Care compagne e compagni, care amiche e amici,
Noi ricordiamo qui una grande donna, una amica cara che abbiamo avuto e abbiamo tutti nel cuore, una giornalista, una saggista e una narratrice tra le più e i più importanti del tempo nostro, ma molti di noi la ricordano, io la ricordo innanzitutto come una rivoluzionaria che con la sua vita stessa e con il suo pensiero ha voluto ridare onore all’idea comunista da altri infangata.
Essere rivoluzionari non vuol dire essere un credente ed è l’opposto dell’essere dei fanatici. Vuol dire cercare di essere persone capaci di aiutare gli altri senza pretese di superiorità e senza dogmi da insegnare. Vuol dire esse persone con normali e generose passioni. Rosa Luxemburg amava la natura, amava la vita, fu amata ed ebbe grandi amori. E così fu Rossana.
Quando da giovani durante o dopo la Resistenza sceglievamo di diventare “rivoluzionari di professione”, come allora si diceva, stavamo in un partito che ci chiedeva di studiare e di apprendere più degli altri, di guardare criticamente la società e la storia.
Entravamo in lotta contro il fanatismo di coloro che avevano soppresso ogni libertà, e che in nome della razza eletta avevano scatenato una spaventosa guerra sterminatrice e genocida per conquistare l’Europa e il mondo.
Sapevamo delle tragedie del bolscevismo ma per noi, come ha ricordato Rossana, l’URSS era Stalingrado, come fosse stato ma non era, aggiungo, una sorta di rogo purificatore.
E avevamo scelto il partito nuovo di Togliatti che, come ci aveva spiegato Eugenio Curiel prima di essere assassinato dai fascisti, non ci chiamava a batterci per la dittatura del proletariato, ma a lottare per una democrazia progressiva, per la Costituente e la Costituzione, per una società più giusta e più libera.
Un giornalista ha voluto scrivere che Rossana la rivoluzionaria ha però accettato stragi e delitti della sua parte. A chi la pensa in tal modo io non voglio rispondere ribattendo, come si fa d’abitudine, a quali innominabili stragi e a quali spaventosi delitti del mondo capitalistico i suoi accaniti sostenitori hanno assistito impassibili tacendo o approvando, dalle cose lontane come il genocidio degli indiani d’America o le infamie atroci del colonialismo e dello schiavismo, il colpo di stato in Cile o i regimi assassini dell’Argentina e di tanta parte dell’America del sud e via enumerando. Penso ai vergognosi silenzi su quello che succede oggi in Brasile e altrove. E penso al fatto che il razzismo e lo sciovinismo sono ancora oggi arma di riserva da tirar fuori nei momenti di crisi più acuta, come vediamo dagli Stati Uniti all’Italia. E come accadde quando una parte grande del capitale italiano, tedesco e internazionale, e persino una parte del grande capitale ebraico, scelsero e coltivarono il fascismo e il nazismo fino a che non si accorsero, quale mostro avessero creato, ma ormai era al culmine la carneficina e il genocidio degli ebrei e dei Rom, le stragi di massa degli slavi, l’assassinio degli handicappati e di tutti gli oppositori politici.
Voglio replicare soltanto che Rossana e tanti di noi dove abbiamo sbagliato abbiamo riconosciuto e denunciato noi stessi i nostri errori, mentre coloro che esaltano come civile la società così com’è, siccome il capitalismo ha vinto i loro errori non li hanno riconosciuti mai, alimentando il mito di un occidente civilissimo, mentre gronda dell’orrore di guerre infinite.
