I sogni son desideri: Un sogno chiamato Europa

di Silvia Napoli /
16 Marzo 2021 /

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Venendo a parlare dell’agile volumetto dello storico e scrittore e molto altro ancora, Mauro Maggiorani, per i tipi di Biblioteca Clueb, collana Saggi, titolato appunto Un sogno chiamato Europa, devo dire, che la sollecitazione onirica, ha fatto scattare subito in me una riflessione istintiva sul bisogno e desiderio, che forse molti di noi cittadini del vecchio  Continente, sentiamo di Europa, in quanto istituzione e molto altro ancora. Costantemente frustrati però nelle aspettative che sembrano destinate ad una disillusione alla prova di molteplici applicazioni  nostrane  dei dettami di Bruxelles. E di come in qualche modo l’immagine europea sia più che mai oggi una sorta di prisma, modellato su attese, speranze, istanze, che comunque, di volta in volta sono state diversificate, forse persino contrastanti nelle fasi storiche e a seconda dei punti di vista. Di più, il vento della frammentazione sociale generale nelle società occidentali, è come se in qualche modo sfidasse di continuo il principio di coesione che dovrebbe esserne alla base e riproponesse ad un livello ogni volta più alto le incompiutezze, le contraddizioni, le aporie che da sempre caratterizzano il suo accidentato cammino.

Perché la verità è che Europa, è insieme specchio delle debolezze, delle avidità, delle miopie di un sistema socioculturale sempre più globalizzato, ma anche tensione ideale al superamento di tutto questo.

E senza usare scorciatoie, battendo gli impervi sentieri della nostra stanca democrazia. Quindi Europa, non tanto come accessorio pret a porter da interpretare a seconda dei cambi di stagione, quanto percorso, tuttora in essere e ben lungi dall’essere completato, destinato dunque ad incontrare via via incidenti, regressioni, smottamenti.

La complessità del termine Europa, che è persino geograficamente ed etnicamente cosi difficile da definire, come giustamente ricorda il nostro autore, tanto che si è parlato, a più riprese nel  più o meno recente dibattito pubblico di Europa nordica, Europa continentale, Europa del Mediterraneo, Europa a due velocità, rispetto alla tipologia economica dei diversi Stati, ha radici lontane e affonda nel mito.

In fondo, se ci pensate bene, la narrazione ci consegna le vicende rocambolesche di una fanciulla rapita, stuprata, vittimizzata e ricondotta ad uno status regale previa un risarcimento che come in tante fabulae è una dotazione di poteri, previa una traslazione e una rifondazione. 

Si potrebbe partire da qui, come molte recenti letture artistiche e culturali han fatto negli ultimi anni, per comprendere come questa storia si connoti tuttora come impresa, avventura, audacia in qualche modo della ragione che cerca di trovare attuazioni concrete di una dialettica ardua tra spinte centrifughe, volontà accentratrici e rispetto nell’unità (ma, rispetto a quali valori e criteri?) delle singole reciproche autonomie.

Cosi, non possiamo fare a meno di osservare che, per esempio, il nostro paese è decisamente a cavallo di molte delle tante europe che abbiamo sopracitato e forse sarebbe opportuno un uso più strategico di questa prerogativa, che se non gestita potrebbe rivelarsi rischiosa sotto diversi aspetti.

Nel lessico comune, anche da bar sono entrate le famose direttive europee, che stanno per il termine-legge , in buona sostanza, cosa ben spiegato nel libro, che riguardano tanti nostri aspetti di quotidianità più o meno riusciti, quali certe normative tossicologiche o le rotonde stradali o le Case della salute di grande attualità in questo periodo. Ma è anche di senso comune parlare di Europa fredda e lontana formata per lo più da banchieri, strozzini, tra virgolette, da burocrati capaci solo di imporre normative cappio al collo come il famigerato fiscal compact, da una trazione prevaricante in tutto esercitata da paesi più “forti” ai danni di paesi oggettivamente più deboli, ma che onestamente si può anche dire che conduce, a risultanze a volta totalmente diverse, a seconda che sia pronti ad attivare apparati pubblici efficienti e think tank preparati. Tutti noi ricordiamo lo psicodramma collettivo lacerante scatenato dalla crisi greca, ma anche la resurrezione di paesi come Portogallo e Irlanda.

Sappiamo tutti quante risorse circolino nel bilancio europeo da spendersi in progettualità e anche la tragedia di forme di arretratezza, disuguaglianza  o atavica corruzione che impediscono di spenderle adeguatamente in tal senso. Non abbiamo bisogno di dilungarci sulle vicende pandemiche  per toccare il tasto dolente di una dotazione che ci riguarda da vicino e che sembra creare per ora più scosse telluriche di sistema che benefici comuni.

