La violenza contro le donne: una violazione dei diritti umani e le proposte per combatterla al tempo del Covid19

di Elisa Innocenzi /
24 Novembre 2020 /

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I dati Onu 2018 riportano che una donna su tre subisce nella vita violenza fisica o sessuale, soprattutto da parte del partner. Il numero è spaventoso ed esprime, meglio di qualsiasi altro indicatore, la portata strutturale e pervasiva delle manifestazioni di violenza contro le donne nel mondo. La grandezza espressa, però, non si è tradotta in atti concreti di riconoscimento e contrasto se non nel recente passato. La violenza contro le donne, al pari del più ampio problema sociale legato alla condizione femminile, è stata infatti invisibile fino a tempi molto recenti.

I progressi sul riconoscimento di quale piaga sociale rappresentasse, possono dirsi risibili fino al XIX secolo.

Il termine violenza viene utilizzato per la prima volta in un documento internazionale solo nel 1993 con la “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” adottata dall’Onu che

definisce violenza “tutti gli atti di violenza contro le donne, che causano alle donne danni fisici, sessuali o psicologici. Inclusa la minaccia di tali atti, coercizione e privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata.”

Nel 1995 la storica quarta conferenza mondiale sulle donne svoltasi a Pechino emana un programma di azione per conferire più potere alle donne, rappresentando il principale testo giuridicamente vincolante sui diritti delle donne, ma è con la Convenzione di Istanbul nel 2011 , adottata in Italia nel 2013, che si sancisce una tappa fondamentale nella formalizzazione di una identificazione della violenza nei confronti delle donne come Violazione dei diritti umani.

Prima di questi atti, infatti, venivano utilizzati termini diversi come “discriminazione” a significare che rendere palese, evidente e immediata la brutalità del fenomeno, è stata una conquista recente da attribuire alla forza dei movimenti femministi che si sono mobilitati intorno a questo tema, a partire dagli anni settanta per arrivare all’attuale “Non una di meno” .

La storia della conquista dei diritti, del riconoscimento di principi universali di uguaglianza e di inviolabilità del corpo femminile è stata ostacolata da una atavica visione maschilista oppressiva della donna schiacciata nella negazione dei diritti umani e più genericamente nella mancanza di possibilità di affermazione personale.

In Italia l’evoluzione del quadro normativo racconta una storia analoga. Nonostante l’art. 29 della nostra Costituzione proclami “l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” solamente nel 1981 viene abolito il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Nelle parole di Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore nel 1965, tutta la forza di un principio tanto nitido quanto non scontato:

“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.

E’ del 1996 la riforma della legge contro la violenza sessuale che iscrive lo stupro nei reati contro la persona anziché contro la morale. Lo stalking viene riconosciuto come reato nel 2009.

Nel 2013 con la c.d. legge sul Femminicidio il Legislatore interviene, tra l’altro, sull’aggravante in caso di relazione passata o presente con la vittima di violenza.

Parallelamente al quadro istituzionale e normativo anche il percorso nella società del riconoscimento della violenza contro le donne come una piaga sociale lesiva dei diritti umani è stato,ed è ancora, non compiuto. Assistiamo, ancora oggi, ad episodi non sporadici di colpevolizzazione delle vittime dei reati, anche tra i più violenti quali la violenza sessuale o l’omicidio, nonché a nuove modalità di aggressione contro le donne vittime di body shaming, revenge porn e attacchi sessisti tramite le piattaforme social, spesso sottovalutati e non sanzionati neanche a livello morale.

Non deve quindi essere dato per scontato che, anche nel 2020, la violenza contro le donne sia identificata e declinata come tale, sia nel contesto internazionale che nazionale.

Il riconoscimento istituzionale e sociale e i quadri normativi nazionali ed internazionali di riferimento costituiscono il primo, imprescindibile , pilastro del doveroso obiettivo di eliminazione della violenza contro le donne , che vede poi nell’attuazione di misure di prevenzione , protezione e contrasto la messa in opera concreta.

