Narrazioni neoliberistiche e realtà nell’aziendalizzazione del Servizio Sanitario

di Laura Santoro /
24 Febbraio 2021 /

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Nel 2009 Laura Santoro, ex dirigente pubblico della sanità toscana, scriveva quanto segue a proposito del processo di aziendalizzazione del servizio sanitario. Pubblichiamo lo scritto, ampliato da una “conclusione postuma” della stessa autrice, che si rivolge ai giorni d’oggi con un amaro bilancio: la pandemia mostra che paghiamo gli errori di un trentennio.

Il superamento dell’impostazione profondamente innovativa(*) che aveva ispirato la Riforma Sanitaria scaturita dalla Legge 833/78, si è servito di molta narrazione per mettere progressivamente da parte i contenuti di quella Riforma, definita dall’OMS il provvedimento legislativo più avanzato mai prodotto da un Parlamento. Nei suoi venti anni di vita essa ebbe comunque modo di tracciare binari profondi nella coscienza collettiva dei Cittadini e degli Operatori stessi del S.S.N.

(*) un concetto di salute basato sull’ Universalità del diritto alla salute, sulla Prevenzione e sull’Unità Psicofisica della persona negli ambienti di vita e di lavoro.

Il S.S.N. decollava in Italia nel 1980, affidato all’allora Ministro della Salute Renato Altissimo, esponente del Partito Liberale, unica formazione politica che aveva votato compatta contro la Riforma stessa (!) . Quasi contestualmente al suo inizio, si andavano affermando, soprattutto negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, quei concetti ed orientamenti di dottrina neoliberista che indicavano nel libero mercato l’agente di un ciclo che avrebbe apportato benessere non solo alle classi agiate, ma anche alle grandi masse, sostenendo lo sganciamento dello Stato dall’economia per promuoverne la liberalizzazione di ogni settore non strategico e la fine di ogni chiusura doganale. I capitali privati, sempre alla ricerca di settori sicuri in cui realizzare profitti, avevano infatti individuato nei servizi pubblici (trasporti, acqua, sanità) gli spazi da conquistare, perché forieri di una domanda al riparo dalla saturazione dei mercati di beni materiali e dalla riduzione del potere di acquisto dei salari.

Con l’esordire degli anni ’90, il contesto italiano, caratterizzato da un pesante aggravarsi del debito pubblico, fu particolarmente aggredito da martellanti campagne di demonizzazione dell’inefficienza pubblica, prodotta da una logica sprecona perché deresponsabilizzata. Il modello privatistico dell’Azienda veniva conseguentemente indicato come l’esempio virtuoso da seguire, per promuovere efficienza e ridurre i costi nell’erogazione dei servizi.

Ciò premesso e date le ampie implicazioni dell’argomento, questo contributo vuole offrire alcuni spunti di riflessione sulla forbice tra la narrazione e la realtà del paradigma dell’aziendalizzazione della salute, soprattutto in merito a quelle procedure di selezione del merito e del complessivo accesso al sistema premiante nelle Aziende Sanitarie, dove da tempo risulta stabilmente introdotto il percorso della Valutazione all’interno delle carriere dirigenziali, Sanitarie e Non .

Brevi cenni sul contesto legislativo di riferimento.

Con il Dlgs 502 del 1992 in legislatore interveniva sul Servizio Sanitario, organizzandone l’aziendalizzazione. A seguito di tale riordino, il 1 gennaio 1995 le Unità Sanitarie Locali ( USL ) si costituirono in Aziende Sanitarie Locali (ASL) e Aziende Ospedaliere (AO), dotate di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale. Da quella data la loro organizzazione ed il loro funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato che deve ispirarsi a criteri di funzionalità, collegamento delle attività degli uffici, garanzia di imparzialità e di trasparenza.

