E se l’eroe fosse un rivoluzionario?

di Giovanni Iozzoli /
11 Gennaio 2021 /

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«Il viaggio rivoluzionario dell’eroe. Narrare, conoscere, ribellarsi»
a cura di Antongiulio Penequo
Mimesis, pp. 191, 18 €

Chissà cosa penserebbe Chistopher Vogler, sceneggiatore e saggista, autore di un celebre manuale in uso agli scrittori hollywoodiani, se sapesse che il suo Il viaggio dell’eroe è diventato il canovaccio di un volume spregiudicato e colto, in cui il mito dell’Eroe, epico e moderno, diventa il pretesto per ragionare di immaginario e antagonismo sociale. La tesi che ha dato notorietà al lavoro di Vogler è nota e si rifà agli studi di Campbell sui miti epico-religiosi: ogni narrazione, dalla notte dei tempi, rinnova una traiettoria di elementi invarianti, che col mutare delle epoche continua a riprodursi nella sua struttura di fondo, da Gilgamesh al western, passando per Omero. L’eroe, il protagonista di questa meta-storia, incontra il male che perturba gravemente gli equilibri del suo mondo; è costretto a mettersi in viaggio alla ricerca di un rimedio; attraversa vari stadi – tra cui quello centrale della consapevolezza, che lo consacra nel suo ruolo salvifico – e alla fine conquista “l’elisir” che servirà a ripristinare il suo universo sconvolto.

Gli autori di questa raccolta di saggi, pur assumendo lo schema di Vogler, lo sottopongono a ogni tipo di torsione semantica e narrativa, arrivando al nocciolo della faccenda: che succede se l’eroe anziché “restaurare” un ordine simbolico violato, decide di rifondarlo sulla base di nuovi valori? È il grande tema dell’immaginario – quello popolare, di massa, non le suggestioni intellettualoidi di ristrette élite – che rappresenta oggi il terreno su cui ogni ipotesi antagonista, fatica a definirsi e assumere un profilo attrattivo. Gli eroi “rivoluzionari”, le loro epiche, i loro mondi, risultano oggi piuttosto sterili, poco produttivi di suggestioni e valori spendibili nel presente.

Eppure, il tema dell’immaginario resta assolutamente centrale. Come si “racconta” la trasformazione sociale per favorirne l’avvento? Dopotutto un “racconto” cos’è, se non un mattone portato alla costruzione di un grande edificio simbolico che orienta i comportamenti e le aspirazioni dei popoli, servendosi di narrazioni epiche, linguaggi evocativi e figure archetipe? E oggi, il mito della Rivoluzione anticapitalista, su quali aspettative e aspirazioni di massa può rifondarsi? E il proletariato, o la soggettività del processo rivoluzionario, può diventare esso stesso un “eroe collettivo” che realizza il suo viaggio nella storia, affronta le sue sfide e conquista un mondo nuovo? Lo schema vogleriano, come si misura con questo diverso ordine di problemi? 

Gli autori sciorinano un’enorme quantità di opere e citazioni – MarxPasolini, gli zombie-movie, KorshLukács, l’OdisseaTolkienKuhnJung e il romanzo borghese – per intrecciare “l’alto e il basso” della riflessione sull’immaginario, restando sempre con i piedi per terra e cercando di inseguire l’eroe di Vogler nelle sue “vie di fuga”, nella forzatura dei suoi orizzonti, nelle varianti di genere, nello stravolgimento della sua mission restauratrice. Ne viene fuori una rete di ragionamenti assai stimolanti soprattutto per chi studia i dispositivi di costruzione della soggettività nella tarda modernità, perché “interrogarsi sui meccanismi che generano l’azione umana cosciente nell’attuale situazione di crisi sociale ed economica è di per sé imprescindibile”, scrivono i curatori nell’introduzione. È il momento storico è proprio quello giusto.

“La scrittura di questo volume è iniziata quando le mascherine indossate dai giovani in molti paesi del mondo simbolizzavano l’emergere di una nuova soggettività politica, di una rinnovata aspirazione a una vita migliore. Dietro quei dispositivi di protezione dai gas lacrimogeni, lanciati dai corpi militari preposti al mantenimento dello status quo, immaginavamo il caldo sorriso di una comunità umana pronta a impossessarsi del proprio destino, a congedarsi dalla miseria e dall’oppressione di un sistema entropico, incapace di impiegare le proprie immense capacità produttive se non per distruggere la vita e l’ambiente. Quando il libro è stato completato, tuttavia, la mascherina non era più il segno distintivo di una minoranza desiderante all’attacco, ma di una maggioranza aggredita da un nuovo pericoloso virus, confinata nel privato, ridotta a mera somma di monadi terrorizzate e disciplinate”.

