Chi specula sulle ristrutturazioni?

di Sara Zanardini /
15 Ottobre 2020 /

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Lo sbandierato «Superbonus 110» per lavori sugli immobili punta a risolvere la crisi economica e ambientale con un’ulteriore finanziarizzazione dell’economia, creando un mercato del credito d’imposta tutto a vantaggio di banche e grandi aziende

Dal 17 luglio 2020, data in cui il Decreto rilancio è stato convertito in legge, chiunque possieda o stia per acquistare una casa e chiunque lavori nel mondo della ristrutturazione di immobili ha iniziato a darsi da fare, sovraeccitato all’idea di restaurare casa gratis, o per meglio dire a spese dello Stato.

Il decreto Rilancio ha introdotto infatti il «Superbonus 110», che stabilisce una detrazione fiscale del 110% delle spese per interventi effettuati sugli immobili. Il bonus si rivolge nello specifico a condomìni e persone fisiche, su interventi, definiti «trainanti», effettuati in ambito di efficienza energetica e riduzione del rischio sismico, ai quali possono essere aggiunti i cosiddetti interventi «trainati» ovvero secondari, incentivati già in precedenza, che se effettuati congiuntamente ai primi si avvalgono di una detrazione ulteriore. Il Superbonus 110 nasce infatti come evoluzione dell’Ecobonus e più in generale di tutto il sistema di detrazione delle spese di ristrutturazione. 

Ma soffermiamoci sul concetto di «a spese dello Stato». Il meccanismo della detrazione fiscale è concettualmente semplice: tu, proprietario di casa, decidi di effettuare sul tuo immobile alcuni lavori che ne migliorano le prestazioni energetiche o riducono il rischio sismico e lo Stato ti permette di avere uno sconto delle tue tasse ripartito su un certo numero di anni, rinunciando quindi a parte dei soldi dovuti dal contribuente. Ma mentre precedentemente si poteva detrarre tra il 50 e l’85%, in seguito al decreto Rilancio si è aperta la possibilità di detrarre il 110% della spesa sostenuta, una somma addirittura superiore a quanto è costato il lavoro effettuato sull’immobile. 

Le detrazioni fiscali per interventi di risparmio energetico esistono sin dal 2007, e negli anni hanno giocato insieme ad altri sistemi di incentivazione un ruolo chiave nel mondo dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, fornendo uno strumento economico volto a incentivare investimenti del settore green per conseguire gli obiettivi di sostenibilità prefissati a livello nazionale ed europeo. «Incentivare» è da intendersi come «promuovere la scelta»: nel momento in cui un’azienda deve decidere se proporre dei lavori di efficientamento energetico o l’installazione di tecnologie rinnovabili a un potenziale cliente, i soldi che vengono recuperati grazie all’incentivo statale o risparmiati per merito della detrazione fiscale sono considerati una voce di guadagno e possono rappresentare un punto chiave per decidere di proseguire o meno nell’investimento.

È un esempio di quello che viene definito «capitalismo sostenibile» e proposto come modello da perseguire. Siamo perfettamente in grado di fare scelte più sostenibili da un punto di vista ambientale però essendo il profitto al centro di questo modello è necessario che la scelta più «green» sia quella più remunerativa. Ma se l’obiettivo finale è la sostenibilità dal punto di vista ambientale, i passi che portano al raggiungimento della meta non possono essere fatti sulla strada della massimizzazione del profitto. «Capitalismo» e «Sostenibilità ambientale» non sono due facce della stessa medaglia, sono due modelli che si negano vicendevolmente. 

Per superare il paradosso che sta alla base del mito del capitalismo sostenibile e allo stesso tempo mantenersi legati all’idea che un nuovo modello è possibile ma va raggiunto rimanendo legati al vecchio, lo Stato ha ideato il sistema dell’incentivazione pubblica. L’obiettivo della sostenibilità viene così raggiunto e i profitti non subiscono nessun arresto, grazie a un’iniezione di soldi pubblici prelevati dalla fiscalità generale e utilizzati per sostenere un modello fallace. Se per anni l’obiettivo dichiarato è stato quello di promuovere la green economy, lo strumento economico della detrazione viene ora posto in posizione centrale per spingere la ripresa economica del paese. Non è un mistero infatti che il Decreto Rilancio abbia introdotto il cosiddetto Superbonus come strumento a sostegno dell’economia, per stimolare la realizzazione di interventi sugli edifici di carattere strutturale e generare l’apertura di numerosi cantieri, garantendo la completa remunerazione delle spese sostenute, e svelando il reale volto dell’incentivazione: un meccanismo di sostentamento del mercato.

Cosa succede se si decide di accedere al superbonus 110?

Novità interessanti sono state introdotte rispetto al passato, prima fra tutte l’obbligo per le aziende che lavorano per conto di chi accede alle detrazioni del 110% di rispettare delle soglie massime di prezzo sui lavori che vogliono effettuare. Sostanzialmente viene imposto il costo di ogni componente e ogni opera, sulla base dei prezzari regionali e statali. La seconda novità è la possibilità per i proprietari che effettuano i lavori di cedere una parte o la totalità della detrazione del 110% a soggetti terzi in cambio di un compenso immediato.

Cosa significa questo per aziende e proprietari di casa? Facciamo un esempio pratico: il condominio di Parco della Vittoria composto da 10 appartamenti, vuole effettuare dei lavori di ristrutturazione e decide così di rivolgersi all’azienda Lofaccioio Srl per sapere quanto costeranno. Quest’ultima propone un preventivo di 250 mila euro e informa tutti i condomini che i lavori possono accedere al bonus 110, quindi ciascun condomino dovrà pagare 25 mila euro a testa ma riceverà uno sconto di 27,5 mila euro totali che verrà suddiviso in 5 anni. In pratica ogni anno ciascun condomino pagherà 5,5 mila euro in meno di tasse. A questo punto i condomini si riuniscono in assemblea per decidere il da farsi ma si accorgono che uno di loro non può permettersi di spendere 25 mila euro e un altro non ha sufficiente capienza fiscale, ovvero paga un quantitativo di tasse minore di 5,5 mila euro l’anno, per cui perderebbe lo sconto sulle tasse. I proprietari decidono allora di sfruttare la novità relativa alla cessione del credito e pensano quindi alla cessione totale a terzi. Si rivolgono all’azienda Lofaccioio Srl chiedendo di poter usufruire dello sconto in fattura sui lavori; tramite lo sconto in fattura, l’impresa anticiperà la spesa detraibile e il condominio non dovrà versare alcunché. L’azienda guadagnerà dall’intervento ricevendo uno sconto sulle tasse pari a 275 mila euro, il 110% del costo dei lavori, suddiviso su 5 anni. L’amministratore delegato della Lofaccioio Srl non trova però vantaggioso l’accordo; l’azienda è piccola, l’imposizione di una soglia di prezzo su materiali e opere lo porta già ad avere un utile più basso rispetto ad altri lavori e non può permettersi di sopravvivere senza un ingresso reale da reinvestire nell’azienda. Il condominio di Parco della Vittoria non si scoraggia per la risposta ricevuta e decide quindi di rivolgersi a una grossa società o a un istituto di credito. La Banca Bassotti invece che finanziare direttamente i lavori propone loro di comprare la detrazione: tutti i condomini avranno così i soldi per poter pagare i lavori di ristrutturazione ma non potranno usufruire dello sconto sulle tasse. Questo sconto verrà ceduto alla Banca Bassotti e si trasformerà in credito d’imposta, ovvero un credito nei confronti dello Stato, che può essere utilizzato per compensare eventuali debiti dell’azienda nei confronti dell’erario o per il pagamento dei tributi e che volendo potrà essere ceduto ulteriormente.

Quello che traspare dal meccanismo appena descritto è che con «lo sconto sulle tasse» lo Stato sta decidendo coscientemente di rinunciare a parte dei soldi dei contribuenti che dovrebbero essere investiti nei servizi statali per finanziare il privato, senza trarre alcun profitto monetario dai lavori svolti o senza chiedere quote alle aziende e ai soggetti coinvolti. Nel pieno della crisi economica scaturita da una pandemia che ha ben messo in luce le fragilità del nostro sistema, nate da politiche che negli anni hanno puntato a finanziare sempre di più i privati, l’idea di cedere denaro pubblico a fondo perduto sembra una scelta perfettamente in linea con le politiche passate. Quello che però non traspare immediatamente è il soggetto che ne trae realmente vantaggio. I profitti maggiori non vanno ai proprietari di casa o alla piccola media impresa, ma alle banche o ai soggetti economici più grossi in grado di acquistare i crediti altrui e di dilazionare nel tempo il profitto. 

L’esempio mette in evidenza come alle aziende venga proposto di rinunciare alla liquidità usufruendo della detrazione dei loro clienti e di lavorare con un tetto massimo sui prezzi a discapito della libera concorrenza; questo è in totale contrasto con il modello neoliberista che si vuole salvare, basato sul divieto di intromissione statale nel mercato, ma il punto chiave è che l’oggetto del mercato si è spostato: l’interesse non ricade più sulla salvaguardia della libera concorrenza ma sul mercato delle detrazioni costituitosi negli ultimi mesi. La Banca Bassotti non vuole finanziare i lavori tramite prestito e guadagnare dagli interessi derivanti, è interessata a ottenere il credito d’imposta, che può comprare a 100 ma che una volta utilizzato vale 110. Otterrà quindi un guadagno del 10% rispetto ai soldi che ha speso o potrà decidere di cedere ulteriormente il credito tenendo conto del margine che vuole tenersi. Questo significa che viene a costituirsi un mercato del credito d’imposta, dove il «bonus», poi detrazione, poi credito viene comprato a un prezzo più basso del suo reale valore. Ovviamente la Banca Bassotti è detentrice di una quantità di denaro tale che gli permette di comprare la detrazione fiscale del condominio di Parco della Vittoria e di qualunque altro soggetto si trovi nelle stesse condizioni e come lei possono farlo grandi società o intermediari finanziari, chiunque sia in possesso di grandi quantità di denaro può investire in questo mercato con l’intento di pagare meno tasse possibili. 

Il rilancio del paese, dopo la seconda crisi economica in 15 anni, è quindi basato su una finanziarizzazione crescente dell’economia, creando un mercato esclusivo per i grandi detentori di capitale, incoraggiati a prendervi parte da uno Stato che pur di garantire loro il profitto rinuncia alla riscossione di imposte ovvero il patrimonio della collettività.

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin Italia il 14 ottobre 2020

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