Voci dal MEI (meeting degli independenti)

di Silvia Napoli /
23 Novembre 2020 /

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Dal pianeta resistenza è interessante andare a cogliere voci diverse che portano avanti istanze con sfumature che spaziano dall’etico, al civile, al simbolico fino al sindacale. Il tutto proprio alla vigilia della manifestazione su base regionale dei lavoratori dello spettacolo dal vivo indetta da alcuni coordinamenti e dalle confederazioni Cgil Cisl e Uil.

Facciamo pertanto due chiacchiere anche con Giordano Sangiorgi, fondatore di Audiocoop e dall’ inizio dei “90, del Mei, il mitico festival delle etichette musicali indipendenti di Faenza, guarda caso uno dei pochissimi festival in presenza che si sono fatti quest’anno, anche una scommessa vinta per le proposte presentate. Nonostante contingentamenti e distanziamenti, nonostante condizioni climatiche decisamente impegnative, il Mei non ha rinunciato al classico appuntamento clou dei tre giorni di programmazione a fine settembre quello del sabato sera in Piazza del Popolo, permettendosi anche un’inedita appendice trap dedicata ai più giovani in una piazzetta adiacente con la voglia di rilanciare sempre e mai assumere toni rinunciatari.

Mancavano gli elementi fieristici ed espositivi, si sono organizzati pochi incontri seminariali ma di grande valore, sia dal punto di vista strettamente musicale ( vedi quelli con Maroccolo e Pelù, un po’ numi tutelari dell’edizione, in quanto soprattutto ex di quei Litfiba che il Mei lanciò tantissimi lustri addietro), sia da quello concettuale che non può ormai prescindere dalla relazione tra etichette e piattaforme digitali ed è rimasta intatta e quasi potenziata la vena “scoutistica”. Vena che si è espressa nelle ironiche performances di cantantesse molto fresche tra Roma e la Romagna e nella straordinaria esibizione del duo autorale Colapesce –Dimartino, che rivisita con soave mordacia una poetica insulare contemporanea, mentore Battiato.

Ne parliamo a ridosso della manifestazione di piazza Roosevelt, scenario in verità piuttosto anonimo per un presidio di creativi e soprattutto siccome partecipato e vivace, scenario anche paradossalmente “assembrato”, contro la stessa volontà dei manifestanti, in quanto un po’ in congruamente interdette forme di protesta mobili, con il patron Giordano Sangiorgi.

Potremmo cominciare proprio da qui, dagli aspetti rivendicativi della presenza di Mei, perché in questo discorso di resistenze, resilienze e indipendenze che andiamo a fare sicuramente e purtroppo per un pezzo in avanti, si scoperchiano appunto le pentole di tante situazioni non precisamente idilliche nel rapporto con le massime istituzioni culturali del nostro paese.

Nel tempo, posso dire che tutto quello che non solo è nuovo, ma incontra il favore dei giovani e segna nuovi percorsi o sancisce anche una presenza femminile significativa è “indie”. Non più dunque la Cenerentola della discografia e per taluni come lo Stato Sociale, che pure hanno raggiunto la grande fama, si tratta di una scelta precisa, non dell’attesa della major che ti scopra.

Ora, io sono stato sempre convinto della necessità di focalizzare il proprio ragionamento sul tema del prodotto culturale, che non significa svilire la supposta cultura alta, ma il contrario, riconoscere dignità e incentivi a chi crea e quindi diffonde e quindi produce quella cultura

Di fatto la musica degna di contribuzione rimane legata alla lirica e al balletto classico, il nostro settore non percepisce fondi FUS e questa ci è sempre sembrata una grande ingiustizia. Noi come Audiocoop nel tempo ci siamo organizzati e offriamo ai nostri associati assistenza giuridico-amministrativa e inoltre facciamo appunto quello che non si fa ad alto livello e siamo strettamente correlati con WIN, la consociata di livello europeo delle etichette indipendenti. In un anno poi veramente difficile come questo, ci siamo organizzati per uscire dai recinti e dai sentieri più battuti se questi non erano percorribili, cosi, ci siamo anche concentrati sui talk e le presentazioni dei libri e sull’affrontare festival diversi, tra quei pochissimi che c’erano, ponendoci in modo decisamente peculiare e riflessivo rispetto all’editoria di settore e a tante discipline limitrofe. Questo si è visto benissimo per esempio durante il festival estivo Passaggi, di Fano.

