La resilienza dei piccoli produttori

20 Aprile 2020 /

Condividi su

di Giuditta Pellegrini

 

Da Camilla a Bologna alla fattoria senza padroni di Mondeggi, le reti alternative si organizzano per la «fase 2» e si preparano a ripartire dopo i blocchi

 

La quarantena ha spazzato via le nostre abitudini, i nostri automatismi. Tutti, tranne uno: fare la spesa al supermercato. Tra scaffali svuotati per la corsa all’approvvigionamento e lunghe code con carrello e mascherina sarà difficile scordare scene a cui non siamo abituati, come la penuria di beni alimentari che credevamo relegata ad altri tempi.

Il rapporto dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare Ismea sui consumi effettuati dagli italiani le prime quattro settimane di lockdown mostra come l’incremento degli acquisti che ha interessato supermercati (+23%), discount (+20%) e punti vendita di ridotte dimensioni (+17%), ha significato, nonostante le difficoltà a livello logistico e di reperimento delle materie prime sul mercato internazionale, un evidente aumento nella vendita dei prodotti della Grande Distribuzione Organizzata. In uno scenario che cambia rapidamente come quello di questi giorni, quali saranno le conseguenze sulla nostra sicurezza alimentare e sulle piccole realtà contadine che assicurano l’accesso ad un cibo di qualità?

SECONDO L’ASSOCIAZIONE RURALE ITALIANA Ari, la narrazione di scarsità che sta affiorando nell’emergenza potrebbe produrre da una parte un aumento dei prezzi e dall’altra un rafforzamento delle filiere della Gdo attraverso il ricorso sempre più spinto ai mercati internazionali, a scapito delle piccole e medie aziende. Queste ultime non sono marginali, come indica l’ultimo rapporto Istat, perché ammontano nel nostro paese a più di un milione e le aziende con meno di 5 ettari di Superfice Agricola Utilizzata rappresentano oltre il 71% del totale.

Ari ha lanciato sin dall’inizio della quarantena un appello in appoggio delle realtà agricole del Paese non industriali, chiedendo interventi mirati, come convogliare su di esse le risorse della Politica Agricola Comunitaria. La contingenza ha fatto emergere gli aspetti critici del sistema agroalimentare, e per i piccoli produttori le difficoltà di questo momento si sono sommate a quelle che devono affrontare normalmente in un panorama di scarso supporto da parte delle politiche agricole. La chiusura dei mercati rionali emanata dalla maggior parte dei comuni per paura del contagio, ha significato per molti gravi perdite, non tamponate dalla vendita online dei prodotti, che seppure funzionale, non è in grado di raggiungere tutte le fasce di popolazione. Il rischio di lasciare invendute le produzioni dell’agricoltura su piccola scala che ne potrebbe derivare è stato denunciato da più voci, come l’associazione per la sovranità alimentare Campi Aperti di Bologna, che ha lanciato un appello al comune per la riapertura dei mercati, e grazie anche alla proposta di attuare una serie di misure di sicurezza contro la propagazione del virus, in questi giorni dovrebbero ripartire, anche se solo come punti di distribuzione per cassette già ordinate. Le conseguenze delle restrizioni hanno investito soprattutto i coltivatori dei piccoli appezzamenti informali, trovatisi di fronte a situazioni estreme come quella di non potersi recare all’orto se non attiguo alla propria abitazione. Alcuni produttori della rete Genuino Clandestino, come ci racconta Federica di Mercato Brado di Terni, hanno dovuto sospendere le attività a seguito dell’ordinanza: «Dal decreto dell’11 marzo, che impedisce di recarsi ai terreni al di fuori del proprio domicilio, è esclusa l’autoproduzione alimentare e questo è drammatico, soprattutto a primavera, quando bisognerebbe preparare le semine e i terreni e si rischia di non avere nulla di pronto per l’orto estivo».

MERCATO BRADO HA DIRAMATO un comunicato in cui contesta la definizione di hobby espressa nel decreto per descrivere le coltivazioni informali, affermando che invece produrre il proprio cibo è una scelta e una necessità. «Dovremmo fare uno sforzo collettivo», continua Federica, «cominciando a considerare anche le realtà non ufficiali, che con il loro tipo di coltura proteggono il territorio, come parte della comunità, per difenderle e sostenerle». È in quest’ottica che le realtà italiane impegnate nella tutela della sovranità alimentare e basate su una rete mutualistica di sostegno all’agricoltura contadina si stanno delineando come valida alternativa ai supermercati. Lo testimoniano gli esempi di Csa o Comunità che Supportano l’Agricoltura come Arvaia di Bologna, in cui i soci investono nel progetto di agricoltura sostenibile versando una quota annuale e in questo modo concorrono insieme al produttore ad assumersi le conseguenze di eventuali rischi. «Le reti locali si sono affermate al di la di una Grande Distribuzione che in una crisi come questa si mostra fragile, più di quelle modalità di produzione finora considerate marginali o un residuo del passato. Dovremmo riflettere sul fatto che la piccola agricoltura ci permette di essere resilienti di fronte ai momenti di difficoltà e se adeguatamente sostenuta potrebbe nutrire molta più gente», afferma Paola Zappaterra di Arvaia. La Csa è riuscita a continuare la produzione nonostante le difficoltà dovute alla chiusura dei mercati.

