I Teatri, forse uniti, alla prova di una stagione da inventare (parte seconda)

3 Maggio 2020 /

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[Qui è possibile leggere la prima parte della storia]
di Silvia Napoli
Cominciamo la nostra chiacchierata con gli operatori di settore appunto da dove eravamo rimasti, cioè da Claudio Longhi, direttore di Ert, che mi sottolinea come si sia di fronte ad uno di quegli improvvisi salti che la Storia compie, lasciandoci per ora in sospeso tra un pensiero di possibile fuoriuscita da un assetto globale e una pericolosa regressione. Il dato certo è di essere dentro un accadimento di portata epocale che impone anche agli uomini di cultura di dare prova di essere dentro le cose: la pandemia come una sorta di spaventosa crisi ha evidenziato punti deboli e carenze di sistema. A questo punto il dovere primario è non sottrarsi alla sfida del contingente e offrire strumenti critici di lettura. Mi piace sempre citare Paolo Grassi, chiosa Longhi, perché accettò una sfida che sembrava un azzardo nel momento in cui fondo nel 1940 il Piccolo Teatro di Milano con grande povertà di mezzi. Il problema principale che noi ora ci troviamo ad avere è quello di pagare tutte le maestranze e rispettare i contratti in essere: ovvio che io abbia contatti praticamente quotidiani con molteplici realtà anche extra italiane con cui collaboro, ma, vedi, comunque anche all’interno d’Europa le legislazioni sullo spettacolo sono molto diverse. Thiago Alves mi diceva ad esempio, che lui per ora è già riuscito a saldare chi doveva per un meccanismo di erogazione fondi diverso dal nostro. La verità è che come una cartina di tornasole questa vicenda ci mostra plasticamente tutte le debolezze. Il nostro pensiero sullo spettacolo dal vivo va rifondato. I lavoratori di settore non sono tutelati a sufficienza per via della frammentazione. Sono ottime le decisioni prese fin qui sul Fus e ottime le mobilitazioni collettive degli assessori alla Cultura, a partire dal nostro Matteo Lepore, ma va compreso il valore civico del nostro operare.  Spirito assertivo e grande rilievo da un lato alla correttezza delle relazioni sindacali più che mai necessaria in questa fase, dall’altra alle reti internazionali che stanno nascendo tra operatori culturali tutti colpiti in maniera transnazionale si riscontrano dalle parti Del teatro di Casalecchio Laura Betti, sentendomi con la sua direttora Cira Santoro, molto fiduciosa dell’arricchimento e della innovazione spontanea che persino eventi imprevisti e indesiderati possono portare con loro, mi arriva una sottolineatura sulla pedagogia teatrale e il poter tornare a studiare.
Da un forzato periodo di sosta, distaccati dall’ansia del numero di produzioni e rappresentazioni da esibire, potrà almeno venir fuori una rinnovata attenzione alla drammaturgia e sicuramente si andranno ad elaborare testi che ci parleranno di questa emergenza. Infine le tecnologie, possono comunque alleviare e semplificare l’esistenza in questo momento complicato, a teatranti e non. Poi non esistono solo proposte mediate da video. Parliamoci chiaro, non sempre le cose andavano bene a tutti e per tutti, in questo sistema e già si affacciavano proposte di teatro di vicinato, di prossimità, di comunità, fatte apposta per una piccola localizzazione territoriale. Più che mai ora acquisteranno un senso e un perché, entrando in fasi di riapertura graduale. Questo ha molta più pregnanza che cercare di rifare una stagione secondo criteri classici su date inconoscibili. Bruna Gambarelli di Compagnia Laminarie e Teatro Dom, ha sempre amato il cinema, la video documentazione e i prodotti audiovisivi. Basta studiarsi qualche numero della rivista Ampio raggio per trovare ampia testimonianza di questa devozione documentaristica e anche di una inclinazione visual di gran parte delle produzioni di Laminarie, come pure di una consolidata attitudine ad azioni performative esterne al teatro, nei condomini per piccoli gruppi o negli spazi verdi di comunità circostanti. Dunque noi attendiamo, senza appassionarci agli streaming e ai dibattimenti, perché per noi dev’essere chiaro che il Teatro oggi è mancanza, è questo vuoto di corpi e partecipazione: questo però non vuol dire appunto stare fermi. Noi non lo siamo, lavorando assiduamente per esempio, sul riordino e ampliamento