Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha fatto un buon proposito per il 2021: ha deciso di essere amabile. Il 12 gennaio ha riunito gli ambasciatori europei ad Ankara e ha manifestato la volontà di “rimettere in sesto” i rapporti. “Speriamo che i nostri amici europei abbiano la stessa intenzione”, ha aggiunto. Il 9 gennaio, in occasione di un incontro con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Erdoğan aveva dichiarato che “il futuro della Turchia è in Europa”.
È lo stesso Erdoğan che poche settimane fa consigliava a Emmanuel Macron di consultare uno psichiatra e sminuiva con disprezzo le critiche europee al comportamento della Turchia nel Mediterraneo orientale.
Ma perché questa inversione di rotta da parte di un uomo che per temperamento è poco portato al compromesso? Quale calcolo lo ha portato a volersi riavvicinare agli europei dopo avere costruito la sua strategia sull’ascesa di una potenza turca autonoma, all’opera (con discreto successo) dalla Libia al Nagorno Karabakh passando per il nord della Siria?
Difficoltà di manovra
La risposta è legata senza dubbio a due fattori: l’economia e Joe Biden.
Il presidente turco è un calcolatore. Nelle sue avventure militari ha ricoperto il ruolo di franco tiratore nonostante faccia parte della Nato, l’alleanza guidata dagli statunitensi. Erdoğan ha tirato la corda fino ad acquistare un sistema antimissile russo, incappando in una serie di frizioni con Washington. Ma al contempo sapeva come parlare con Donald Trump ed è riuscito a ottenere vantaggi dalla relazione con il presidente americano. Con l’avvento di Biden c’è il rischio che la manovra risulti più difficile.
Gli esperti di questioni turche sottolineano che la Turchia si riavvicina all’Europa ogni volta che i rapporti con Washington si complicano. Erdoğan, a quanto pare, è convinto che sia meglio ridurre di una tacca il livello di ostilità con l’Unione europea. Anche perché il mese scorso, per la prima volta, i 27 hanno imposto alcune sanzioni contro Ankara. Erdoğan non è tipo da piegarsi alle minacce, ma è chiaro che preferirebbe evitarne altre.
I rapporti tra la Turchia e l’Unione europea sono la storia di un amore deluso da quando l’Europa, di fatto, ha chiuso la porta a un’adesione turca. Da allora Ankara porta avanti una politica basata sull’islamismo nazional-revanscista, poco apprezzata dagli europei. Ma in gioco ci sono anche molti interessi.
È l’altra motivazione di Erdoğan. L’economia turca, infatti, è in difficoltà. La moneta crolla, gli investimenti esteri sono in ribasso e il ministro delle finanze, tra l’altro genero del presidente, ha dovuto rassegnare le dimissioni a novembre. L’Europa resta il primo partner commerciale della Turchia e assorbe il 41 per cento delle sue esportazioni, uno sbocco vitale.
Come reagire a questa apertura di Erdoğan? Di sicuro l’Europa non si accontenterà delle belle parole per stringere un rapporto più disteso con Ankara. Un primo test arriverà con le discussioni tra Turchia e Grecia sulle riserve di idrocarburi nel mar Egeo, un argomento estremamente delicato. Ma servirà di più per verificare se il proposito di Erdoğan per il 2021 sarà duraturo o se questa improvvisa amabilità è soltanto una messa in scena strategica.
Questo articolo è stato pubblicato su Internazionale il 12 gennaio 2021