Quasi contemporaneamente il legislatore interveniva a privatizzare il Rapporto di Pubblico Impiego ( Dlgs. 29/93 ), indicando nel rapporto di fiducia, nella responsabilità diretta, nell’autonomia professionale e nella valutazione dei dirigenti gli elementi di innovazione finalizzati a ridurre lo spessore burocratico della P.A. e facilitare così l’individuazione delle responsabilità. Nei fatti la variabile determinante di tutte le altre si rivelerà essere soprattutto il rapporto fiduciario ( scegliere secondo i propri canoni di fiducia) che, previsto per i soli incarichi apicali della dirigenza (cioè quelli a tempo determinato e con contratti particolarmente remunerati) , risulterà poi esteso anche agli altri dirigenti provenienti da concorsi pubblici, favorendo così quei meccanismi di premio e selezione orientati soprattutto alla fedeltà e alla sottomissione, piuttosto che alla professionalità, all’esperienza e al merito, così tanto in premessa enunciati.

A ulteriore conferma di quanto sopra, interveniva l’art. 3bis del Dlgs 229/99 che, superando il precedente requisito di necessaria esperienza di direzione quinquennale di struttura sanitaria (pubblica o privata), rendeva possibili nomine fiduciarie di personaggi legati alla politica e di rappresentanti del mondo privato degli affari, permettendo loro di guadagnare incarichi ben retribuiti, posti a carico della collettività, ma non necessariamente al servizio del pubblico interesse.

E’ nel proseguimento di questa scia legislativa che si iscrive anche la Legge Costituzionale (3/2001) che riformava il Titolo V della Costituzione e regionalizzava il Servizio Sanitario, addirittura prevedendo al comma 3 dell’art. 116 forme ben più ampie di Autonomia Regionale Differenziata ( oltre alla sanità, spetterebbero alle Regioni richiedenti moltissime altre materie dove operare ulteriori privatizzazioni e frantumazioni delle regole). Ne sono conseguiti un discreto conflitto legislativo tra Stato e Regioni, e al posto di un Modello Unico per tutti i Cittadini, invece tanti Servizi Sanitari Regionali. Su materie concorrenti quali salute, ambienti di vita e di lavoro, lo Stato determina i soli principi generali (in Sanità sono i Livelli Essenziali di Assistenza), lasciando così spazio a:

• prestazioni regionalmente differenziate che hanno reso il Paese sempre più diseguale e ingiusto nell’accesso ai Servizi dedicati alla Salute, un diritto fondamentale riconosciuto dalla nostra Carta Costituzionale.

• progressive privatizzazioni con conseguente perdita di peso del Servizio Pubblico, al quale sono state lasciati gli interventi ( in gergo i DRG ) meno remunerativi. Ma l’aziendalizzazione della tutela pubblica della salute non avrebbe dovuto garantire almeno l’efficienza dei conti?

• moltiplicazione dei centri di spesa e conseguenti aumenti esponenziali della stessa. La spesa sanitaria costituisce circa l’80% dei bilanci regionali ed è pertanto un potente volano per appetiti locali e carriere personali. Il modello unico garantito dal S.S.N. costava meno anche perché era più forte nella contrattazione dell’acquisto di beni e servizi .

In nome del risparmio si sviluppa così una progressiva dismissione della gestione diretta, che dai tradizionali servizi di mensa, lavanderia e manutenzioni, verrà estesa anche ai settori strettamente sanitari e a quelli di supporto amministrativo, senza per questo migliorare le prestazioni finali, né tanto meno abbassarne i costi, solo trasferiti alla voce Acquisto di beni e servizi del Bilancio aziendale. Se l’obiettivo di Spa e di Srl è infatti quello di fare utili, a pensarci bene il ricorso a forme di esternalizzazione non può costituire un reale risparmio.

Allo stato attuale il complessivo Settore Pubblico, del quale fa parte anche il Servizio Sanitario, è oggettivamente caratterizzato da politiche di riduzione del costo del lavoro che colpiscono la dotazione della sua risorsa di personale (un’assunzione ogni 10 pensionamenti) con conseguente maggiore sfruttamento delle risorse lavorative stesse oppure con maggiore ricorso a forme di esternalizzazione. Tale contesto determina un progressivo assottigliamento del potere contrattuale pubblico nei confronti di gruppi privati che stanno realizzando concentrazioni di proprietà nei servizi di assistenza, di cura e di supporto.

