Sessanta associazioni hanno scritto una lettera all’esecutivo per chiedere l’abrogazione del “Decreto Clini” che dal 2013 permette di incenerire i rifiuti negli impianti del cemento. Il “tasso di sostituzione calorica con combustibili di recupero” è oggi al 20,7%, una pratica lontana dal pacchetto europeo sull’economia circolare. Le imprese cementiere vogliono continuare
In Italia dalla primavera del 2013 è possibile bruciare rifiuti, trasformati in CSS (Combustibili solidi secondari), negli impianti per la produzione di cemento. È un lascito di Corrado Clini, ministro dell’Ambiente nel governo guidato da Mario Monti. Tra il 2017 e il 2019, il volume complessivo di CSS bruciati nei forni è cresciuto del 32%, fino a oltre 282mila tonnellate. Il 23 gennaio 2021, però, 60 tra comitati e associazioni hanno scritto una lunga lettera al ministro dell’Ambiente uscente, Sergio Costa, e a quello della Salute, Roberto Speranza, per chiedere l’abrogazione del “Decreto Clini”.
I firmatari della lettera arrivano da Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto e Umbria. Rappresentano il fronte dei comitati che da decine di anni si occupano di salute e ambiente nei territori schiacciati dall’industria del cemento, i cui stabilimenti (nel 2019 erano attive 27 cementerie) in alcuni casi si trovano inglobati nei centri urbani o in aree peculiari dal punto di vista ambientale, come la “conca eugubina“.
L’Italia, sostengono i firmatari, dovrebbe intervenire alla luce dell’ultimo “Decreto di recepimento del pacchetto europeo sull’Economia circolare” (Waste framework directive 2018/851), quello del 3 settembre 2020, che “esclude il recupero ‘energetico’ e considera recupero soltanto quello di materia prima-seconda”. Questo significa, in pratica, che qualunque tipo di rifiuto o CSS da incenerire o co-incenerire è assolutamente fuori luogo né può essere considerato uno strumento di economia circolare.
Secondo l’industria del cemento, tuttavia, il nostro Paese sarebbe ancora indietro rispetto agli altri dell’Unione europea: il “tasso di sostituzione calorica con combustibili di recupero” è oggi al 20,7% mentre in Germania i cosiddetti “combustibili alternativi” rappresentano due terzi dei consumi. Il problema è che questi impianti non sono costruiti per bruciare rifiuti. In più i cementifici hanno limiti di emissione più permissivi rispetto a quelli degli inceneritori di rifiuti.
La richiesta delle associazioni di abrogare il “Decreto Clini” segue quanto fatto anche da alcuni Regioni che con leggi e mozioni hanno avanzato la stessa richiesta. Del resto dal 2013 in Italia è cambiato molto: allora, era il primo febbraio, entrava in vigore una legge “recante disposizioni urgenti per il superamento di situazioni di criticità nella gestione dei rifiuti e di taluni fenomeni di inquinamento ambientale”; nel 2013, in Italia, la raccolta differenziata era ferma al 42,28%, mentre nel 2019 -a fronte di un leggero aumento della quantità complessivamente prodotta di rifiuti solidi urbani, 30,07 milioni di tonnellate contro 29,56 milioni- è salita al 61,35% (Ispra, 2020).
Invece le imprese cementiere chiedono di poter continuare a crescere, a bruciare rifiuti, e immaginano di farlo “nel solco dell’economia circolare e dell’impegno alla mitigazione dei cambiamenti climatici” (così Federbeton nel 2020): vorrebbero arrivare a sostituire il 50% dei combustibili fossili con i CSS. “Per colmare queste differenze con l’Europa è tuttavia necessario un intervento da parte della politica a favore del superamento della sindrome Nimby (acronimo di Not in my back yard), così come la semplificazione dei processi autorizzativi, di durata incerta, che scoraggiano le aziende dal porre in essere investimenti, anche economicamente onerosi, senza alcuna ragionevole certezza sugli esiti dei procedimenti”.
I presunti “comitati Nimby” sarebbero i firmatari della lettera a Costa e Speranza, che restano fedeli a quanto si sa da oltre un decennio, al contenuto di un articolo pubblicato nel febbraio del 2008 sulla rivista Waste Management dal professore Giuseppe Genon del Politecnico di Torino e da Enrico Brizio di Arpa Piemonte. Il titolo: “Perspectives and limits for cement kilns as a destination for RDF” (“Prospettive e limiti dei forni da cemento come destinazione del combustibile da rifiuti”, ovvero il CDR poi ridenominato CSS). Dal testo: “Qualche pericolo potrebbe sorgere per quanto riguarda i metalli pesanti, soprattutto quelli più volatili, a causa della loro presenza nei combustibili di sostituzione e dei loro fattori di trasferimento alle emissioni gassose”.
Eppure in Parlamento un gruppo di Senatori, guidati dal leghista umbro Briziarelli, hanno scritto emendamenti per legittimare l’utilizzo del CSS da parte di tutte le industrie insalubri di prima classe senza alcuna autorizzazione ma con una comunicazione, giustificando questa richiesta “in considerazione del periodo di pandemia che può comportare un incremento della quantità di rifiuti indifferenziati derivante dall’aumento di soggetti in quarantena”.
Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 26 gennaio 2021