Proprio per tutti questi aspetti chiaroscurali , il libro di Mauro Maggiorani, in mezzo ad un italico incessante bla bla di opinioni amplificate con ogni mezzo espressivo e comunicativo, ha il pregio di spiccare per la sua utilità, oltrechè per le sue indubbie qualità di scorrevolezza , rapidità di sintesi che si abbina nel corso delle quasi duecento pagine, legende comprese, persino a  lieve ironia e osservazione di costume.

Forse, quello che non ti aspetteresti da un libro che recita sul frontespizio Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea. Bisogna però dire che le variegate esperienze pedagogiche e scrittorie di Maggiorani lo rendono particolarmente versato a questo tipo di operazione  che in un mix centrato di competenza e leggerezza, mette dietro le quinte l’ingombro autoriale in favore della materia evidentemente ben padroneggiata.  Questo non significa certo che il libro voglia collocarsi nel limbo di una presunta neutralità suprapartes, potendo fregiarsi  della significativa prefazione del Presidente Prodi, ma che se oggi ha un senso di continuare a fare un mestiere difficile e svalutato come lo storico, è esattamente per la possibilità che offre a chi lo eserciti con onestà intellettuale, di ricostruire  “ambienti” e circostanze  importanti per l’identità forse persino antropologica di tutti noi.

Il saggio ha il merito di rinfrescarci la memoria su passaggi come quello da comunità ad unione europea  che certo non sono all’ordine del giorno della chiacchiera ma che servono tanto per comprendere assetti e dinamiche dell’oggi.  Del resto l’autore non è comunque nuovo all’interesse scientifico per i temi di politica estera e in particolare per quelli dell’integrazione europea, ne fanno fede i numerosi saggi pubblicati per Carocci e il Mulino. La marcia distintiva di questo è la sua caratteristica di  manualistica, di compendio adatto a continue riletture o consultazioni, proprio come si farebbe con un dizionario, al netto però di aridità e pedanteria, dal momento che ci sono ragioni intellettuali e ideali profonde che lo animano e che vengono da lontano: un interesse per lo scandaglio dei complessi e spesso tiepidi rapporti tra sinistra comunista italiana e processi integrativi europei.

Il volume consta di tre sezioni, la prima delle quali dedicata appunto alla concezione europea  nei due blocchi, stimando grosso modo come range di indagine complessiva tutto il periodo dal  primo al secondo dopoguerra, in specie gli anni 50 e 60.  La seconda che descrive i processi di allargamento e unificazione, con una sottosezione utile per capire di quanti e quali paesi stiamo trattando e la terza parte ci racconta le varie articolazioni economico giuridiche della governance europea. Si arriva fino all’oggi più immediato della pandemia, in una sorta di carrellata o meglio viaggio nella macchina del tempo  che restituisce senso a quanto spesso fatichiamo a decifrare.

Non si nascondono certo problemi e debolezze della pur giovane unione, a cominciare da quella geopolitica a contrasto con una complessiva floridità economica media, la vulnerabilità  ad attacchi e manipolazioni da parte di soggettività diverse nello scacchiere internazionale, che ora operano non solo con atti di terrorismo e destabilizzazione, ma con potenti leve persuasive  legate al nostro ormai cyber mondo iperconnesso. Molte sfide che rischiano di scoraggiare e paralizzare le buone pratiche, specie se non si riesce a condividerle fino in fondo. Insomma  limiti, momenti di stallo, nazionalismi risorgenti, inadempienze e inadeguatezze, ce ne sono moltì, nonché anche forme di paternalismo e coercizione economica, che certo il libro non tralascia, come la cosiddetta troika, vero spauracchio da deficit di bilancio, dentro questo sogno, per non parlare del delicatissimo tema delle politiche migratorie, da sempre estremamente divisivo tra i paesi europei, che facciano parte dell’unione o meno. E il libro, correttamente non è uniocentrico e riesce anche a coinvolgere nel suo dipanarsi paesi che come la Gran Bretagna hanno sempre polemicamente sollecitato con il loro atteggiamento un implicito ripensamento del nostro dirci europei, o altri come la Turchia sospesi tra spinte culturali e assetti militari contrapposti incapaci di praticare maturità democratica.  Questo libro è stato meditato e scritto auspice questa interminabile pandemia e crediamo che la straordinaria evenienza sarà infine una cartina di tornasole non da poco anche per gli equilibri de nostro continente tutto.

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