Mettendosi nella mani di chi è interessato a garantirsi soprattutto un mercato, come potrà oggettivamente il settore pubblico tutelare l’interesse della collettività da probabili cartelli nei quali il privato possa organizzarsi per costi e complessiva qualità dei servizi?

Purtroppo il ricorso a forme di esternalizzazione (consulenti di ogni ordine e grado, ditte varie scelte per lo svolgimento anche di compiti tecnico amm.vi dapprima invece svolti con maggiore efficienza all’interno) risulta crescente ed è spesso oggetto di valutazioni poco edificanti da parte della Corte dei Conti. Non costituisce necessariamente un risparmio, dato che la ASL non paga solo i costi vivi del servizio che commissiona, ma anche il margine di guadagno del suo fornitore d’opera. Allora l’abbassamento effettivo, per risultare davvero conveniente, finisce quasi sempre per implicare un abbassamento della qualità finale offerta: prestazioni qualitativamente ridotte per l’utenza e maggiore sfruttamento delle risorse lavorative che talvolta risultano anche di qualificazione non adeguata. Si aggiunga che il ricorso eccessivo all’esternalizzazione finisce oltretutto per condannare alla deprofessionalizzazione ( costo umano ed economico ) la risorsa di personale interno di ogni ordine e grado, ove venga parcheggiato in costose scatole vuote, anziché essere altrimenti utilizzato .

Con il dichiarato obiettivo di migliorare la professionalità dei Dirigenti Pubblici, si è andata inoltre affermando una prassi che incoraggia la rotazione degli incarichi. Purtroppo anche in questo caso la forbice tra narrazione e realtà si traduce spesso solo in cambiamenti organizzativi e di apicalità degli incarichi che, se troppo frequenti e ravvicinati, non possono realizzare l’obiettivo dichiarato di arricchire le competenze dirigenziali. Predisporre infatti direttive, assegnare e controllare il lavoro di contesti talvolta addirittura sconosciuti, finisce in sostanza per declassare la funzione dirigenziale a mero ruolo di passaordini, frantumandone dunque la stessa potenzialità creativa dell’autonomia professionale e della responsabilità diretta che il legislatore ( Dlgs.29/93 ) dichiarava di introdurre per stimolare l’efficienza della P.A. Le frequenti rotazioni degli incarichi finiscono inoltre per rendere irrintracciabili proprio le responsabilità, perse come sono tra i meandri del prima e del dopo. Risultano alla lunga soprattutto funzionali alla frantumazione se non alla dispersione stessa delle competenze del settore pubblico, con conseguente caduta qualitativa del servizio e contestuale aumento delle esternalizzazioni stesse.

Alcune parole sullo spessore esistenziale della deprofessionalizzazione.

Per il semplice fatto di esistere, ciascun essere umano ha bisogno di percepire che il proprio operato ( manuale , intellettuale o artistico che esso sia ) possa costituire un sincero contributo al contesto in cui egli vive. Tale fattore è indubbio elemento di crescita umana e professionale, nonché di dignità personale e induce a un circuito virtuoso di creatività, costituendo quella irrinunciabile premessa di sviluppo senza la quale, parlare di gestione delle risorse umane resta un esercizio fuori dalla realtà .

La campagna diffamatoria contro i dipendenti pubblici, avviata nel 2008 dal Ministro Brunetta, si muove sulla scia di una diffusa filosofia che vede anche il maggior partito della sinistra aderire acriticamente a quelle logiche neoliberiste che, deposta a ogni forma di programmazione secondo i bisogni di popolazione, con il Piano di industrializzazione della P.A. si propongono soprattutto di “rafforzare l’autonomia e la responsabilità del datore di lavoro pubblico ( spesso con provenienza dal mondo del privato ) nella gestione delle risorse umane, riconoscendogli competenza esclusiva in materia di valutazione del personale, progressioni economiche, riconoscimento della produttività e mobilità”.

