Vaccini, l’apartheid globale

di Sarah Lazare /
13 Gennaio 2021 /

Condividi su

Se c’è mai stato un momento per sospendere le norme sui brevetti a livello mondiale e assicurare un’adeguata distribuzione di un vaccino, quel momento è arrivato.

Il gigante farmaceutico Pfizer, il cui vaccino per il Covid-19 con la partner tedesca BioNTech è stato approvato l’11 dicembre per cause di emergenza negli Stati uniti, si è esplicitamente opposto allo sforzo globale per assicurare l’accesso al vaccino ai paesi svantaggiati.

A ottobre India e Sud Africa hanno presentato una proposta al Wto: sospendere l’applicazione dei brevetti per i trattamenti della Covid-19, secondo l’accordo sulla proprietà intellettuale dell’organizzazione, Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (Trips). Supportata ormai da quasi cento paesi, la proposta permetterebbe una produzione più economica dei trattamenti generici per la durata della pandemia.

Mentre i paesi abbienti accumulano scorte di vaccini, e uno studio avverte che un quarto della popolazione mondiale non avrà il vaccino fino al 2022, la proposta – se approvata – avrebbe il potenziale di salvare innumerevoli vite nel Sud del mondo. Ma per adesso Stati uniti, Unione europea, Gran Bretagna, Norvegia, Svizzera, Giappone e Canada sono riuscite a bloccare la proposta, in un contesto in cui posticipare porterà quasi certamente ancora più morti.

L’industria farmaceutica, preoccupata di proteggere i suoi profitti, è un potente aiuto in questa opposizione, con Pfizer in prima linea. «La proprietà intellettuale, che è il sangue del settore privato, è quella che ha portato a una soluzione per questa pandemia e non rappresenta una barriera in questo momento» ha dichiarato Albert Bourla, direttore esecutivo di Pfizer. E in un articolo su The Lancet del 5 dicembre, Pfizer ha registrato la sua opposizione alla proposta dicendo che «un modello ‘a taglia unica’ trascura le circostanze specifiche di ogni situazione, ogni prodotto e ogni paese». Gli appelli di Pfizer danno a credere che la regolamentazione della proprietà intellettuale e i monopoli farmaceutici rappresentino un ordine globale di buon senso i cui benefici per la società umana sono evidenti. In realtà queste norme internazionali sono relativamente recenti, e sono state modellate, in parte, dalla stessa Pfizer.

Tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, l’azienda ha giocato un ruolo decisivo nello stabilire proprio le norme sulla proprietà intellettuale dell’Organizzazione mondiale del commercio, che adesso invoca contro l’apertura delle scorte di vaccini ai paesi poveri. Il «sangue del settore privato» di cui parla Bourla non è uno stato di cose naturale, ma riflette una struttura del commercio globale che questa azienda ha aiutato a creare a discapito di persone svantaggiate in tutto il mondo che chiedono l’accesso a medicinali salvavita.

Una campagna corporate

A metà degli anni Ottanta, Edmund Pratt, allora presidente di Pfizer, aveva un missione: assicurarsi che una forte protezione della proprietà intellettuale (Ip) fosse inclusa nelle discussioni della sessione Uruguay Round del Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade), le negoziazioni internazionali sul commercio che avrebbero portato alla fondazione del Wto nel 1995. Il suo calcolo era semplice: queste protezioni erano vitali per proteggere la «competitività» globale della sua compagnia e altre industrie statunitensi.

A suo vantaggio, Pratt aveva un considerevole potere istituzionale oltre il suo ruolo aziendale diretto. Come gli autori Charan Devereaux, Robert Z. Lawrence, e Michael D. Watkins hanno appuntato nel loro libro Case Studies in Us Trade Negotiation, Pratt era anche stato membro della commissione di consiglio sulle negoziazioni commerciali delle amministrazioni Carter e Reagan.

Nel 1986 era stato cofondatore dell’Ipc (Intellectual property committee), un organismo che avrebbe continuato incessantemente a costruire relazioni con gruppi industriali in Europa e in Giappone, incontrare i membri della World Intellectual Property Organization delle Nazioni unite, e fare pressione di lobby in maniera aggressiva, il tutto per fare in modo che l’Ip fosse inclusa nelle negoziazioni commerciali.

Sia a livello globale che nazionale, la Pfizer ha giocato un ruolo importante nella promozione dell’idea che il commercio internazionale debba basarsi su ferree regole di proprietà intellettuale, e al tempo stesso a rappresentare gli Stati che non seguivano le regole statunitensi come dediti alla «pirateria».

