La rivolta di Beirut. Imponente manifestazione di protesta contro il governo nelle strade dei quartieri più colpiti. Violenti scontri e assalto ai ministeri. E mentre la poplazione scende in piazza, il premier Diab appare in tv per annunciare elezioni anticipate.
Ya nahna, ya antu – «O noi, o voi». Il messaggio non potrebbe essere più chiaro.
Una manifestazione immensa quella di ieri a Beirut. La via Armena che da Mar Mikhael attraversando Gemmayze porta a Downtown – tra i quartieri più colpiti – è stracolma. Così via Beshara al Khouri e la via di Damasco, che durante la guerra civile segnava il confine tra le «due Beirut». Sono le strade principali che portano a Piazza dei Martiri, punto di incontro. Presidi di volontari distribuiscono acqua e cibo alle decine di migliaia di manifestanti che dalle primissime ore del pomeriggio sono in strada. Brandiscono in mano le scope che sono servite per pulire le strade. L’hanno fatto da soli, lo Stato non ha aiutato.
DA PIAZZA DEI MARTIRI sulla quale insiste la moschea Al-Amin partono le due vie d’accesso alla sede del parlamento. Qui, all’entrata, la polizia ha anticipato i manifestanti e ha cominciato a lanciare lacrimogeni dal primo pomeriggio per prevenire l’avvicinamento della folla al parlamento, prima ancora che la piazza si riempisse. Poi si riempie. La coltre di fumo è spessissima. Alcuni manifestanti riescono a prendere un camion e cercano di forzare il presidio, ma senza successo. Lo danno allora alle fiamme. Come i palazzi intorno. Lanciano di tutto: dalle molotov alle pietre che recuperano nelle rovine romane al centro della piazza. C’è una folla sterminata. Non tutta è violenta, ma è certamente tutta esasperata.
SLOGAN E INSULTI contro il presidente Aoun rimbombano nella piazza. Venerdì aveva dichiarato che sapeva del deposito di nitrato di ammonio la cui esplosione ha devastato Beirut, aveva ricevuto un rapporto tre settimane prima, ma il porto esula dalla sua competenza.
Slogan e insulti contro Hezbollah, il cui leader Nasrallah sulla difensiva diceva sempre venerdì di non aver niente a che fare con lo scoppio e soprattutto con il controllo del porto.
IL PUNTO PERÒ LO CHIARISCE l’attivista Rabih Dandashly: «Stavolta è diverso perché le persone sono morte di corruzione, non per colpa di un partito, un attacco, un attentato. Hanno arrestato gli ufficiali, è vero, ma come erano arrivati a occupare quelle posizioni? I partiti ce li avevano messi. Tutti sono consapevoli adesso che è il sistema corrotto la causa di questo disastro e di tutto il resto».
Alle 18 e 30 un gruppo di manifestanti assedia il ministero degli Esteri e i suoi uffici. Dopo, in successione, quello dell’Economia, dell’Ambiente, dell’Energia. La polizia ora è ancora più aggressiva. Comincia a sparare proiettili di gomma e a lanciare lacrimogeni ovunque per disperdere la folla. Alle 20 viene ufficializzata la morte di un poliziotto, caduto da un hotel a Downtown. Alle 21 la croce rossa parla di circa 300 feriti.
I tre deputati del partito cristiano Kataeb (falange) – estrema destra di ispirazione franchista e fascista – all’opposizione si sono dimessi e il leader Gemayel ha lanciato un appello affinché altri facciano altrettanto. Al momento sono 5 i dimissionari.
LE PROTESTE IN LIBANO cominciano il 17 ottobre scorso. I manifestanti chiedono la rimozione in blocco della classe politica corrotta – la stessa da decenni – al grido di kullun, ya’nee kullun (Tutti vuol dire tutti), un governo tecnico per riformare il Paese, nuova legge elettorale e poi elezioni. Il premier Hariri si dimette, al suo posto Diab.
Le aspettative vengono tutte disattese. Il paese precipita: inflazione, svalutazione della moneta, oggi all’80%. A marzo è bancarotta. Poi il covid – nuovo record ieri: 272 casi e 4 morti -. I conti sono congelati da novembre, disoccupazione alle stelle, crisi alimentare, sociale, sanitaria, energetica. E l’elenco sarebbe molto più lungo.
E ora questo disastro.
Le proteste alla vigilia della video conferenza internazionale per gli aiuti, che vedrà impegnati tra gli altri Macron, Trump, Johnson, re Abdullah II di Giordania, rappresentanti russi e cinesi, sono anche un tentativo di far arrivare gli aiuti direttamente al popolo attraverso le migliaia di ong sul territorio e non al governo.
Forti della grande copertura mediatica, i manifestanti hanno platealmente bruciato le immagini di Aoun. Richiesta avanzata già giovedì in occasione della visita di Macron, che si è ritagliato un ruolo di primissimo piano nella vicenda. Il quale ha inoltre dichiarato che ci sono abbastanza elementi per dire che si è trattato di un incidente al porto, senza però chiarire quali siano gli elementi.
NEL DISCORSO ALLA NAZIONE tenutosi durante le proteste Diab annuncia che proporrà domani elezioni anticipate. Uno specchietto per le allodole. Se non cambia la legge elettorale settaria, vera matrice della corruzione libanese e che di fatto impedisce alla società civile di arrivare al potere, sono completamente inutili.
Una notte di rabbia e violenza. Il popolo invoca giustizia e vendetta, ma non è scontato che le otterrà.
Questo articolo è stato pubblicato da Il manifesto il 9 agosto 2020
Foto di copertina: The Sun/You Tube