Venerdì 12 marzo, sul nostro canale Telegram [sul canale di Giap, n.d.r.], abbiamo segnalato la raccolta fondi Questa è la VIA!, promossa dal comitato “Un altro Appennino è possibile”. L’iniziativa ha lo scopo di incaricare un legale che presenti ricorso al TAR, in merito al progetto di una nuova seggiovia quadriposto, nel Parco del Corno alle Scale, approvato dalla Regione Emilia-Romagna senza nemmeno una Valutazione di Impatto Ambientale.
Il comitato si proponeva di raggranellare 7000 euro in ventun giorni. In ventiquattr’ore ne ha incassati più della metà, con 160 sottoscrizioni. Lunedì 15, dopo tre giorni esatti, l’obiettivo era già raggiunto. Mentre scriviamo queste righe, il crowdfunding ha superato gli 11mila euro, con più di 400 persone che lo hanno sostenuto. L’eccedenza, rispetto alla cifra minima prevista, servirà per far fronte agli inevitabili imprevisti e per organizzare nuove azioni in seguito al ricorso. Nel frattempo, alle associazioni che fin dall’inizio aderivano al comitato, se ne sono aggiunte altre, in un’alleanza senza precedenti tra tutti i principali soggetti che si occupano di escursionismo, ambiente e montagne sul territorio regionale.
Questo straordinario risultato va ben al di là del caso specifico e delle sue ricadute locali. Ci sembra l’indizio di una mutata sensibilità, sia nel rapporto tra metropoli e terre alte, sia in quello tra i cittadini e le amministrazioni pubbliche.
Il nuovo impianto di risalita sul Corno alle Scale, proprio in quanto “nuovo”, dovrebbe essere sottoposto a una VIA. Ci si aspetterebbe che la Regione assolvesse al suo ruolo di controllo, imponendo ai proponenti di rispettare le regole e le verifiche del caso. Invece, è lo stesso soggetto pubblico, per bocca dell’assessore al Turismo, a specificare che “non si tratta di una nuova seggiovia ma dell’ammodernamento di quella che già c’è, […] con nuovi piloni posti a fianco di quelli esistenti, e la successiva eliminazione di quelli vecchi. L’ estensione rispetto al tracciato attuale riguarda soltanto il posizionamento della stazione di partenza, lievemente più in basso rispetto all’esistente, e di quella di arrivo a quota leggermente superiore.”
Chiunque sappia leggere una mappa, come quella che riportiamo qui a fianco, si rende invece conto che: a) la “quota leggermente superiore” sono cento metri di dislivello; b) il nuovo impianto ferisce un’area nuova, con almeno 200 metri di infrastruttura e una nuova stazione di testa; c) Il nuovo impianto prevede anche una stazione intermedia; d) Dei due impianti “sostituiti” dal nuovo, il numero 2 è uno skilift e si trova in tutt’altra posizione.
Se poi, oltre a guardare una mappa, si legge anche qualche documento, ci si accorge che: e) Questo secondo impianto “sostituito” dal nuovo, in realtà è fermo da diversi anni (causa vento) e ha raggiunto nel 2017 il termine previsto dalla legge per la sua “vita tecnica”; f) Che l’altro impianto potrebbe invece lavorare fino al 2039; g) Che anche nell’area “già impattata” da quest’impianto la sua “sostituzione” comporterebbe nuovi scavi, nuovi plinti in cemento per sostenere i nuovi piloni, e quindi una vasta, pesante cantierizzazione.
Eppure la Regione, con un certo disprezzo per l’intelligenza dei suoi cittadini, continua a sostenere che il progetto è un “semplice ammodernamento”, con buona pace (e totale silenzio) di chi si è alleato col governatore Bonaccini in campagna elettorale, sventolando la bandiera dell’ambientalismo e del Green New Deal.
Ci pare che il successo del crowdfunding sia anche il sintomo dell’insofferenza diffusa contro un modo di governare che in quest’anno di pandemia ha raggiunto vertici mai toccati. L’arbitrio, in fondo, è lo stesso di certe ordinanze regionali sulla scuola – sospese proprio da alcuni TAR – o dei lockdown portati avanti a suon di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, in barba alle garanzie costituzionali (un dettaglio di cui ci si è resi conto dopo un annetto, passando alla chetichella a uno strumento giuridico diverso, il Decreto Legge.)
Di recente, otto escursionisti modenesi sono stati multati da Carabinieri sugli sci, durante una ciaspolata, per aver varcato il confine tra la Provincia di Modena (arancione) e la Città Metropolitana di Bologna (arancione scuro), proprio sul Corno alle Scale. Un confine invisibile, reso ancor più incerto dalla neve. È emblematico che il potere usi le carte geografiche per sorvegliare & punire, salvo poi dimenticarsele quando si tratta di portare un’infrastruttura a una “quota leggermente superiore”. Ed è emblematico che si colpisca come “invadente” un’attività innocua, economica, all’aria aperta, priva di impatti ambientali e virali, mentre si sostiene un tipo di turismo costoso, impattante e invasivo.
Per fortuna, sempre più persone ritengono uno spreco investire quasi 6 milioni di euro in un impianto di risalita, sull’Appennino settentrionale, a 1700 metri di quota, su un crinale battuto da fortissime raffiche di vento, aggiungendo piloni, cavi e costruzioni in un paesaggio delicato, con lo scopo di aumentare le potenzialità turistiche di un’area dove gli inverni sono sempre meno nevosi, mentre in estate il rifugio che sarebbe servito dalla nuova seggiovia è già preso d’assalto, visto che si raggiunge con una salita piacevole, 300 metri di dislivello dal parcheggio più vicino.
Sempre più persone ritengono che quella cifra si potrebbe investire, comunque nel turismo, ma con priorità diverse, e vantaggi meglio distribuiti, smettendo di considerare la montagna come un parco giochi a servizio della città, o come una sua estensione, purtroppo meno produttiva.
La battaglia per difendere il Corno alle Scale è appena all’inizio, ma ci auguriamo che i risultati già raggiunti dal comitato siano di buon auspicio, e d’esempio, non solo per l’Appennino bolognese, ma per tutti i territori investiti da simili “progetti di sviluppo”, dal TSM del Terminillo al Monte Catria, dal comprensorio del Miletto a Camporotondo.