Del resto la retorica dell’eroe, di questi tempi, continua a essere spacciata come mito tranquillizzante, protettivo, conservativo: sono eroi i poliziotti che ci “difendono dal degrado”, i militari che “difendono la pace” (anche se sono invasori di un paese lontano mille chilometri), e di recente sono diventati eroi anche gli infermieri (precari e sottopagati), i medici e persino i virologi. A queste ultime figure il canovaccio vogleriano si adatta perfettamente: un elemento maligno si insinua in un mondo perfetto e lo sconvolge; l’eroe “sanitario” lotta strenuamente contro il male e dopo mille prove torna con l’elisir (il vaccino?) che ripristina l’armonia del “mondo perduto”. Attenzione però: “L’inizio del viaggio di questa figura archetipica avviene infatti per causa di una catastrofe, il cosiddetto ‘incidente scatenante’ che nelle narrazioni può essere un tradimento, la scomparsa della persona amata, un torto subito. Si tratta di un collasso del ‘mondo ordinario’ che spinge il protagonista all’azione, al farsi soggetto. Qualcosa di simile avviene anche nella storia della conoscenza e in quella politica. Nella prima assistiamo all’emergere di nuove idee e teorie quando le preesistenti hanno ripetutamente fallito nello spiegare il mondo generando problemi pratici che mettono a rischio la riproduzione sociale; nella seconda il collasso dello Stato dovuto a una guerra persa, a una carestia o a una stessa epidemia, irrobustiscono alternative sociali precedentemente represse che ora si candidano all’egemonia. Da questo punto di vista, la catastrofe, distruggendo il mondo ordinario, ci svela ciò che è sempre vero, ma abitualmente rimosso: ci sono sempre alternative allo stato di cose presente, migliori e peggiori”.

Quindi l’eroe, da figura patriarcale, individualista, conservatrice, dentro l’eccezionalità di una fase storica come questa, potrebbe assumere i contenuti della consapevolezza collettiva e guardare non al ripristino della “normalità” ma al suo definitivo superamento: perché nessun elisir (più o meno vaccinale) potrà metterci al riparo dalle terribili perturbazioni sociali, climatiche e ambientali dell’antropocene.

Nella postfazione Gioacchino Toni, completa la riflessione ragionando sulla figura dell’eroe sportivo nell’epoca in cui, a partire dagli anni Sessanta, il mondo “straordinario” ed eroico del campione solitario, viene invaso e compenetrato dal mondo “ordinario” del conflitto sociale, riconfigurando gli spazi un tempo asettici della dimensione sportiva, che diventano aperti, fluidi, contesi, irrimediabilmente sovvertiti dall’irruzione sulla scena pugilistica e mediatica di Cassius Marcellus Clay JrThe greatest.

Il gruppo di lavoro che ha curato il volume – che goliardicamente assume la denominazione di un misterioso epistemologo brasiliano – nasce da un laboratorio seminariale della Pantera romana, costituito presso la facoltà di Lettere nel lontanissimo 1990. Ha quindi alle spalle trent’anni di vita e percorsi, anche assai diversificati, dei suoi protagonisti (Luca Cangianti, Fabio Ciabatti, Gabriele Guerra, Mazzino Montinari, Maurizio Marrone); alcuni, figli della vecchia rivista autonoma Vis a Visaltri attuali redattori della webzine Carmilla, altri ancora più legati alle traiettorie accademiche. Ma questo libro testimonia la persistenza e il gusto di un’intelligenza collettiva che dura nel tempo e si rinnova; segno di una generazione, quella della caduta del Muro, che non si è inabissata, ha continuato a produrre ricerca ed elaborazione ed è in grado oggi di riflettere su se stessa e sul mondo, con arguzia ed efficacia.

Questo articolo è stato pubblicato su Napoli Monitor l’8 gennaio 2021

Immagine in copertina di escif

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