Per una pedagogia delle trasformazioni: ovvero una chiacchierata con Piersandra Di Matteo, curator ERT per il progetto Atlas of transition

16 Giugno 2020 /

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di Silvia Napoli

 

Ci stavamo già tutti preparando per la terza tranche del progetto triennale Atlas of transition, un progetto europeo che in maniera aperta, intelligente e innovativa guarda da qui, dalla vecchia Europa e dal Mediterraneo, non tanto ad altri continenti ed altri mondi, quanto ad un mondo di metissage già in embrione, con gli occhiali della Cultura performativa, quando una annunciata, ma non riconosciuta catastrofe si è abbattuta sulla nostra già piuttosto precaria globalità sub specie di una pandemia ancora di difficile valutazione. Cosi il festival che coinvolge 7 realtà europee e ha per capofila ERT, già suscitatore di entusiasmi e partecipazione a Bologna nelle due passate edizioni ,tese a plasmare una nuova identità urbana cosmopolita e sganciata dai rituali della italica provincia estesa, è stato giocoforza annullato.

Naturalmente cio non ha scoraggiato la task force della kermesse, formata per la parte italica che ci compete essenzialmente dal dipartimento di sociologia, dal Dams Arte, dalla Compagnia cantieri meticci e naturalmente dallo staff tutto di ERT, ben rappresentato dalla carismatica figura di studiosa e curatrice trasversale che è Piersandra Di Matteo, a continuare nella ricerca di senso e pro positività, casomai accentuata dalle nuove urgenze e dinamiche venutesi a creare.

Non potevamo pensare di realizzare ora un festival che ha sempre avuto come assunto quello di leggere la condizione di migrante, espatriato, esiliato, straniero fuori dalle stigme sociali ma anche dai clichè piu triti del vittimismo colonizzatore, passando per pratiche artistiche condivise fisicamente con lo spettatore, esordisce subito Di Matteo. La relazione corporea, l’occupazione degli spazi in modalità collettiva stanno proprio alla base del nostro modus operandi, quindi ci siamo resi conto che era improponibile adesso questa cosa. Tuttavia avevamo qualche strumento in mano, quello della Summer School di Atlas of transition, per esempio. Un ciclo di lezioni aperte indirizzato a una trentina di partecipanti da tutto il mondo.

Il riscontro che abbiamo avuto anche sui social e nella call di partecipazione partita in dicembre è stato commovente: si sono candidat in 140, anche da paesi non proprio accessibili o contigui come il Brasile, l’Afghanistan. Noi abbiamo selezionato tra dottorandi di ricerca, artisti e attivisti, i nostri partecipanti cui avremmo chiesto una cifra simbolica.

Una volta scattata l’emergenza , abbiamo compreso che avremmo dovuto fare di meglio: abbiamo creato pertanto una piattaforma on line gratuita accessibile a tutti che lavorasse sulla formulazione di talks dialogici imperniati sulle pratiche artistiche e i dispositivi culturali che smontano e ricreano sapientemente narrative correnti su quanto esce dal quadro normante del capitalismo globale

La modalità è un po’ quella del webinair tanto in voga, ma molto agile per permettere un concentrato tuttavia fruibile di contenuti ed esperienze, ai piu diversi fusi orari. Praticamente in una settimana dal sedici al 20 giugno, ci saranno due incontri di media alle 17 e alle 19, che rimarranno in rete come video per essere anche fruibili nel tempo e fungere da nostro archivio: in una terna di giornate avremo incontri anche al mattino che verranno effettuati, contrariamente agli altri tutti in lingua inglese, nella lingua madre dei relatori e saranno quello delle registe e performance francesi, quello del Teatro di Liegi e quella di un importante gruppo teatrale polacco. I contenuti stanno tutti dentro la griglia concettuale del titolo che porta la nostra scuola estiva: performing resi stance, che forse i nuovi accadimenti trasformano in una vera e propria gara di resilienza.

