di Circolo Legambiente SettaSamoggiaReno
Recentemente siamo intervenuti riguardo al taglio di appezzamenti boschivi a Monte Capra tra Casalecchio di Reno e Sasso Marconi, oltre ad avere ricevuto segnalazioni e allarmi da più parti per cospicui tagli di alberature in città e campagna.
Ancora in questi giorni continuano a tagliare in quella località, delle colline bolognesi. Vogliamo inoltre, con la presente, porre l’attenzione anche alle nostre zone appenniniche sempre più spesso e da vari anni oggetto di tagli indiscriminati e molto estesi per soddisfare la richiesta di biomasse e pellet sia ad uso riscaldamento, che per produzione energia elettrica da cogenerazione. Le grandi centrali a biomasse non funzionano generalmente con sfalci e residui di lavorazione del legno (peraltro non abbiamo una filiera di lavorazione e ripiantumazione come in altre regioni), bensì con legno vergine e generalmente sano e integro. Il largo utilizzo inoltre di stufe a pellet e idropellet, considerato meno costoso di gas e gasolio, ha portato a una proliferazione di questi mezzi di riscaldamento anche in zone densamente popolate con un effetto di maggior inquinamento da polveri sottili come rilevato da Arpa e altri Enti pubblici. A maggior interesse per una parte, ma a maggior danno da un altra parte, ricordiamo come gli incentivi a queste cosiddette energie “verdi” ha aumentato ancora di più la ricerca della legna, spesso peraltro con utilizzo di maestranze straniere di cui non conosciamo la specializzazione e se forniti di contratti regolari. Tali interventi vengono approvati e incentivati sostenendo la tesi, purtroppo ancora radicata a diversi livelli istituzionali, che la produzione energetica dalla legna sia “carbon neutral”, tesi rivelatasi largamente infondata. In realtà, a parità di energia prodotta, la combustione della legna emette più CO2 del carbone, che poi viene compensata dalla ricrescita dei boschi gestiti a ceduo solo su tempi estremamente lunghi: nel frattempo, infatti, si è scoperto che gli alberi anche molto vecchi continuano a fissare più CO2 di quelli giovani (ma piccoli) in rapida crescita. Le foreste se lasciate maturare accumulano carbonio non solo nel legno in piedi ma soprattutto nella lettiera: si è dimostrato che il disturbo e l’esposizione al sole della lettiera rilascia una quantità di CO2 che nel caso di foreste vetuste è addirittura superiore a quella emessa bruciando la legna del soprassuolo. Il risultato è che gli estesi tagli boschivi per produzione energetica hanno pesantissime conseguenze per l’emergenza climatica in atto, dove il superamento di pericolose soglie critiche si giocherà nel giro di pochi decenni al massimo, mentre il punto di pareggio tra boschi tagliati o lasciati crescere si allontana in un futuro remoto, troppo remoto per essere di qualche interesse nell’emergenza in
corso. Per i prossimi trent’anni è interesse primario e vitale che gli alberi grandi e sani siano lasciati crescere, non tagliati né tanto meno bruciati, e che i terreni forestali non vengano denudati. Oltre a questo, la pratica della ceduazione impoverisce grandemente i boschi e il suolo su cui crescono, indebolendo la loro capacità di svolgere servizi ecosistemici per la tutela della risorsa idrica, della biodiversità e del paesaggio. Non si tratta di corretta gestione e né di utilizzo oculato e sostenibile. Anche se sono in lenta espansione, i nostri boschi sono un bene fragile, che nei prossimi anni dovranno affrontare sempre più spesso il rischio di incendi causati da siccità sempre più prolungate. Siccità e ondate di calore li porteranno al limite delle loro capacità di sopravvivenza. Quella del taglio dei boschi sta diventando una potente industria che divora il nostro futuro a un ritmo incalzante, industria che ha spinto a fare approvare leggi che cancellano decenni di conquiste ambientali.
Nel nostro Appennino, fin dai tempi della società Pro Montibus et Sylvis e in seguito con il Corpo Forestale dello Stato (purtroppo sciolto), si realizzarono rimboschimenti per consolidare i versanti ed evitare l’erosione dovuta alla fragilità dei suoli che poi è causa di smottamenti e frane. Purtroppo gli interventi di ceduazione vengono attuati anche in aree protette, come nel recente caso citato di Monte Capra, dove invece dovrebbero attuarsi, secondo le “Misure generali di conservazione” della Regione Emilia-Romagna, solo tagli conservativi che mantengono gran parte degli alberi più grandi, principalmente per la conservazione della biodiversità e del paesaggio, ma anche per la tutela della preziosa banca di carbonio nel suolo forestale dal surriscaldamento e dilavamento prodotti dalla eliminazione della volta. Nel mirino sono anche i boschi che hanno la sfortuna di crescere presso i torrenti e fiumi, per le continue offerte di “messa in sicurezza” da parte di industrie del legno che di solito, quando arrivano, tagliano tutto a raso creando rischio idraulico dove non c’era, in quanto la vegetazione assicurava il rallentamento delle piene, proteggeva le sponde e intrappolava il legname morto che va ad ostruire ponti e strettoie. Paradossalmente questo legno morto non interessa minimamente per il commercio e la filiera del legno, così viene lasciato in alveo. La Regione Emilia-Romagna ha appena varato un grande “piano alberi” che prevede l’impianto di 4 milioni e mezzo di nuovi alberi nei prossimi 5 anni, riconoscendo l’immenso valore ambientale del patrimonio arboreo. A fronte di questo grande sforzo economico, che purtroppo comporta anche un surplus di emissioni nella sua fase attuativa (trasporto, movimento terra, irrigazione), è semplicemente assurdo mantenere o addirittura incrementare il ritmo di abbattimento degli alberi esistenti, nel pieno della loro maturità! Cominciamo col tutelare gli alberi che ci sono!
Per prevenire eventuali scempi ed abusi e poter monitorare un corretto prelievo del legno, chiediamo che le Associazioni Ambientaliste siano coinvolte nel processo autorizzativo, attraverso le Consulte per il verde. Richiamiamo pertanto tutti gli Enti locali, Unioni dei Comuni, Città Metropolitana e Regione, a porre in essere verifiche accurate delle domande e autorizzazioni concesse di taglio boschi o filari o singoli grandi alberi, al
fine di evitare deforestazione e degrado. Chiediamo inoltre che tutti i Comuni dell’Appennino Bolognese, adottino o rivedano se adottato, un Regolamento del Verde avanzato e restrittivo, per alberature e boschi sia comunali che privati. Sollecitiamo inoltre gli Enti in indirizzo a verificare le possibilità di revisione delle norme relative ai piani di gestione forestale, cercando di salvaguardare la maggior parte del patrimonio arboreo in modo oculato e attento, guardando al futuro, al fine di tutelare la natura, la biodiversità, gli animali che vivono e nidificano in quei luoghi e il paesaggio. Il bosco non può essere considerato solo dal punto di vista dello sfruttamento economico. Oggi, soprattutto, è una immensa e preziosissima banca di carbonio.