Tale campagna, in effetti finalizzata soprattutto al progressivo definanziamento della Sanità Pubblica in favore di quella Privata, ha accompagnato quei pesanti tagli alle risorse che si sono sostanziati in blocco generalizzato del turnover dei Dipendenti, chiusure di presidi di Medicina Territoriale, riduzione complessiva di posti letto, chiusura dei piccoli Ospedali per investire su quelli Grandi e sulla costruzione o ricostruzione degli stessi con forme di Finanziarizzazione della Sanità Pubblica ( Project Financing sanitari ) per le quali rimando alla specifica nota di aggiornamento a fine documento.

Ma tornando a Brunetta ed alle sue narrazioni, ci sarebbe da dire che è auspicabile che un Dirigente pubblico conosca il lavoro delle persone che dirige e che sia anche in grado di insegnare loro qualcosa, soprattutto organizzativamente, cioè sul piano delle procedure che condizionano le relazioni tra le risorse assegnategli, con l’obiettivo di massimizzarne il rendimento. E’ quindi condivisibile l’introduzione di una valutazione del suo operato. La domanda che però ci si deve porre è come tale utilizzo possa realisticamente essere perseguito ove l’accesso al complessivo sistema premiante venga invece determinato da processi fumosi, poco trasparenti, per non dire arbitrari in quanto finalizzati alla fedeltà ed alla sottomissione .

Per garantire trasparenti processi di Valutazione Professionale è necessario conoscere i confini di ciò che si valuta ed è inoltre importante un contesto di stabilità organizzativa che spesso non esiste.

Ove i cambiamenti organizzativi risultino frequenti e contraddittori, sarà proprio lo status quo a venire incoraggiato piuttosto che iniziative e verifiche serie, in quanto rese oggettivamente difficili dalla frantumazione delle responsabilità, disperse come risulteranno nei tanti rivoli del prima e del dopo. Ecco quindi l’importanza di sostanziare in modo chiaro e non fumoso gli obiettivi e gli ambiti degli incarichi dirigenziali, perché senza precisione ed esattezza non si costruisce un’organizzazione complessa come quella sanitaria. Ma soprattutto non la si controlla, rischiando invece di ingenerare proprio quelle costose frantumazioni burocratiche che il contesto normativo sopra accennato voleva invece evitare. Intendo significare quelle Strutture Operative che, prive di chiare relazioni tra loro, possono in seguito entrare in conflitto, oppure risultare scatole mezze piene …o addirittura vuote e proprio per questo fortemente autoreferenziali. Un’Organizzazione farraginosa e poco stabile si condanna così a non migliorare mai, ma soprattutto si condanna a generare spreco. Il tutto, alla lunga, risulterà economicamente insostenibile e per questo senza futuro .

L’attacco di Brunetta ai cosiddetti fannulloni e allo sperpero di risorse va affrontato in questo senso, per difendere innanzitutto le finalità stesse del Servizio Pubblico e per combattere anche il non insospettabile proposito di volere semplicemente rimpiazzare il personale interno e verificato con contingenti esterni, di qualificazione ignota e dal rendimento non di rado discutibile ( nell’interesse di chi ? e con quali verifiche in questo caso ? ) .

Si ritorna quindi alla premessa d’origine: il processo di Valutazione di cui tanto si parla è figlio dell’Organizzazione e delle sue materiali finalità. La sua trasparenza è quindi necessariamente dipendente dalla delibera che individua l’articolazione organizzativa della ASL stessa .

Perché la valutazione dell’operato dei Dirigenti possa quindi svilupparsi secondo quegli imprescindibili criteri che la discostano quanto più è possibile dall’arbitrio, occorre che gli incarichi non siano definiti solo dal Titolo che li individua ma dalla chiarezza degli ambiti e dei confini degli incarichi stessi ( altrimenti cosa si valuta?).