La più lunga pace è quella dovuta al fronteggiarsi dei due sistemi dopo la seconda guerra mondiale
. Ma non era vera pace, era guerra fredda e la generazione comunista cui Rossana apparteneva, ha vissuto un difficile dilemma morale, particolarmente dopo la rivoluzione ungherese. Ad ogni tornante ci si chiedeva come rompere con una parte senza soggiacere all’altra. Dopo la denuncia di Krusciov parve di poter aiutare una sperata riforma che sembrava avanzare. Fu il tempo in cui con Rossana partecipammo alla direzione innovatrice della organizzazione milanese del Pci forte di centinaia di sezioni e di migliaia e migliaia di iscritti. E poi Rossana, chiamata alla direzione della sezione culturale del Partito, tentò di continuare l’esperienza che aveva compiuto alla casa della cultura milanese facendone il luogo di una cultura aperta e libera, incrocio di opinioni e di tendenze secondo l’impulso e l’insegnamento di Antonio Banfi che aveva contribuito a crearla. Parve ai dirigenti di altro orientamento che si trattasse di “eclettismo” come si diceva, e cioè di uscire dal sentiero ben tracciato dello storicismo, mentre lo sforzo di Rossana era quello di portare il partito a conoscere e capire l’avanzare delle scienze umane e delle scienze di fatto. Non ci riuscì, ma aveva comunque iniziato ad abbattere un muro.
Il dilemma divenne più che mai acuto dopo il ’68. Proprio per rompere con i sovietici che avevano voluto affossare il tentativo di riforma di Krusciov e avevano soffocato con le armi la primavera di Praga venne la critica al proprio partito da parte di Rossana insieme ad altri compagni, anche sfidando le regole interne e la solitudine di Ingrao. “Praga è sola” gridava il primo numero del Manifesto. E iniziò così la lunga battaglia di Rossana in un collettivo di grande valore intellettuale, poi segnato da diverse rotture, per affermare un’altra idea di sinistra e di comunismo. Una lunga, straordinaria battaglia fatta con le armi della scrittura, conclusa in solitudine. Ma lei che non aveva avuto figli, ha generato un’eccezionale quantità di eredi, menti giovani e anziane.
Altri di noi scelsero di stare con un partito che attraverso vicende assai aspre portò sino allo strappo con i sovietici di Enrico Berlinguer nell’ultima parte della sua vita e al suo tentativo di dare nuove fondamenta alla propria parte risollevando la questione morale del proprio esserci, scoprendo l’ecologismo, interpellando il nuovo femminismo, dicendo agli operai davanti alla FIAT che in ogni caso nei successi o nelle sconfitte noi saremmo stati sempre con loro. Perciò ritornarono nel Partito almeno una parte dei compagni che avevano dato vita al primo Manifesto. l’indimenticabile e non dimenticato Lucio Magri e Luciana Castellina e i compagni del Partito democratico di unita proletaria.
Non tornò Rossana che forse vide lucidamente che non ce l’avremmo fatta.
E in effetti, scomparso Berlinguer, prevalse nella pubblicistica avversa ma anche in buona parte del gruppo dirigente l’opinione secondo la quale Berlinguer si fosse involuto in una deriva identitaria mentre, al contrario, era la ricerca di una nuova possibile identità per i comunisti e per la sinistra italiana. I risultati di quel prevalere sono sotto i nostri occhi con l’ondeggiare in tutta la sinistra da una sigla all’altra e con i percoli per l’avvenire che oggi dobbiamo conoscere e cercare di sventare. Ricordando sempre che se non si può avere il meglio è doveroso battersi per evitare il peggio.
Ora si dice che tutti abbiamo fallito, chi ha seguito una strada e chi un’altra. Certo, siamo stati sconfitti. Ma più che mai sono vere le ragioni per cui Rossana si è battuta. Viviamo sopra una montagna di merci ma la povertà nel mondo dilaga, e cresce l’abisso tra ricchissimi e poverissimi. Siamo al tempo del trionfo della scienza e della tecnica ma dobbiamo tremare perché un esserino infinitamente piccolo ci minaccia. Vogliamo andare su Marte ma sulla Terra stiamo mettendo in pericolo l’ambiente che assicura la nostra sopravvivenza. E viviamo tra guerre endemiche temendo il peggio.
Rossana non è fallita. Lei che non voleva essere un mito lo è diventata. E io dico: per fortuna – contraddicendola come è spesso accaduto tra noi. In mezzo a tanti miti negativi e talora disgustosi ce n’è uno positivo. Che chiama a pensare e a vivere criticamente il presente, a impegnarsi per la causa giusta della pace, della libertà, della uguaglianza. Carissima, carissima, carissima Rossana.
Non voleva essere un mito, ma è diventata un mito.
Non ha avuto suoi figli ma tantissimi figli