Come scrivono Peter Drahos e John Braithwaite nel loro libro Information Feudalism, «come il battito di un tom-tom, il messaggio sulla proprietà intellettuale ha accompagnato la rete di affari delle camere di commercio, dei consigli direttivi, delle commissioni industriali, delle associazioni e altri enti commerciali. Progressivamente, i dirigenti della Pfizer che occupavano posizioni chiave in organizzazioni d’affari strategiche erano in grado di assicurarsi il loro supporto per un approccio alla proprietà intellettuale basata sul commercio».

Non era affatto scontato, all’epoca, che la proprietà intellettuale dovesse entrare a far parte delle negoziazioni commerciali. Molti paesi del Terzo Mondo resistettero a questa inclusione, sulla base dell’idea che regole più severe sulla proprietà intellettuale avrebbero protetto il potere monopolistico delle multinazionali e danneggiato i controlli domestici sui prezzi, come spiegato in Case Studies in Us Trade Negotiation.

Nel 1982, il primo ministro indiano Indira Gandhi disse alla World Health Assembly:

L’idea di un mondo più ordinato è quella in cui la scoperta medica sarà libera da tutti i brevetti e non ci sarà la possibilità di fare profitto sulla vita e sulla morte.

Il giornale Christian Science Monitor, nel 1986, scrisse che

il Brasile e l’Argentina sono stati alla testa di un gruppo di paesi che ha bloccato i tentativi statunitensi di includere la protezione della proprietà intellettuale alle prossime conferenze.

Tuttavia Pratt aveva alleati potenti, che includevano il presidente della Ibm John Opel, e i loro sforzi giocarono un ruolo importante per assicurarsi che i Trips – insieme di regole sulla proprietà intellettuale – fossero inclusi nelle negoziazioni Gatt.

Pratt, da parte sua, si prese parte del merito per lo sviluppo. Questo disse Pratt, secondo il libro Whose Trade Organization? A comprehensive guide to the Wto:

La vittoria corrente sui Gatt, che hanno stabilito provvedimenti per la proprietà intellettuale, sono risultati in parte dagli sforzi lungamente combattuti dal governo e dalle aziende statunitensi, inclusa la Pfizer, negli ultimi trent’anni. Ci siamo stati fin dall’inizio, prendendo un ruolo guida.

Durante le negoziazione sui Trips, l’Ipc giocò un ruolo attivo nell’organizzazione dei leader delle multinazionali negli Stati uniti, così come in Europa e Giappone, per supportare regole stringenti di proprietà intellettuale. Quando il Wto fu fondato formalmente, e gli accordi sui Trips furono conclusi, Pratt non era più presidente della Pfizer. Tuttavia il suo contributo, e il ruolo di Pfizer, si sentivano fortemente.

Come notato da Devereaux, Lawrence, e Watkins, i negoziatori statunitensi dissero che erano stati Pratt e Opel che

sostanzialmente indirizzarono, spinsero e manipolarono il governo a includere gli Ip in primo luogo come uno degli argomenti della negoziazione.

Gli accordi del Wto sui Trip, che diventarono effettivi nel 1995, sarebbero diventati «il più importante accordo sulla proprietà intellettuale del ventesimo secolo», come scrivono Drahos e Braithwaite. Portò gran parte del mondo a condividere degli standard minimi per la proprietà intellettuale, includendo i monopoli sui brevetti per le case farmaceutiche, con alcune limitate garanzie e flessibilità.

Dean Baker, economista e cofondatore del Center for Economic and Policy Research (Cepr), una think tank con posizioni di sinistra, dice a In These Times:

I Trips richiedevano ai paesi in via di sviluppo, e a tutti i paesi del mondo, di adottare un tipo di brevetto e regole di copyright di stampo statunitense. Precedentemente, entrambe queste cose erano al di fuori degli accordi commerciali, e quindi i paesi potevano adottare qualsiasi regola preferissero. Entrando negli anni Novanta l’India già aveva un’industria ben sviluppata. Prima dei Trips, l’India non permetteva alle compagnie farmaceutiche di brevettare i farmaci. Potevano brevettare i processi, ma non le sostanze.

Impedire l’accesso ai farmaci

I Trips hanno portato profitti alle aziende farmaceutiche, aumentato i costi farmaceutici negli Usa e limitato ulteriormente la disponibilità di farmaci salvavita nei paesi in via di sviluppo del Wto, secondo il gruppo Public Citizen, che si occupa di vigilanza sulle corporation.

