Per il quarto giorno consecutivo migliaia di manifestanti hanno attraversato le strade della capitale e di una quindicina di altre città tailandesi continuando a chiedere le dimissioni del premier, una revisione della Costituzione e la liberazione dei loro compagni arrestati. Dispersa venerdì sera a Bangkok con cannonate d’acqua sparate da camion scortati da moltissimi poliziotti in assetto antisommossa – immagini che hanno fatto il giro del mondo e creato nuovo imbarazzo nel governo – la protesta è riapparsa magicamente anche sabato.
Sfidando le misure imposte dal premier Prayut Chan O Cha, ieri i manifestanti, tra i 20 e i 30mila, si son fatti beffe della polizia, organizzando l’appuntamento delle quattro del pomeriggio in cinque posti diversi rimasti segreti sino alle tre. Per via telematica si sapeva soltanto che era necessario avvicinarsi ad alcune intersezioni stradali e che alle 3 si sarebbe avuta conferma dei luoghi: la conferma è infatti arrivata alle 3 e 10 minuti.
La polizia, nel tentativo di bloccare la gente diretta verso i punti di incontro, ha poi chiuso la metropolitana e la ferrovia veloce per l’aeroporto mentre ha iniziato a spedire agenti per presidiare alcuni luoghi che riteneva sarebbero stati una destinazione possibile. Ma si è sbagliata.
Nei diversi punti di raccolta della città la gente è arrivata leggendo sul suo telefonino il luogo dell’appuntamento e in breve tempo le strade si sono riempite sfidando nuovamente il decreto di emergenza emesso giovedì mattina e approvato dall’esecutivo venerdì. Beffata la polizia e, ovviamente, i servizi segreti dell’esercito, cui non e rimasto che stare a guardare.
La polizia, sia perché colta alla sprovvista, sia perché forse Prayut ha scelto di non usare maniere troppo forti, si è limitate ad aspettare che le manifestazioni disgiunte si esaurissero da sole.
Prayut per ora sceglie una strada relativamente morbida, limitandosi a condannare il movimento «Khana Rassadorn 2563» (Partito del Popolo 2020) che avrebbe sobillato la gente invitandola a infrangere le regole anti Covid e minacciando, mercoledì scorso, addirittura il corteo reale. Ma l’ex generale a capo dell’esecutivo, di cui la piazza chiede la testa, ha detto che, per quanto lo stato di emergenza sia stato inasprito, per ora non ci sarà né coprifuoco né ricorso alla legge marziale. Si e limitato a minacciarne l’utilizzo se le cose dovessero peggiorare. E per ora tace anche il re.
Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto il 17 ottobre 2020