Infatti ci sforziamo di combattere è l’ignoranza diffusa anche in materia musicale, cosiddetta non colta: l’ignoranza fa assimilare filoni, tematiche, tendenze in grandi calderoni, quando bisognerebbe operare mille distinguo. Per questo noi non abbiamo appunto paura della trap, come hai potuto verificare e ti ricordo che per primi abbiamo lanciato sulle piazze fenomeni come Mahmood e Ghali: riteniamo la sua hit Cara Italia una sorta di inno di Mameli delle generazioni di nuovi italiani. Come sai, noi siamo un festival musicale e non politico, non partitico, che ha dovuto combattere le sue battaglie, ma siamo comunque orientati. I valori dell’antifascismo sono quelli in cui ci riconosciamo tutti, al di là delle litigiosità di settore e per questo curiamo la raccolta di materiali musicali resistenti e di riletture della musica popolare e partigiana legati alle celebrazioni del 25 aprile, per esempio.

Ma, vorrei sottolinearlo, la mission in cui ci riconosciamo di più, è quella degli scopritori di talenti. Non mi esprimo sui noti talent show che giudico soprattutto operazioni televisive più che musicali e sono favorevole al fatto che ci siano anche giudici diciamo di nicchia al loro interno, proprio per combattere le forme di ignoranza di cui ti parlavo , ma ovvio che noi siamo cosa diversa e che la freschezza di proposte e la grande energia creativa che tu notavi a dispetto di tutto è data dal fatto che i nuovi giovani creativi sono abili nell’uso delle tecnologie e delle piattaforme , da quelle mainstream a quelle più caserecce.

Per questo, anche dalla famosa cameretta, sono potute uscire cose egregie e c’è scambio tra gli artisti stessi. Certo il probabilissimo perdurare della situazione, rende tutto molto difficile, con tournee e date spostate e ricalibrate mille volte e soprattutto un foltissimo indotto di addetti ai lavori e maestranze che rimane di fatto a spasso. Su questo vogliamo essere sostenuti pubblicamente. Non è più sufficiente a questo punto, senza un intervento di scala nazionale, intessere buoni rapporti con le amministrazioni locali di riferimento. I giovani però dovrebbero anche imparare, fuori da snobismi, provincialismi, supposte anarchie da artisti, a curare l’aspetto giuridico contrattuale delle loro competenze, come sono avvezzi a fare all’estero. Faccio timidamente notare come oggigiorno sia cruciale curale già immagine, comunicazione, promozione e forse l’artista non ce la può fare a ricoprire tutte le parti in commedia.

Sangiorgi mi suggerisce il buon vecchio metodo del collettivo: crearsi una sorta di piccola crew di riferimento per accorpare tra amici competenze diverse, visto che le lauree in giurisprudenza sono molto diffuse nel nostro paese, ad esempio e fare naturalmente rete. Una cosa in tutto questo discorso sicuramente da ripensare è la critica musicale, un tempo appannaggio prima, di rivistine che sembravano bollettini di fan club per teenagers e ,in seguito allo sviluppo del concept album vero oggetto di culto a 360 gradi, di zinie o mensili patinati tutti inclini comunque ad una certa involuta magniloquenza che non ha aiutato a mettere le cose con i puntini sugli i Si è insomma preferito con le dovute eccezioni, baloccarsi con una certa autoreferenzialità fuori apparentemente dai contesti storici e sociali, contribuendo ad alimentare la separatezza di cui si diceva. Oggi come sappiamo viviamo nella dittatura dei like e nella demagogia diffusa della tuttologia e dell’zinie a buon mercato, ma probabilmente, la spinta di eventi globali tanti gravi ed incisivi è destinata a far mutare anche questa attitudine.

