprattutto per le coppie omogenitoriali), perché meno naturale e «naturalmente» meno riproduttiva.

L’approvazione della legge sulle unioni civili nel 2016 che ha riconosciuto in maniera simile ma non uguale i diritti delle coppie omosessuali è un momento di un continuum della discriminazione fondata sul pregiudizio riproduttivo ed eterosessista, ovvero una linea su cui è possibile collocare eventi e fatti di diverso tipo e diversa provenienza (come l’aggressione omofoba in una metropolitana, la dichiarazione di una Congregazione vaticana, ma anche una legge dello Stato), attraversati da elementi valoriali comuni. 

Le dichiarazioni che accompagnano l’adozione della legge sulle unioni civili e la nota esplicativa del responsum vaticano sono eventi diversi e apparentemente slegati, l’uno politico e l’altro religioso, ma sono sostenute da uno stesso pregiudizio, da una stessa idea discriminante. L’aggressione omofoba di due ragazzi gay scatenata dal loro bacio in una metropolitana di Roma è un ulteriore evento di questo continuum della discriminazione e della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. È l’espressione dello stigma che marchia i corpi delle persone Lgbti+ anche in Italia. 

È un episodio di quel continuum discriminante tra Stato e Chiesa che né la misericordia né la solidarietà possono cancellare.

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 23 marzo 2021

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