Del resto, la possibilità, la capacità di trasformazione del reale agita collettivamente, dal basso e a partire dalla cultura è alla base dei nostri convincimenti. Una cultura sulla cui natura di attivismo andrebbe spesa qualche parola in più: per esempio cultura è anche stringere una fattiva, concreta collaborazione con Mediterranea Saving Humans, le cui navi giusto ieri hanno potuto riprendere a solcare il mare:durante ogni collegamento compariranno gli estremi iban per fare donazioni a Mediterranea e siamo orgogliosi di ospitare un incontro tra Sandro Mezzadra, docente all’Alma Mater e il professor Hardt, docente di filosofia presso la Duke University e rappresentante americano per la ONG, infatti verranno anche dati gli estremi di conto corrente usa per fare donazioni. Vogliamo parlare a una generazione che potremmo tutto sommato definire post razziale e al modo in cui plasma le città, le ricrea o ne distrugge come sta avvenendo ora con i vecchi simboli: ci sono piattaforme di sostenibilità ambientale e intersezione tra movimenti transnazionali quali Non una di meno, Extinction rebellion, Black lives matter, come ad esempio il Mondo che verrà, che provano su basi comuni ad immaginare il mondo a venire partendo da quanto è già qui come bisogni e rivendicazioni, certo, ma anche come sogni, desideri, aspirazioni e forme espressive.

Ora, abbiamo analizzato fino a qui i contesti urbani che sono i più popolosi, i più densi di peculiarità, aspettative, opportunità e soggettività, ma sappiamo anche benissimo che i contesti urbani sono anche quelli esposti alle più eclatanti fragilità , discriminazioni e disuguaglianze, lo si è visto benissimo durante questa pandemia, come il contesto abitativo, tecnologico, di prossimità, di agio abbiano potuto fare una enorme differenza gestionale nel periodo di isolamento forzato.

Le città andrebbero decongestionate e non vi è pericolo che noi si abbia una visione mitizzata di questo tipo di territorio. Ci interessa talmente tanto un ripensamento, conclude Di Matteo, che in realtà, anche se recuperare artisti e date a livello internazionale con il margine di rischio ancora pendente sui viaggi intercontinentali è molto complicato, che avevamo immaginato un parziale recupero del nostro festival in autunno, studiando prima tutte le comunità e i sottogruppi sociali ed etnici della città compresenti tra i frequentatori dei parchi cittadini per occupare poi simbolicamente e sempre in maniera performativa queste aree verdi. L’idea di una corale internazionalista trans quartieri ci aveva entusiasmato, tuttavia richiede un lavoro preparatorio molto lungo che non è stato possibile fin qui effettuare e quelle idee diventeranno altro, vedremo come. Però è nei polmoni verdi della città che oggi si vedono gli sconfinamenti e gli attraversamenti. Per dare a tutti voi lettori subito un’idea e un aggancio per andare a guardarvi la pagina di ERT dedicata a performing resi stance, basta dare un ‘occhiata agli appuntamenti della prima giornata, martedi 16 giugno. Si parte alle ore 17 con un talk tra Lilie Chouliaraki e il curatore Musarò, dedicata alla retorica populista delle vittime nell’era pandemica, una vera biopolitica a obiettivi rovesciati che verrà smantellata punto per punto. Alle ore 19, un altro interessantissimo talk che riguarda la necessità della creazione anche nel mondo occidentale di una formazione drammaturgica nera e di una sistematica opera di archiviazione della cultura ribelle nera, che deve diventare un tassello del patrimonio archivistico occidentale. Indubbiamente un tema forse percepito come di nicchia e invece a mio avviso fondante per la costruzione di politiche rispettose delle identità. Senza sedimentazione di memoria storica si è sempre in qualche modo sradicati ed esclusi dal discorso pubblico. Mentre dunque vi invito a rimanere collegati nei prossimi giorni con appuntamenti effettivamente fuori dall’ordinario, ma così utili per mappare cognitivamente luoghi e territori metaforici e non che sembrano oggi ancora più ostili e sconosciuti, rifletto che infine questo è un recupero alla grandissima per tutta la cittadinanza più attenta e curiosa: il male viene effettivamente per nuocere, ma produce anche gli anticorpi per reagire e chissà effettivamente immunizzarsi dai tangibili rischi del nuovo razzismo e penso anche che esperienze di resa pubblica come queste indichino una strada ormai oltre le fruste categorie di tolleranza, integrazione, persino inclusione, perché muovono invece nella direzione di una società plasmabile e autorigenerante. Intanto ERT stesso riapre pubblicamente i suoi teatri ed altre esperienze tra Stagione Agorà, Teatri di vita, laminarie ripartono e riportano il teatro al centro del vivere democratico, un posto che in verità tutti noi avevamo continuato a riservargli.

 

 

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