È stata lanciata in italia una mobilitazione per i diritti dei lavoratori tecnologici. Qui di seguito la presentazione di Carola Frediani.
Si chiama Alziamo La Testa, ed è la campagna della sezione italiana di Tech Workers Coalition, una coalizione di lavoratori del mondo tecnologico come programmatrici, sistemisti, designer, grafici, project manager, tester e tutte le altre figure direttamente collegate alle attività di sviluppo. “Una forza lavoro fondamentale per lo sviluppo economico e tecnologico del paese – scrivono i firmatari della lettera-manifesto – che in Italia conta oltre trecentomila persone, tra lavoratori dipendenti e autonomi”. E continua: “Il settore informatico italiano, tanto depredato dalle aziende tech straniere quanto vittima dell’arretratezza della nostra classe dirigente e imprenditoriale, pone il lavoratore di fronte a problemi specifici”. Tra questi sono citati il body rental non autorizzato (la pratica di “affittare” lavoratori del settore ICT ad altre aziende), la questione dei salari “tra i più bassi in Europa”, le università che “si appiattiscono sulla domanda delle grandi aziende di lavoratori poco qualificati”, e la “grande consulenza che assorbe competenze, bandi e appalti senza investire nulla sul territorio, soffocando la nascita di un tessuto produttivo sano”.
Ma c’è anche una parte propositiva. La campagna chiede infatti RAL e scatti di carriera trasparenti, formazione garantita nel contratto, una tecnologia meno schiacciata su interessi a breve termine, società cooperative e orizzontali.
“Questa campagna è principalmente di sensibilizzazione, una chiamata alle armi”, spiega a Guerre di Rete un portavoce che preferisce non essere nominato. “In Italia manca l’humus su cui costruire un movimento di protesta o di sindacalizzazione, sia sul piano meramente culturale che sul piano organizzativo: i tech worker sono divisi, deboli. Quindi formare questo humus e connetterlo a realtà già esistenti in altri settori è la priorità, sono le fondamenta su cui poi costruire altro”.
Tra le iniziative in cantiere ci sono: campagne dedicate agli studenti; una sul tema remote working e relativi diritti; una dedicata ai tech worker creativi (grafici, copywriter, designer ecc). E poi: produzione di materiale educativo per i lavoratori tech su come organizzarsi, sindacalizzarsi; mappatura del settore e anche delle aziende che forniscono software a regimi dittatoriali e corpi militari, principalmente nell’ambito della sicurezza.
Qui il sito della campagna italiana. Qui la pagina Facebook.
Negli ultimi anni il tema della mobilitazione e sindacalizzazione dei lavoratori tech (per molto tempo refrattari a forme di organizzazione collettiva) è andato crescendo, specie all’estero. Ed ha seguito vari filoni: nella ricca Silicon Valley, ad esempio, si è posto l’accento sulla lotta alla discriminazione (di genere, razziale ecc) e al tema del controllo dell’uso finale dei prodotti (quando questi sono ad esempio venduti a committenti militari o agenzie governative che li usano per sorvegliare o reprimere). Ma, specie in altri territori, si sente molto anche il tema salariale, dell’aggiornamento professionale, del riconoscimento di diritti di vario tipo, inclusi quelli civili e politici, come in alcune proteste in India e Bielorussia. Più in generale si è vista una sfida ad alcune culture aziendali che non vedevano di buon occhio l’organizzazione interna dei lavoratori o la richiesta di più trasparenza e accountability. Il movimento è cresciuto a partire soprattutto dal 2018, e il Trumpismo, secondo alcuni osservatori, ha contribuito a spingerlo (insieme ad altri movimenti sociali, dal Metoo a Black Lives Matter). E un momento significativo sono state le proteste interne a Google nel 2018 per il progetto Maven, che doveva fornire al Pentagono una tecnologia di intelligenza artificiale (AI) per migliorare il riconoscimento di oggetti nelle immagini raccolte dai droni e che è stato poi abbandonato. L’azienda di Mountain View aveva deciso di non rinnovare il contratto e si era messa a lavorare a delle regole interne per proibire l’uso di tecnologie di intelligenza artificiale nelle armi. Ma proteste simili si sono viste in altre grosse aziende tech, come Microsoft (di questi temi ne avevo scritto in newsletter, ad esempio qua).
Come ha notato qualcuno, la tecnologia è estremamente importante per il capitalismo americano. E il fatto che un ampio numero di lavoratori tech stia iniziando a mobilitarsi su questi temi è un dato di interesse strategico. In quanto al futuro, tra i tavoli di lavoro dei tech workers c’è sicuramente il rapporto con quei colleghi di aziende tecnologiche che stanno in prima linea nella distribuzione del servizio, tutto il mondo della gig economy e non solo.
Questo articolo è un estratto dalla newsletter settimanale pubblicata su Guerre di Rete