del nostro archivio di comunità del Pilastro e sull’impegno editoriale. Last but not least, abbiamo cercato anche con diretta Facebook di ricostruire la magia della nostra mitica lettura degli articoli della Costituzione, che segna un passaggio di primavera importante sulle celebrazioni laiche del nostro paese. Quest’anno l’abbiamo pensata come una serie di video montati insieme che ricostruiscono una sequenza di crescita temporale, con le generazioni che si avvicendano alla emozionante lettura degli articoli, nel corso degli anni. Un passaggio di testimone, in un momento di massima problematicità della dialettica tra generazioni. Speriamo di poter portare delle proposte almeno estive alla attenzione delle istituzioni cittadine. Idea che ha avuto anche Stefano Casi direttore artistico di Teatri di Vita, che già hanno visto saltare, nonostante avessero predisposto una sala contingentata e controllata la premiere del lungometraggio di Andrea Adriatico, gli Anni Amari dedicato alla vita e alle opere di Mario Mieli ed ora alle prese con l’idea di Residanze. Ovvero una rassegna residenziale nel parco per 4 compagnie di danza italiane, con 4 appuntamenti pensati su date alternative tra maggio, giugno, luglio e persino agosto, prima di vedere se si potrà fare un cuore di qualcosa, il tipico appuntamento annuale con la full immersion nella cultura spettacolare di un altro Paese. Si tratta insomma di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, perché è evidente che più di qualcosa è andato storto e che, soprattutto l’ottimismo starà tutto nella volontà, perché, in realtà, non c’è da sperare che ci saranno clamorose svolte positive dopo questa catastrofe. Cosi come non si è saputo prevederla, non sarà facile allontanarsene e tutto lascia prevedere che si possano reiterare e intensificare fenomeni di questa tipologia. Bisognerà cercare forme anche produttive inedite, magari fare più di una replica dello stesso spettacolo in giornata per permettere a tutti quelli che lo vogliono di vedere quello spettacolo rispettando i dovuti distanziamenti e bisognerà capire se il pubblico avrà voglia di indossare le mascherine anche in sede di intrattenimento. Le istituzioni fanno bene a occuparsi di finanziamenti e come reperirli, ma infine bisogna decidere quale il valore della pratica e dell’esperienza teatrale che si fa nell’incontro, nel qui ed ora e nella mescolanza di ruoli e categorie.
Da ultimo mi rivolgo ad Elena Digioia, curatrice organizzatrice per associazione Liberty, quest’anno assai vicina a vincere il primo premio Ubu perla sua categoria, nell’ambito della stagione di Agorà e a Nicola Borghesi di Kepler452, talentuoso drammaturgo e attore e anche libero pensatore, possiamo ben dirlo.
Digioia ha oltretutto realizzato per l’assemblea di cui si diceva un intervento appassionato, riuscito e ben calibrato in 4 punti tra i più apprezzati  dal pubblico in collegamento mettendo al primo posto come altri, quello che viene giudicato un autentico scivolone rivelatorio da parte del nostro premier,quando, nell’annunciare le misure di allentamento del Lockdown  e le conseguenti manovre di supporto economico alle diverse categorie, ha ignorato  completamente i lavoratori dello spettacolo di cui si sa per certo  che potranno ripartire ultimi fra gli ultimi, si mormora addirittura agli albori dell’anno a venire. Digioa, da me raggiunta al telefono mi aveva già anticipato che bisogna far fronte comune partendo dai facchini, dalle maschere, dagli attrezzisti, via via fino ai livelli più alti per essere concepiti come lavoratori e che la sua preoccupazione sarà di salvaguardare tutti i contratti firmati, di non rinunciare a nessuna compagnia programmata, pur avendo già perso tra virgolette 25 appuntamenti fin qui. ciò che può renderla fiduciosa nonostante tutto è proprio quella dimensione territoriale che oggi, come è emerso anche durante l’incontro organizzato da Neuradio, servirebbe tanto in tutti i sensi per decongestionare ecologicamente le città, per prevenire e curare e infine compiere veri e propri esercizi di democrazia partecipata. La rete di cittadini e istituzioni diffuse della pianura est, è un serbatoio di credito e di idee che certo saprà suggerire spazi, luoghi, forme circoscritte di abitare parchi, chiese, cortili, biblioteche, oasi naturali, aree dismesse.