Accade questo? Purtroppo allo stato attuale i contratti individuali esistono solo per Dirigenti con incarico a tempo determinato, non esistono invece per gli altri, cioè per la maggioranza della Dirigenza che resta così priva di oggettive definizioni delle singole responsabilità: una evidente lacuna per le garanzie di trasparenza della Valutazione stessa e tale limite inficia l’intero impianto presentato come efficiente e meritocratico.

La regionalizzazione introdotta dalla Riforma del Titolo V, ha inoltre consegnato la sanità pubblica al potere politico locale che ordina e comanda, ma nasconde la mano, lasciando che sia il Dirigente (con la sua diretta responsabilità professionale) quello che poi appone la firma a provvedimenti anche poco giustificabili dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza. Nonostante l’autonomia professionale gli consenta di opporsi a ciò che non condivide, il dirigente rischia di incrinare e di compromettere l’osannato rapporto fiduciario. Che fare allora? Il premio o la punizione sarà l’incarico, pesato ( con consistenti differenze stipendiali ) e attribuito secondo finalità a volte poco chiare, anche grazie ad una valutazione che prescinde da risultati misurati secondo criteri predeterminati e trasparenti ; una valutazione direi spesso addomesticata .

La Pubblica Amministrazione è la mano operativa dello Stato. La sua organizzazione dovrebbe assicurarne il buon andamento e l’imparzialità dell’operato. Ma come questo può avvenire in un’Azienda Sanitaria se l’interesse pubblico è così opacamente messo a rischio dal suo stesso impianto privatistico?

Aggiungo inoltre che se l’assetto organizzativo è determinato dalle Direzioni Aziendali, i Nuclei di Valutazione non dovrebbero essere nominati dalle stesse Direzioni, ma più opportunamente da un’istituzione esterna, meglio se di livello nazionale.

Un’ulteriore attenzione meriterebbe il livello di trasparenza della comunicazione che intercorre tra Valutati e Valutatori, perché indicatore della qualità del processo di Valutazione e del clima interno. Quando infatti un’Organizzazione Aziendale è capace di motivare adeguatamente le proprie decisioni, instaura conseguentemente un’interazione positiva con chi lavora al suo interno. Facilita così le condizioni per migliorare, ma senz’altro facilita il complessivo clima delle relazioni. Tale clima inevitabilmente degrada quando invece si assiste alla fuga dalle motivazioni dei propri atti e quando si ricorre a giri di parole che non approdano a nulla o ad esternazioni addirittura arbitrarie, in quanto mirate soprattutto a eludere se non proprio a scoraggiare le legittime richieste di chiarimento espresse da coloro che fanno parte dell’Organizzazione stessa e che non di rado vengono invece trattati come avversari solo perché pongono domande, mentre avversari non sono.

Fatte salve le eventuali garanzie di riservatezza dei nominativi dei Valutati, la comunicazione interna collegata al processo di Valutazione Professionale dovrebbe essere resa accessibile sia alle Regioni di riferimento che tramite la stessa rete interna alla singola Azienda Sanitaria. Con l’ottimismo della volontà, piace in questo caso sperare che il senso del pudore

o del ridicolo possano funzionare da buon deterrente in merito. Al posto della solita Commissione in più o del costoso marchingegno di ultimo grido, l’operazione risulterebbe quantomeno a costo zero, con risparmio per le tasche del contribuente. Offrirebbe senz’altro spunti di riflessione per adeguati correttivi laddove sia evidente la necessità di intervenire a correggere la scarsa trasparenza di un processo di così indubitabile portata.

In momenti di grave crisi etica, oltre che economica, urge infatti non emarginare o cacciare di casa quelli di cui più abbiamo bisogno, per la passione e per le idee che potranno apportare alla causa comune del bene pubblico .