In Italia anche da questo punto di vista molto è stato fatto, dalla nascita dei primi centri antiviolenza alla fine degli anni ottanta agli sportelli antistalking, al numero di pubblica utilità 1522 del dipartimento Pari Opportunità. Si deve continuare nella ricerca e messa in pratica di soluzioni che consentano una svolta drastica alla rimozione della violenza di genere.

In piena pandemia da Covid19, per la quale le donne hanno pagato e stanno pagando un prezzo altissimo è stato presentato a luglio 2020 il documento “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino.”

Il Position Paper è stato redatto da un ampio gruppo di donne coordinato da D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, con i contributi di 68 esperte di 45 diverse associazioni femministe e femminili, della società civile, ONG e sindacati.

La struttura è articolata in sette grandi temi, che sono delle articolazioni più ampie delle 12 aree di Pechino e dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030: sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso; povertà, protezione sociale e servizi sociali; violenza maschile contro le donne; partecipazione, accountability e istituzioni gender-responsive; società pacifiche e inclusive; protezione, conservazione e rigenerazione dell’ambiente e, infine, istituzioni e meccanismi per l’uguaglianza di genere.

La trattazione della Violenza maschile contro le donne esprime una serie di misure ritenute necessarie per non rimanere fermi sulle politiche e pratiche attuali. Tra esse :

● adottare soluzioni coordinate e multi-istituzionali che coinvolgano e valorizzino le associazioni di donne che storicamente hanno fondato Centri antiviolenza e Case rifugio.

● adottare una programmazione pluriennale dei fondi basata sull’analisi periodica dei bisogni e dei costi territoriali, favorire lo snellimento dei procedimenti amministrativi, la liquidazione tempestiva dei fondi con pratiche di trasparenza e accessibilità alle informazioni.

● intervenire in maniera urgente sulla la vittimizzazione secondaria nei procedimenti di affidamento e regolamento dei rapporti genitoriali nei Tribunali civili e nelle procedure avanti al Tribunale per i Minorenni.

● introdurre educazione al genere e alle differenze come obbligatoria a partire dalla fascia 0-6, per tutti gli ordini e gradi e poi permanente.

● lavorare con i gestori delle piattaforme online sensibilizzandoli sul tema della violenza contro le donne perpetrata attraverso mezzi informatici e dell’hate speech, sollecitando la ricerca di meccanismi di segnalazione precoce.

● attivazione di un osservatorio che monitori la narrazione in tutti i media secondo le indicazioni del Manifesto di Venezia.

● formazione dei professionisti e delle professioniste della comunicazione pubblica e privata su come veicolare una corretta, rispettosa e multiforme immagine delle donne e su tutto ciò che riguarda la violenza maschile contro le donne, anche al fine di evitare la vittimizzazione secondaria.

● superare il criterio jus sanguinis per l’ottenimento della cittadinanza per liberare le seconde generazioni da vincoli familiari che possono essere veicolo di violenza e controllo.

● fondare le politiche anti-tratta sul rispetto dei diritti umani delle donne, evitando qualsiasi approccio paternalistico e basandosi sull’idea di empowerment e ascolto qualificato delle donne.

● valorizzare applicazione del percorso sociale dell’art. 18 T.U. immigrazione.

La crisi del sistema economico produttivo che stiamo attraversando a livello mondiale non deve far arretrare l’esigenza di debellare ogni violenza e sopruso nei confronti delle donne, anzi! La ricerca di un equilibrio nuovo che potrebbe rispondere alle profonde storture e disuguaglianze sociali che il Covid19 ha evidenziato, dovrebbe avere come cardine la parità di genere e la fine della violenza sulle donne.

“Non sarò libera finché ogni donna non sarà libera, anche se le sue catene sono molto diverse dalle mie” Audre Lorde

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