Mentre ringrazio ancora una volta i miei gentili interlocutori di questa puntata, entrambi da fronti diversissimi, esclusi dai fondi ministeriali e fotografo e osservo la manifestazione del 30 ottobre, sono tante le domande, i dubbi, le perplessità che si affacciano al mio rimuginare, soprattutto ascoltando le perorazioni degli amici del sindacato i che, nonostante la buona volontà di impegnarsi finalmente su un settore che nella nostra regione è di grande peso occupazionale ed economico e rilevanza pubblica, mi sembrano ancora al di sotto dell’asticella che il momento richiederebbe. La cosa difficile da fare, indubbiamente è capire fino in fondo le specificità e le differenze che rischiano di deragliare in sperequata incolmabili, il rapporto profondo con i fruitori, la creatività che può essere messa in campo in forma digitale e anche in forme creative diverse, se è vero che gli spettacoli dalla cameretta non sono altrettanto esaltanti che gli album dalla medesima. Il punto è che da un lato i lavoratori anche più creativi dello spettacolo sono lavoratori, ma, d’altro canto, soffrono particolarmente delle conseguenze concatenanti della pandemia che battono indirettamente sul loro peculiare e soprattutto si riconoscono forse come fronte di lavoratori, precari o meno che siano o siano diventati, proprio nel momento in cui, tra una giungla contrattuale e i vari tentativi di modifica,il Lavoro in generale rischia di diventare un grande punto interrogativo un po’ per tutti.

Penso che forse a questo punto , persino il legittimo sgomento , che è anche di chi scrive, sulle chiusure dei luoghi di spettacolo sia già superato nei fatti e mi voglio riferire alle suggestioni lanciate per esempio via social da Baraldi e Borghesi di Kepler e da Salvatore Papa di Zero Bologna, alla ricerca su temi sensibili come il basic income o, aggiungo io, il caro vecchio lavorare meno lavorare tutti, di un possibile minimo comune denominatore universale che ci faccia sentire tutti meno soli e soprattutto rinnovi il patto tra artisti, operatori, amministratori e infine fruitori. Altrimenti è forte il rischio di rimanere impigliati in un net di grandi monopolizzatori delle piattaforme come You tube, Spotify, a bassa tassazione. Le nuove sorelle al posto delle multinazionali petrolifere, insomma.

Intanto, in questa situazione che oltre ad essere tragedia di per sé, somiglia sempre più ad un difficilissimo rompicapo , si addensano già nubi sulle rassegne prossime venture, cito a caso Porretta Cinema, la seconda tranche di Santarcangelo , il festival Atlas of transitions, anche se nei teatri in realtà si continua a lavorare e provare e anche rassegne bruciate sui nastri di partenza come Kinodromo, dal fronte cinematografico sono già preparate a muoversi in streaming . Stagione Agorà rilancia con la Parola soffiata, esperimento di attori autori in solo live fruiti però in remoto e per questa domenica dei Morti tocca a Marco Cavicchioli con Solitudine da una rilettura dell’autore statunitense Albee.

Il debutto del nuovo attesissimo lavoro di Paolo di Paolo, targato ERT, da l’evocativo titolo WET Market, a segnalare lo scendere diretto nei temi della pandemia e delle sue ricadute di civiltà, intanto si trasformerà in una sorta di radiodramma a puntate a partire dal tre novembre, mentre nulla si sa ancora di una complicata e, mi permetto, dolorosa partita sulla sostituzione alla Direzione di ERT di Claudio Longhi, chiamato alla Direzione del Piccolo di Milano. Quanti nuovi possibili primi giorni, potremo richiedere ai nostri amici teatranti dopo quel famoso 15 giugno in Piazza Maggiore, in cui tutto aveva speranza di ricominciare? Assisteremo ad un nuovo proliferare di tavole rotonde o la rassegnazione sarà il mood prevalente? Non vi resta che rimanere sintonizzati con il Manifesto in rete per scoprirlo.

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