Questa dinamica si è dispiegata spietatamente durante la crisi dell’Aids, che era al suo apice quando il Wto venne istituito. «Per il governo del Sudafrica ci è voluto quasi un decennio per superare i monopoli nelle mani delle aziende farmaceutiche che tenevano in ostaggio il paese, continuando a far morire la popolazione», hanno scritto Achal Prabhala, Arjun Jayadev, e Dean Baker in un recente pezzo sul New York Times.

È difficile pensare a un’argomentazione più forte per sospendere le leggi sulla proprietà intellettuale di una pandemia globale, e questa posizione non è affatto estremista nel contesto politico odierno. Oltre a un’ampia porzione delle mobilitazioni globali, le organizzazioni per i diritti umani e gli esperti di diritti umani delle Nazioni unite hanno fatto sentire le proprie voci per chiedere una sospensione delle leggi sui brevetti.

Le loro richieste si inseriscono nel solco dei movimenti per la giustizia globale degli anni Novanta e dei primi 2000, che additavano il ruolo determinante svolto dal Wto, insieme ad altre istituzioni globali come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, nell’espansione del potere delle corporation ai danni delle tutele legali dei singoli stati, da quelle relative al lavoro, a quelle sull’ambiente o la sanità pubblica. L’influenza fuori scala degli Usa e delle multinazionali americane nel Wto – come emerge chiaramente dal veto alla proposta di blocco dei brevetti – è un perno dell’argomentazione.

Pfizer non è la sola a impedire di sospendere le regole sulla proprietà intellettuale. Le associazioni di categoria dell’industria farmaceutica e le singole aziende – compresa, Moderna, che promuove un altro vaccino contro il Covid-19 – hanno unito le proprie forze contro la proposta di una tregua dalle stringenti regole sulla proprietà intellettuale.

Racconta Baker a In These Times:

L’influenza delll’industria farmaceutica è enorme. Non c’è bisogno di aggiungere che Trump supporterà la posizione dell’industria farmaceutica. Anche Biden dovrà ascoltare le loro richieste e avrà difficoltà a fare qualcosa che non vogliono. Non c’è nessun altro oltre all’industria farmaceutica che si oppone a questo. Sono loro quelli che fanno pressione.

L’industria farmaceutica sta lottando per accumulare informazioni vitali sui vaccini e i trattamenti per il Covid-19 nonostante essi siano stati sviluppati in maniera determinante grazie ai fondi pubblici. Ad esempio BioNTech – partner di Pfizer – ha ricevuto contributi sostanziali dalla Germania. Ma a un costo stimato di 19,50 dollari a dose per le prime 100 milioni di dosi, il vaccino potrebbe essere troppo costoso per molti paesi poveri, in particolare alla luce dei costosi requisiti per lo stoccaggio.

L’azienda farmaceutica AstraZeneca, che ha prodotto un vaccino in collaborazione con Oxford, ha fornito rassicurazioni per aumentare l’accesso dei paesi poveri, e afferma che non trarrà profitto dal vaccino durante la pandemia. Ma al tempo stesso «ha mantenuto il diritto di dichiarare la fine della pandemia intorno al luglio 2021», fanno notare Prabhala, Jayadev e Baker.

Infatti, i dati raccolti finora confermano ciò che avrebbe potuto essere previsto mesi fa: la mappa della povertà globale si sovrappone in modo quasi perfetto a quella del probabile accesso al vaccino. «Gli Usa, il Regno Unito, il Canada e altri stanno cercando di limitare i rischi, prenotando un numero di dosi superiore alla propria popolazione – sostiene il New York Times – mentre molti paesi più poveri hanno difficoltà a prenotare un numero sufficiente di dosi».

Si tratta della logica conseguenza di un sistema progettato fin dall’inizio – sotto l’influsso di un colonialismo mai estirpato – per reiterare le strutture di potere esistenti. Lasciando da parte le «intenzioni», una volta di più i paesi a maggioranza non bianca sono sostanzialmente lasciati a soffrire e morire, mentre il ricco Nord globale produce più di quanto abbia bisogno. E, al tempo stesso, non abbiamo nessuna assicurazione riguardo all’equità dei criteri con cui i paesi ricchi distribuiranno il vaccino al loro interno.

Dato che potremmo assistere a un apartheid globale per la ripartizione dei vaccini, con i paesi poveri incapaci di far fronte a perdite devastanti mentre quelli ricchi raggiungono l’immunità di comunità, non possiamo farci bastare delle vaghe assicurazioni riguardo alla buona fede delle corporation. Usando le parole di Baker: «Perché non dovremmo volere che ogni vaccino raggiunga il massimo della disponibilità?».

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 13 gennaio 2020

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati