Siamo fatti della materia dei sogni, La danza contemporanea italiana sembra realizzare il sogno di sé stessa, come una disciplina non più marginale, decorativa, di contorno o soltanto di importazione.
Sembra ieri che sbarcando a Venezia, Carolyn Carlson cominciava una ricerca, costruendo una filiera di talenti autoctoni di una certa rilevanza che tutt’oggi – vedi Roberto Castello ammirato recentemente per la stagione Agorà – realizzano una drammaturgia danzata con grande intelligenza e ironia scenografica, senza troppo preoccuparsi dei cliché e delle etichette che si fa presto ad affibbiare anche ai lavori più ibridi e innovativi.
Da allora però, non solo si sono rapidamente succedute ed evolute, generazioni di danzatori e autori di grande personalità: la danza innovativa ha saputo uscire un po’ da sé stessa per riaffermarsi sempre protagonista nell’estetica del nuovo circo, del fumetto, del ballo inteso come linguaggio collettivo di intrattenimento per citarne solo alcune, si sono organizzate realtà formative, produttive e reti di cooperazione estese ed efficienti.
Queste realtà hanno sovente avuto un fulcro di valenza extraterritoriale, nelle associazioni di Danza Urbana, settore della performance contemporanea che ha l’indubbio pregio di parlare una sorta di esperanto del gesto e dell’azione che legge i luoghi e gli spazi con attenzione all’antropologia, abbattendo muri e convenzioni linguistiche, quindi prestandosi ad un meccanismo virtuoso di reti a connotazione transnazionale.
Si potrebbe pensare che la pandemia globale abbia giocato per forza di cose un ruolo estremamente negativo, limitando fortemente o addirittura negando gli spostamenti o la vicinanza dei corpi.
Eppure, sorpresa, a giudicare dalle ultime manifestazioni e da quelle che sono in programma, si direbbe che se non proprio in stato di grazia, la nostra nuova danza è in buone condizioni, riesce a trovare spinta vitale esattamente là dove le necessarie forme di adattamento la conducono, non perde in forza espressiva e trova insospettate vie di ricerca ben oltre la pura sopravvivenza, come forse in questo momento meno riesce di fare al teatro.
Ci sentiamo di formulare queste affermazioni, dopo la sequenza dei festival Danza urbana di Bologna, Gender Bender, sempre a Bologna e della ventiduesima edizione del festival Ammutinamenti, creato dalle coreografe Monica Francia e Selina Bassini, con l’intento programmatico, che allora suonava polemico, di dare visibilità e asilo alle proposte della giovane danza d’autore, che al tempo non aveva alcuna speranza di entrare nel cartellone di un teatro e forse non ne nutriva neppure l’ambizione. E gli appuntamenti imperdibili non finiscono qui, il 13 ottobre prende il via la Biennale danza a Venezia, ricca di momenti di riflessione storica per segnalare un campo di attività ormai saldamente presidiato on grande esperienza. E soprattutto alla vigilia in quel di Bologna, dell’apertura l’8 ottobre della seconda edizione di Zed, un festival di circuitazione, creazione e pedagogia digitale molto specifico e adatto ai mutamenti come direbbe qualche guru nostrano (?). Questa ultima edizione, è stata ammutinata e curata nella direzione artistica, non più ufficialmente dalle sue fondatrici ma da un team di giovani operatrici, Daniela Camerani, Francesca Serena Casadio, Christel Grillo, Giulia Melandri e Simona Pucciarelli. Una conduzione collettiva ed all women, dunque, promettente e che fa già parlare di sé.
Ed è con Simona che facciamo alcune considerazioni in merito a come la struttura proteiforme che è l’associazione Cantieri, organizzatrice degli Ammutinamenti abbia retto l’onda d’urto della pandemia.
Ricorre nelle sue osservazioni, la stessa assertiva positività, lo stesso invito ad una autentica ecologia dei corpi e delle menti che abbiamo potuto riscontrare nelle conversazioni su Gender Bender e dunque non può essere un caso fortuito, ma evidentemente uno spirito dei tempi peculiare in questo tipo di contesto. All’inizio ci siamo sgomentati come chiunque, ovvio, ma poi abbiamo avuto al di fuori dai ritmi logoranti della routine, sempre vagamente bulimici, più tempo per pensare ed immaginare e scoprire che i contatti potevano essere mantenuti e che se l’impossibile è indispensabile, come recita il claim della manifestazione appena conclusasi la scorsa settimana, è perché si procede ad un reset, parola mantra campeggiante nel merchandising, della manifestazione. Si distillano e concentrano le esibizioni scegliendo il meglio, si scoprono location insperate, si sperimentano modalità di fruizione inedite. Bisogna qui ricordare che Cantieri Danza è associazione capofila della rete Anticorpi e XL anticorpi che coordina decine e decine di operatori intesi anche come enti, teatri di ricerca e produzione distribuiti in 15 regioni. Ammutinamenti si pone ambiziosamente al confluire delle tendenze prima individuate, con una sezione di Danza urbana che si incastona in vari luoghi della città, ma questa volta giocoforza ha saputo organizzarsi benissimo su scala più ridotta in quelli che sono i luoghi iconici della identità ravennate e anche di un pubblico giovane quali la Darsena e le Artificerie Almagià. Gioca poi un ruolo molto particolare nel quadro degli altri festival con le elaborazioni in residenza durante il festival e con vari progetti tesi a sviluppare le competenze coreografiche che sono, per esempio concentrati nel secondo weekend di programmazione con la vetrina della giovane Danza d’autore, pronta a mostrare il lavoro di danzatori autori selezionati con un bando dai famosi operatori di cui sopra sparsi veramente un po’ ovunque, ma tra i quali spiccano, oltre alla ricchissima rete emiliano romagnola, gli enti produttori operatori di Marche,Toscana Lazio, Piemonte. O anche con le prove d’autore xl, una peculiarissima vetrina nella vetrina che ci sorprende con la proposta di brevi lavori nati però programmaticamente sulla commistione di tecnica accademica e danza contemporanea. Quest’anno si sono visti il duo artistico Ginevra Panzetti- Enrico Ticconi inscena Con la MM Contemporary Dance Company e Giselda Ranieri con il balletto di Roma. Bisogna di re che questi connubi generano una freschezza di proposte impensata proprio a partire da un discorso tecnico di pulizia del gesto e di riappropriazione delle regole in modo indipendente: letteralmente, nonostante le file, le mascherine tutto il tempo e quant’altro, una boccata di ossigeno, dopo il blocco di questi mesi. Vedendo l’inventiva, la generosità, la grazia dei danzatori in scena non si ha certo l’impressione del blocco creativo, quanto si percepisce l’emozione del ritrovare il palco. Si, mi conferma Pucciarelli, in realtà da un lato si ha avuto più tempo per elaborare progetti e coreografie anche lavorando in remoto, modalità che spesso, anche se nessuno ci avrebbe scommesso prima, si è rivelata efficace e poi l’entusiasmo per queste prime uscite e che uscite! Intendo dire che un portato di questa situazione è aver accelerato un processo di cross over che altrimenti avrebbe stentato di più a decollare. Per la prima volta abbiamo due sedi teatrali e che sedi! Alla serata conclusiva infatti il Teatro Alighieri, non certo aduso a eventi del genere, splendente come un gioiello ha ospitato la mini maratona di otto piccoli ensemble divisi in due tranche, che si è rivelata, a parte la fatica delle pause e delle sanificazioni veramente elettrizzante.
Messi alla prova del palco i giovani hanno saputo occuparlo benissimo e galvanizzare il pubblico grazie anche ad accurati e incisivi interventi sul suono e sulle luci che certo sono possibili solo in strutture di questo tipo e dimostrando una autentica felicità del creare. Anche qui sono stati molteplici i riferimenti alla danza accademica utilizzata per accentuare incisività e dinamismo senza dover necessariamente riferirsi ad un suono percussivo o rockettaro o techno. Una elettronica sofisticata, discorsiva in dialogo col biologico si è viceversa molto sentita. Moltissimi infatti, certamente non sarà stato un caso i riferimenti al funzionamento del corpo umano, alla relazione col mondo vegetale e inanimato. Insomma una dimostrazione che quasi un assetto filosofico riesce a passare dal corpo, sfumando un poco l’aspetto drammatico di quanto stiamo vivendo senza tuttavia prescinderne. Oltre all’entusiasmo e alla possibilità di agire nuove insperate locations ci sono altri fattori interessanti da considerare quali il rinsaldarsi delle reti extra territorio nazionale che si avevano e lo svilupparsi di una solidarietà tra festival e reti nel coordinare proposte e programmazioni in modo da offrire cartelloni più estesi e ricchi possibile senza sovrapporsi, solidarietà spesso sinceramente proclamata ma poi molto meno praticata. Il Covid sembra dunque aver contribuito definitivamente a far uscire la danza da ghetti e nicchie., sarà che il la libertà di movimento è stata tanto penalizzata in questi mesi. Parallelamente, bisogna dire che ha anche subito una accelerazione tutto il discorso della produzione digitale e non nel senso più ovvio dalla produzione filmico documentaria, o dello spettacolo che non si può fruirlo dal vivo e lo si fa in video, bensì di progetti in remoto forgiati da tecniche avanzatissime che mirano a fondare un settore a parte, molto art e insieme pop sperimentale. Si tratta di progetti già ce ne sono alcuni selezionati da Amat e Armunia e Kilowatt in particolare che sviluppano il gioco interattivo e la casualità per coinvolgere gli spettatori o per etero dirigere “corpi” in remoto. Infatti, qui l’anno scorso abbiamo visto in merito un assaggio da Genoma, di Nicola Galli ed ora c’è molto fermento in questo senso, cioè di attivare anche un rapporto ludico e disinibito con le tecnologie.
Dev’essere senz’altro cosi, se mi arriva a ruota il comunicato stampa della seconda edizione di Ed, i Festival di Danza e video, promosso da Marco Coccetti di Compagnia della Quarta che presenta per la prima volta in Italia tra 8 e 14 ottobre una organica e foltissima programmazione di realtà aumentata e virtuale e film VRa 360 gradi applicati alla video danza. Il fine è quello forse di spostare l’accento sul fruitore e suscitare una esperienza sensoriale ed emozionale immersiva per chi assiste. La cosa sembra parecchio intrigante perché leggo che verranno forniti addirittura caschi appositi per questa situazione che potrebbe sembrare vagamente da fantascienza. Si inizia l’otto con un ‘opera acclamatissima realizzata dal coreografo israeliano Hofesh Shechter, Clowns, una commissione per la BBC. Si prosegue con molti artisti francesi, come si sa molto avanti nell’arte coreutica, ma non mancano austriaci, slovacchi, spagnoli, già presenti nella rete anticorpi, messicani. Ritroviamo anche gli italiani della rete COORPI
di Torino e tra incontri, proiezioni a ciclo continuo di cortometraggi ed esperimenti avanzati sarà una autentica abbuffata per tutti gli appassionati e di danza e di video arte. A rendere tutto ancora più accattivante il numero e la distribuzione delle locations coinvolte che è in parte un ennesimo virtuoso portato del l’era virus: si realizza infatti il famoso coinvolgimento delle periferie tanto proclamato e sempre zoppicante, molto viceversa praticato già da questa estate. Quindi per esempio avremo una intensa programmazione al Mercato Sonato di S Donato, insieme a situazioni invece altre al Baraccano, passando per Teatri di Vita, Mambo, il Museo Archeologiche. E, allora, che la danza sia, anche se in versione virtuale anti-assembramento.
Siamo fatti della materia dei sogni, La danza contemporanea italiana sembra realizzare il sogno di sé stessa, come una disciplina non più marginale, decorativa, di contorno o soltanto di importazione.
Sembra ieri che sbarcando a Venezia, Carolyn Carlson cominciava una ricerca, costruendo una filiera di talenti autoctoni di una certa rilevanza che tutt’oggi – vedi Roberto Castello ammirato recentemente per la stagione Agorà – realizzano una drammaturgia danzata con grande intelligenza e ironia scenografica, senza troppo preoccuparsi dei cliché e delle etichette che si fa presto ad affibbiare anche ai lavori più ibridi e innovativi.
Da allora però, non solo si sono rapidamente succedute ed evolute, generazioni di danzatori e autori di grande personalità: la danza innovativa ha saputo uscire un po’ da sé stessa per riaffermarsi sempre protagonista nell’estetica del nuovo circo, del fumetto, del ballo inteso come linguaggio collettivo di intrattenimento per citarne solo alcune, si sono organizzate realtà formative, produttive e reti di cooperazione estese ed efficienti.
Queste realtà hanno sovente avuto un fulcro di valenza extraterritoriale, nelle associazioni di Danza Urbana, settore della performance contemporanea che ha l’indubbio pregio di parlare una sorta di esperanto del gesto e dell’azione che legge i luoghi e gli spazi con attenzione all’antropologia, abbattendo muri e convenzioni linguistiche, quindi prestandosi ad un meccanismo virtuoso di reti a connotazione transnazionale.
Si potrebbe pensare che la pandemia globale abbia giocato per forza di cose un ruolo estremamente negativo, limitando fortemente o addirittura negando gli spostamenti o la vicinanza dei corpi.
Eppure, sorpresa, a giudicare dalle ultime manifestazioni e da quelle che sono in programma, si direbbe che se non proprio in stato di grazia, la nostra nuova danza è in buone condizioni, riesce a trovare spinta vitale esattamente là dove le necessarie forme di adattamento la conducono, non perde in forza espressiva e trova insospettate vie di ricerca ben oltre la pura sopravvivenza, come forse in questo momento meno riesce di fare al teatro.
Ci sentiamo di formulare queste affermazioni, dopo la sequenza dei festival Danza urbana di Bologna, Gender Bender, sempre a Bologna e della ventiduesima edizione del festival Ammutinamenti, creato dalle coreografe Monica Francia e Selina Bassini, con l’intento programmatico, che allora suonava polemico, di dare visibilità e asilo alle proposte della giovane danza d’autore, che al tempo non aveva alcuna speranza di entrare nel cartellone di un teatro e forse non ne nutriva neppure l’ambizione. E gli appuntamenti imperdibili non finiscono qui, il 13 ottobre prende il via la Biennale danza a Venezia, ricca di momenti di riflessione storica per segnalare un campo di attività ormai saldamente presidiato on grande esperienza. E soprattutto alla vigilia in quel di Bologna, dell’apertura l’8 ottobre della seconda edizione di Zed, un festival di circuitazione, creazione e pedagogia digitale molto specifico e adatto ai mutamenti come direbbe qualche guru nostrano (?). Questa ultima edizione, è stata ammutinata e curata nella direzione artistica, non più ufficialmente dalle sue fondatrici ma da un team di giovani operatrici, Daniela Camerani, Francesca Serena Casadio, Christel Grillo, Giulia Melandri e Simona Pucciarelli. Una conduzione collettiva ed all women, dunque, promettente e che fa già parlare di sé.
Ed è con Simona che facciamo alcune considerazioni in merito a come la struttura proteiforme che è l’associazione Cantieri, organizzatrice degli Ammutinamenti abbia retto l’onda d’urto della pandemia.
Ricorre nelle sue osservazioni, la stessa assertiva positività, lo stesso invito ad una autentica ecologia dei corpi e delle menti che abbiamo potuto riscontrare nelle conversazioni su Gender Bender e dunque non può essere un caso fortuito, ma evidentemente uno spirito dei tempi peculiare in questo tipo di contesto. All’inizio ci siamo sgomentati come chiunque, ovvio, ma poi abbiamo avuto al di fuori dai ritmi logoranti della routine, sempre vagamente bulimici, più tempo per pensare ed immaginare e scoprire che i contatti potevano essere mantenuti e che se l’impossibile è indispensabile, come recita il claim della manifestazione appena conclusasi la scorsa settimana, è perché si procede ad un reset, parola mantra campeggiante nel merchandising, della manifestazione. Si distillano e concentrano le esibizioni scegliendo il meglio, si scoprono location insperate, si sperimentano modalità di fruizione inedite. Bisogna qui ricordare che Cantieri Danza è associazione capofila della rete Anticorpi e XL anticorpi che coordina decine e decine di operatori intesi anche come enti, teatri di ricerca e produzione distribuiti in 15 regioni. Ammutinamenti si pone ambiziosamente al confluire delle tendenze prima individuate, con una sezione di Danza urbana che si incastona in vari luoghi della città, ma questa volta giocoforza ha saputo organizzarsi benissimo su scala più ridotta in quelli che sono i luoghi iconici della identità ravennate e anche di un pubblico giovane quali la Darsena e le Artificerie Almagià. Gioca poi un ruolo molto particolare nel quadro degli altri festival con le elaborazioni in residenza durante il festival e con vari progetti tesi a sviluppare le competenze coreografiche che sono, per esempio concentrati nel secondo weekend di programmazione con la vetrina della giovane Danza d’autore, pronta a mostrare il lavoro di danzatori autori selezionati con un bando dai famosi operatori di cui sopra sparsi veramente un po’ ovunque, ma tra i quali spiccano, oltre alla ricchissima rete emiliano romagnola, gli enti produttori operatori di Marche,Toscana Lazio, Piemonte. O anche con le prove d’autore xl, una peculiarissima vetrina nella vetrina che ci sorprende con la proposta di brevi lavori nati però programmaticamente sulla commistione di tecnica accademica e danza contemporanea. Quest’anno si sono visti il duo artistico Ginevra Panzetti- Enrico Ticconi inscena Con la MM Contemporary Dance Company e Giselda Ranieri con il balletto di Roma. Bisogna di re che questi connubi generano una freschezza di proposte impensata proprio a partire da un discorso tecnico di pulizia del gesto e di riappropriazione delle regole in modo indipendente: letteralmente, nonostante le file, le mascherine tutto il tempo e quant’altro, una boccata di ossigeno, dopo il blocco di questi mesi. Vedendo l’inventiva, la generosità, la grazia dei danzatori in scena non si ha certo l’impressione del blocco creativo, quanto si percepisce l’emozione del ritrovare il palco. Si, mi conferma Pucciarelli, in realtà da un lato si ha avuto più tempo per elaborare progetti e coreografie anche lavorando in remoto, modalità che spesso, anche se nessuno ci avrebbe scommesso prima, si è rivelata efficace e poi l’entusiasmo per queste prime uscite e che uscite! Intendo dire che un portato di questa situazione è aver accelerato un processo di cross over che altrimenti avrebbe stentato di più a decollare. Per la prima volta abbiamo due sedi teatrali e che sedi! Alla serata conclusiva infatti il Teatro Alighieri, non certo aduso a eventi del genere, splendente come un gioiello ha ospitato la mini maratona di otto piccoli ensemble divisi in due tranche, che si è rivelata, a parte la fatica delle pause e delle sanificazioni veramente elettrizzante.
Messi alla prova del palco i giovani hanno saputo occuparlo benissimo e galvanizzare il pubblico grazie anche ad accurati e incisivi interventi sul suono e sulle luci che certo sono possibili solo in strutture di questo tipo e dimostrando una autentica felicità del creare. Anche qui sono stati molteplici i riferimenti alla danza accademica utilizzata per accentuare incisività e dinamismo senza dover necessariamente riferirsi ad un suono percussivo o rockettaro o techno. Una elettronica sofisticata, discorsiva in dialogo col biologico si è viceversa molto sentita. Moltissimi infatti, certamente non sarà stato un caso i riferimenti al funzionamento del corpo umano, alla relazione col mondo vegetale e inanimato. Insomma una dimostrazione che quasi un assetto filosofico riesce a passare dal corpo, sfumando un poco l’aspetto drammatico di quanto stiamo vivendo senza tuttavia prescinderne. Oltre all’entusiasmo e alla possibilità di agire nuove insperate locations ci sono altri fattori interessanti da considerare quali il rinsaldarsi delle reti extra territorio nazionale che si avevano e lo svilupparsi di una solidarietà tra festival e reti nel coordinare proposte e programmazioni in modo da offrire cartelloni più estesi e ricchi possibile senza sovrapporsi, solidarietà spesso sinceramente proclamata ma poi molto meno praticata. Il Covid sembra dunque aver contribuito definitivamente a far uscire la danza da ghetti e nicchie., sarà che il la libertà di movimento è stata tanto penalizzata in questi mesi. Parallelamente, bisogna dire che ha anche subito una accelerazione tutto il discorso della produzione digitale e non nel senso più ovvio dalla produzione filmico documentaria, o dello spettacolo che non si può fruirlo dal vivo e lo si fa in video, bensì di progetti in remoto forgiati da tecniche avanzatissime che mirano a fondare un settore a parte, molto art e insieme pop sperimentale. Si tratta di progetti già ce ne sono alcuni selezionati da Amat e Armunia e Kilowatt in particolare che sviluppano il gioco interattivo e la casualità per coinvolgere gli spettatori o per etero dirigere “corpi” in remoto. Infatti, qui l’anno scorso abbiamo visto in merito un assaggio da Genoma, di Nicola Galli ed ora c’è molto fermento in questo senso, cioè di attivare anche un rapporto ludico e disinibito con le tecnologie.
Dev’essere senz’altro cosi, se mi arriva a ruota il comunicato stampa della seconda edizione di Ed, i Festival di Danza e video, promosso da Marco Coccetti di Compagnia della Quarta che presenta per la prima volta in Italia tra 8 e 14 ottobre una organica e foltissima programmazione di realtà aumentata e virtuale e film VRa 360 gradi applicati alla video danza. Il fine è quello forse di spostare l’accento sul fruitore e suscitare una esperienza sensoriale ed emozionale immersiva per chi assiste. La cosa sembra parecchio intrigante perché leggo che verranno forniti addirittura caschi appositi per questa situazione che potrebbe sembrare vagamente da fantascienza. Si inizia l’otto con un ‘opera acclamatissima realizzata dal coreografo israeliano Hofesh Shechter, Clowns, una commissione per la BBC. Si prosegue con molti artisti francesi, come si sa molto avanti nell’arte coreutica, ma non mancano austriaci, slovacchi, spagnoli, già presenti nella rete anticorpi, messicani. Ritroviamo anche gli italiani della rete COORPI
di Torino e tra incontri, proiezioni a ciclo continuo di cortometraggi ed esperimenti avanzati sarà una autentica abbuffata per tutti gli appassionati e di danza e di video arte. A rendere tutto ancora più accattivante il numero e la distribuzione delle locations coinvolte che è in parte un ennesimo virtuoso portato del l’era virus: si realizza infatti il famoso coinvolgimento delle periferie tanto proclamato e sempre zoppicante, molto viceversa praticato già da questa estate. Quindi per esempio avremo una intensa programmazione al Mercato Sonato di S Donato, insieme a situazioni invece altre al Baraccano, passando per Teatri di Vita, Mambo, il Museo Archeologiche. E, allora, che la danza sia, anche se in versione virtuale anti-assembramento.