La rinascita delle regioni nel vuoto delle ideologie

di Isaia Sales /
30 Settembre 2020 /

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L’istituto regionale è il vero vincitore di queste elezioni. Certo, i voti e la vittoria sono appannaggio di Zaia e di De Luca, di Giani e di Toti, di Emiliano e di Aquaroli, ma le Regioni si sono conquistate un ruolo nella politica italiana (e nella pubblica opinione) che non avevano mai avuto nel corso di 50 anni di esistenza. Il Covid ha dato loro quella consacrazione definitiva che mancava.

Oggi le Regioni e i loro presidenti assurgono ad un protagonismo quasi paritario con le due Camere, e competono con molti ministeri per attribuzione di competenze e di risorse. Ed è indubbio che la conferenza Stato- Regioni aumenterà di peso e di funzioni. La politica nazionale perde di attrattività, quella regionale la conquista.

E ciò è avvenuto senza che sia stata approvata “ l’autonomia differenziata”; si è affermato, invece, un “regionalismo rivendicativo e identitario” che trova concordi quasi tutti i rappresentanti del centrodestra e del centrosinistra, al Nord come al Sud.

I Cinquestelle sembrano essere fisicamente espressione di questa accelerazione improvvisa: sono sovra-rappresentati nel livello politico che si andrà a ridimensionare grazie anche al loro “picconamento” (il Parlamento nazionale dopo la vittoria del sì al referendum) e sono inesistenti o ininfluenti nel livello istituzionale che si va rafforzando, quello regionale, e che essi hanno così colpevolmente sottovalutato isolandosi nelle alleanze.

A cosa è dovuto questo nuovo, inedito e insperato protagonismo delle Regioni che appanna anche il ruolo delle grandi città e dei loro sindaci? E durerà a lungo questa stagione politica?

Pochi anni fa le Regioni erano state al centro di numerosissimi casi di corruzione e di sperpero di denaro pubblico al punto da farle considerare dalla stragrande parte dei cittadini i luoghi per antonomasia della “malapolitica”. E quelle meridionali erano quotidianamente stigmatizzate per lo spreco impressionante di denaro pubblico e per la cronica incapacità di spendere i fondi europei.

Indubbiamente il Covid ha radicalmente modificato lo scenario. Eppure non si è palesata con un’assoluta evidenza una maggiore efficienza delle macchine amministrative regionali né una maggiore efficacia delle decisioni prese. Non si è avuto nessun riscontro in questa fase storica che i livelli regionali abbiano dimostrato più alte capacità e competenze dei livelli amministrativi centrali.

Come mai, allora, tanto consenso e, nel caso della Puglia, un radicale ribaltamento delle previsioni? Forse la spiegazione sta nel fatto che la crisi Covid ha sviluppato una richiesta di “rassicurazione” ravvicinata dalla paura del contagio, un bisogno psicologico di protezione che si è identificata nei presidenti uscenti delle Regioni, a cui veniva concessa una visibilità dei media mai registrata prima.

Ma questa spiegazione da sola non è sufficiente, anche se le elezioni si sono svolte in un momento di forte emotività degli elettori per le notizie dei contagi in aumento dopo l’estate. Io credo che il successo sia dovuto al fatto che il Covid ha accelerato la crisi di rappresentanza del sistema politico e dei partiti in Italia: l’identità territoriale sembra venire prima delle idee e delle passioni politiche di un tempo. Il populismo si sta estendendo geograficamente e sta conquistando una parte del Pd. E non ha più bisogno della Lega per radicarsi al Sud. Allo slogan “Prima gli italiani”, si affianca quello che sostiene “prima i veneti; prima i campani; prima i pugliesi; prima i toscani” e via di seguito. La spinta regionalista sembra più in sintonia con un populismo territoriale che con una rivendicazione di autonomia.

Insomma, bisogna prendere atto che la bilancia degli equilibri istituzionali si è spostata a favore delle Regioni al di là delle capacità effettive dimostrate dai singoli presidenti. I territori stanno assumendo una centralità che un tempo avevano le passioni politiche e le ideologie. Al populismo mancava un apporto della sinistra italiana e un contributo delle regioni meridionali. La Campania e la Puglia hanno ovviato ampiamente a questo limite, eleggendo dei campioni di populismo. E’ vero che in alcune aree l’antifascismo continua a fare da collante (Toscana, Emilia, ma non più in Umbria e Marche), nel Sud invece la linea di confine tra destra e sinistra sta evaporando.

Ne vedremo delle belle. Ma mentre Zaia e Bonaccini riescono a rendersi credibili come nuovi leader nazionali di provenienza regionale, per De Luca ed Emiliano l’operazione sembra più difficile. Ma ci proveranno. Soprattutto il primo. Zingaretti si prepari.

Questo articolo è stato pubblicato su Il Domani il 23 settembre 2020

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