Dalla redazione di Carmilla:
[E’ uscito il n. 4 di “Zona letteraria”, il semestrale, diretto da Giuseppe Ciarallo, erede di “Letteraria”, la rivista di Stefano Tassinari.
Pubblichiamo l’editoriale, scritto da Silvia Albertazzi.]
Chiudiamo questo numero di Zona Letteraria in una situazione di crisi, anzi, di emergenza, nella quale non avremmo mai immaginato di trovarci, nemmeno nei nostri incubi più cupi: dilaga il contagio del coronavirus e, isolati ormai da settimane nelle nostre case, non possiamo fare a meno di domandarci che senso abbia, in questo momento, il nostro lavoro intellettuale, quali argomenti possiamo opporre – o meglio, se esistano argomenti da opporre – a ciò che ci circonda. Eppure, per un caso del tutto fortuito e fortunato, questo numero è dedicato proprio all’unico argomento che possa avere un senso, una qualche utilità, in un simile frangente, la poesia, apparentemente il più inutile dei generi letterari, in realtà, “se ciò che ci distingue dagli altri membri del regno animale è la parola … lo scopo della nostra specie”, secondo il grande poeta russo Josif Brodskij. “Colui che scrive una poesia scrive soprattutto perché scrivere versi è un acceleratore straordinario di coscienza, di pensiero, di comprendere l’universo”, affermava ancora Brodskij nel discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura: e ora più che mai abbiamo bisogno di non lasciarci andare all’apatia, all’angoscia e alla paura, di accelerare coscienza e pensiero per comprendere un mondo le cui coordinate sembrano sfuggirci. Si tratta di ritrovare il senso antico della poesia come racconto della natura e dell’umanità, delle donne e degli uomini, dei loro vizi e virtù, coraggio e viltà, amore e odio, gioia e dolore; recuperare la funzione sociale, rivoluzionaria, della poesia, e al tempo stesso riconoscerla come la più alta forma di letteratura, misura dell’ingegno umano. Andrea Zanzotto sosteneva che la poesia “nel momento stesso in cui si genera, accresce la realtà”: i saggi presenti in questo volume mostrano altrettanti esempi di come poeti e poesia abbiano allargato, nel corso del tempo, i nostri orizzonti; come, dialogando con noi, dalla solitudine della scrittura a quella della lettura, abbiano illuminato lati oscuri, offuscati, dimenticati, del nostro io; e come, infine, la musica della poesia ci abbia ammaliato nel passato e continui tuttora ad ammaliarci, se solo sappiamo cercarla, “tra i gangli del rumore di fondo d’una società superficiale”, lontano da ogni sorta di istituzionalizzazione, dai carrozzoni mediatici e dalle fiere della vanità, come suggerisce Marco Fazzini nell’articolo che apre questo numero. Non va infatti sottaciuto che la poesia è pur sempre opera umana, prodotto di individui fallibili che, in antitesi con la sua alta funzione, si rifugiano a volte in meschine consorterie, creando un danno alla diffusione delle opere di qualità e, di conseguenza, ai lettori.
Nella seconda metà dell’Ottocento, in pieno Vittorianesimo, Matthew Arnold affermava lapidario che solo la poesia avrebbe potuto salvare l’umanità. Più di un secolo dopo, Ives Bonnefoy ne correggeva l’assunto puntualizzando che la poesia “sarebbe la salvezza della società, se solo quest’ultima sapesse riconoscere questa evidenza”. Ma forse basterebbe che il/la poeta, invece di ergersi a misconosciuto legislatore dell’universo, vate o salvatore del mondo, cantasse la natura, la vita, i sentimenti, la rabbia, la rivoluzione e la convivenza civile con tutta l’umiltà di Wisława Szymborska quando, dopo essersi domandata che cosa fosse la poesia, rispondeva, “io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come alla salvezza di un corrimano.” Che la poesia, allora, sia per noi il “corrimano” cui aggrapparci per raggiungere la salvezza, oltre il buio di questi giorni.
Ciò detto, in questo nuovo numero di Zona Letteraria troverete due interventi critici sullo stato della Poesia – dal punto di vista della produzione e dell’attività editoriale – in Italia, un trattato a due voci sul mondo della traduzione, un tentativo di mappatura dei poeti e poete delle ultime generazioni, articoli su poesia e femminismo, poesia dialettale, sull’esperienza di scuola di linguaggio poetico nelle carceri, un’intervista al poeta Alberto Bertoni, uno sguardo dubbioso sulla pratica del Poetry Slam nel nostro Paese, un monito ai poeti di non scivolare nel ruolo di profeti, e poi la poesia dei carcerati dell’Ottocento, i versi antifascisti di Trilussa, l’opera di Gianni Rodari rivisitata in musica, Franco Arminio e la sua “paesologia”, Chlebnikov e i suoi versi sulla Rivoluzione d’Ottobre, i poeti rivoluzionari d’Irlanda, la poesia indigena in Messico e quella antirazzista del poeta haitiano, naturalizzato cileno, Jean Jacques Pierre Paul, la ruvida poetica di Luigi di Ruscio e l’esperienza degli operai e lavoratori cinesi riuniti nella comunità letteraria di Picun, sobborgo della capitale, Pechino.
Come si può vedere, tante differenti modalità di guardare e di raccontare una pratica che accompagna l’essere umano fin dagli albori, e che da sempre indirizza il nostro sguardo verso la bellezza e lo stupore.
In questo numero la sezione iconografica, come sempre affidata al nostro Luca Gavagna per la selezione degli scatti, è costituita da fotografie – gentilmente messe a nostra disposizione da Isabella Rizzato, Pierantonio Tanzola e Marco Fazzini – che ritraggono numerosi poeti, internazionali e italiani, transitati negli anni da “Poetry Vicenza”, festival internazionale di poesia che si tiene ogni anno dal 21 marzo (giornata mondiale della poesia) a fine maggio nella città veneta.
Hanno partecipato a questo numero: Marco Fazzini, Giorgia Sensi, Andrea Sirotti, Lorenzo Mari, Loredana Magazzeni, Anna Maria Curci, Agostino Giordano, Riccardo Burgazzi, Silvia Albertazzi, Cristina Muccioli, Francesco Benozzo, Ombretta Diaferia, Gianfranco Manfredi, Giuseppe Ciarallo, Alberto Sebastiani, Paolo Vachino, Gabriella Imposti, Carmine Mezzacappa, Giovanni Marchetti, Lucia Cupertino, Massimo Gezzi, Federico Picerni, Sergio Rotino.