Aprile 2009

Conclusioni Postume – nel 2020/21 con la pandemia, paghiamo gli errori di un trentennio

Il Regionalismo si è spinto molto oltre i confini di un’autonomia armoniosa con lo Stato e la crisi pandemica che da un anno ci affligge, ci ha ulteriormente mostrato il fallimento (o il dolo ?) della Riforma che lo ha prodotto. Le fideistiche ricette neoliberiste per la Sanità sono state sconfessate dalla realtà dell’oggi . Ad un anno dallo scoppio della Pandemia e ancora lontani dalla meta di un’immunità di gregge, il complessivo definanziamento della Sanità Pubblica ha determinato al febbraio 2001 oltre 90000 morti, nonostante l’impegno straordinario e massacrante, se non eroico del personale sanitario ridotto a meno dell’osso. La Lombardia, la regione che più di tutte aveva privatizzato, distrutto la Medicina Territoriale puntando sull’eccellenza dei grandi ospedali, ha pagato il prezzo che ne ha fatto un caso nel mondo.

A distanza di oltre 30 anni si riconosce finalmente che la Sanità è un settore strategico per il Paese. E’ forse troppo tardi per ripensare tutto il percorso legislativo che ci ha portati ad essere uno dei paesi più devastati dalla Pandemia? Il Servizio Sanitario deve ritornare Pubblico e ne va smantellato il suo fallimentare impianto privatistico, a cominciare dalla fiduciarietà, che consente di licenziare gli Operatori ove non siano disponibili a coprire i reati dei loro capi (non si dimentichino i licenziamenti del Trivulzio a seguito delle denunce di alcuni Operatori).

La produzione e la logistica della stessa Industria Biomedicale non meritano un adeguato ripensamento dopo quanto è successo e sta succedendo con il triste ma prevedibile spettacolo legato alla produzione ed all’accaparramento dei dispositivi necessari (prima erano le mascherine, i reagenti, i ventilatori polmonari ) e dei vaccini?

E per carità, che il Legislatore, dopo tutti questi fallimenti, non si impegni a regalarci anche l’Autonomia Differenziata, che attribuirebbe alla Regioni molte più materie ancora dove operare privatizzazioni e frantumazioni delle regole, mandando tutto il Sud letteralmente fuori dal Paese e con esso l’Italia intera. Frammentati così in tante Repubblichette in concorrenza su tutto, saremmo solo piccole prede in lite, a disposizione di predatori più grossi e meglio attrezzati.

Finanziarizzazione della Sanità Pubblica

Il sistema contrattuale dell’Alta velocità, originato dalla Legge obiettivo del 2001 si sta purtroppo trasferendo anche alla gestione della Sanità Pubblica, trasformando il ruolo dello Stato da Proprietario ad Acquirente di Beni e Servizi, il cui incremento annuale dei costi non sarà mai soggetto ai Tagli di Spesa conseguenti al Pareggio di Bilancio. Il danno sarà allora tutto per la Sanità Pubblica , come stanno dimostrando le fallimentari esperienze di 118 progetti di Finanza Privata nel Servizio Britannico ( Vecchi e Cusumano Sole 24 ore del 18/12/12 Rapporto Scock sugli Ospedali Britannici , E. Franceschini su Repubblica 8/2/13 & Ospedali Britannici indagati 4300 pazienti lasciati morire senza cure) .

Cosa è il Project Financing? E’ un Contratto di concessione a titolo oneroso, avente per oggetto la realizzazione di lavori o la gestione di un servizio. A differenza dell’Appalto, la remunerazione consiste nella gestione per un periodo stabilito. Se i lavori sono fatti presto e bene, il Concessionario recupera l’investimento e ci guadagna. Dal 2002 questi Contratti sono in netto aumento perché, a differenza di quelli di Appalto, nascondono il debito contratto, facendolo emergere solo dopo alcuni anni, caricandolo così sulle Generazioni Future.

Il Project Financing all’italiana In tutta Europa questi Contratti prevedono che sul Titolare della Concessione gravi un rischio di mercato. Grazie a complesse architetture contrattuali, tale rischio in Italia è solo a carico delle Società a capitale pubblico che si indebitano con le banche per poi affidare la realizzazione dell’opera ad un Contraente Generale (Legge Obiettivo 2001 e 190/2002) che risultando essere soltanto un Concessionario di costruzione, non si accolla alcun rischio economico.

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