Non si tratta più di fare piani a, b, c a seconda delle ordinanze e dello slittamento dei mesi ma riscrivere insieme una storia, concludere i capitoli di un romanzo scegliendo altri colori, temperature, ambientazioni.
In questo le Supplici di Fabrizio Favale che già svolgono un egregio lavoro sulle 4 stagioni, sapranno essere dalla nostra parte per aiutarci in questo riposizionamento.
Altrettanto dicasi per i Kepler, come sempre molto lucidi, nelle parole di Nicola Borghesi, sul fatto di identificarsi come esseri umani e cittadini prima ancora che come lavoratori dello spettacolo e artisti. ben consci che più di una cosa fin qui non è andata bene che le esigenze sono quelle comuni di avere reddito, tirar su la famiglia, essere curati dal sistema sanitario nazionale. Vero che si stanno restringendo pericolosamente libertà personali, ma altrettanto vero che qualcosa di sbagliato dev’esserci una una società che concepisce una netta contrapposizione tra salute e lavoro. Il neo liberismo mostra il suo aspetto più feroce, mentre sembra di capire che economie più pianificate possano reggere meglio le ripercussioni economiche di questi shock sistemici. Potrebbe essere che forme organizzative dal basso siano la risposta a questa sorta di Scilla e Cariddi che comprimono le istituzioni democratiche, ma neppure il giovane Borghesi riesce a intravvedere una maturazione tale di questi processi che possano evitare a breve un presumibile incattivimento delle dinamiche sociali. del resto neppure la nostra categoria mai stata organizzata più di tanto. La sindacalizzazione è bassissima perché le tipologie di lavoratori sono tantissime, le modalità di contratto, anche. Io ho dovuto chiedere la disoccupazione per la prima volta. Faccio chiacchiere prevalentemente informali per ora tra colleghi per capire come stiamo e come reagire. Spero escano fuori anche lavori drammaturgici nuovi su questa storia. Spero magari più avanti di riuscire a scrivere qualcosa di buono. Non ho nulla contro la pedagogia teatrale anche a distanza e per i piccoli esperimenti di condominio. Bisogna anche dire che fuori dalla logica video streaming imperante, il combo Baraldi-Borghesi, ad inizio pandemia aveva provato una sorta di notiziario sghembo radiofonico per le frequenze di Città del Capo. Comunque, regolamentato o meno, il Teatro si fa in presenza e cosi, già avvezzi ad esperimenti contingentati di trekking urbano teatrale adesso i Kepler, che più di qualcosa devono avere scritto in questi giorni di forzato isolamento, daranno manforte alle istanze espresse da Digioia confezionando un inedito Lapsus urbano sui tempi del COVID, il primo giorno che sarà possibile, con la classica trasmissione in cuffia che è loro cara. Avrebbero dovuto parlare di capitalismo e festeggiare con i vecchietti della casa del popolo la fine di stagione, ci porteranno in giro distanziandoci nell’ascolto individuale e creando quella piazza libera e connessa di cui si parlava all’inizio. Intanto, nella discussione collettiva, anche tra artisti, la percezione che qualcosa non sia andata mai tanto bene appare nettissima, perché in effetti appare ormai del tutto superato il discorso di forme assistenzialistiche pensate ad hoc. La verità è che avrebbero dovuto scattare in automatico forme di basic income come per esempio accade agli scritturati francesi nei regimi denominati ad intermittenza. Oltre il lavoro cognitivo, una nuova forma di proletariato artistico sembra prendere coscienza di sé e vedremo dove la discussione e gli eventi ci porteranno nei prossimi mesi tutti da inventare.

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