NELLA CITTÀ EMILIANA ANCHE CAMILLA, la Food Coop che vende i suoi prodotti ai soci, allo stesso tempo fruitori e proprietari della cooperativa, è riuscita non solo ad assicurare ai suoi 541 iscritti i prodotti di sempre, ma anche a permettere a tanti piccoli produttori del territorio italiano di continuare a vendere pur non potendosi spostare. Inoltre la coop sta partecipando al progetto Don’t Panic, nato da una serie di associazioni come il Circolo Arci Ritmo Lento, per portare i propri prodotti alle persone in difficoltà. «Questa esperienza potrebbe essere preziosa per i prossimi tempi e aprire nuove riflessioni, come quella, importantissima, di come rendere accessibili i prodotti di qualità anche alle fasce più deboli», ci dice Giovanni Notarangelo, tra i fondatori della Food Coop bolognese.

La solidarietà è anche alla base della Food Coop nata a Cagliari a gennaio, che conta già circa 300 soci e il cui nome Mesa Noa, che in sardo significa nuova tavola, richiama efficacemente non solo il buon cibo, ma l’importanza della convivialità attraverso cui è possibile dare vita a progetti comuni.

SE LA PANDEMIA CI PUÒ INSEGNARE qualcosa è forse proprio la ricchezza delle reti: lo dimostrano le numerose realtà italiane impegnate nel mutuo soccorso e che sono state pronte a offrire il proprio sostegno alle città, come ci dice Martina Locascio, dell’associazione siciliana Contadinazione, nata per sostenere i lavoratori stagionali di Campobello di Mazara: «La cosa bella di queste settimane è la connessione che si è attivata per reagire allo stravolgimento della nostra vita quotidiana. Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto sulla reciprocità e il ragionare insieme sui problemi comuni, piuttosto che offrire un semplice servizio, ci ha aiutato durante l’emergenza ad attivarci, per esempio attraverso la spesa solidale, cercando di portare a chi ne ha bisogno il cibo genuino locale».

A BARI IL SOSTEGNO AI PICCOLI COLTIVATORI impossibilitati a spostarsi è avvenuto grazie all’associazione Solidaria, che si occupa della produzione della salsa di pomodoro Sfruttazero, contro lo sfruttamento del lavoro dei braccianti. Questi piccoli produttori sono distribuiti anche dalla rete nazionale Fuori Mercato, autogestione in movimento, nata all’interno della fabbrica recuperata Ri-maflow di Milano. Ispirata alle società operaie di mutuo soccorso dell’ottocento, Ri-maflow ha rilanciato in questi anni l’idea di un mutualismo conflittuale che mira a cambiare lo stato delle cose. Anche la Rete Italiana di Economia Solidale Ries, sempre a Milano, ha attivato in questi giorni la distribuzione di cibo genuino alle numerose famiglie (circa 700) che ne hanno fatto richiesta tramite i servizi del comune, cercando di immettere anche in quel circuito prodotti di qualità. La Rete, che raccoglie realtà, associazioni e cooperative operanti a favore del cambiamento verso una società e un’economia equa, solidale e sostenibile, ha da poco lanciato un appello affinché di uniscano le forze affinché la crisi attuale diventi un’occasione per ripensare i nostri stili di vita e di consumo.

«Il coronavirus ci ha fatto vedere la fragilità non solo del sistema in generale, ma anche di quello agroalimentare», fa notare Antonio, presidiante di Mondeggi, fattoria senza padroni. «C’è un ribaltamento rispetto alla percezione della vita contadina, perché in questo momento è considerato un privilegio trovarsi in un ambiente che non sia cittadino. Questo virus, ma anche il decadimento più generale della nostra società, ci sta invitando a riflettere sulla possibilità di costruire comunità resilienti capaci di autodeterminarsi sotto tanti punti di vista, dell’educazione, alla salute, alla produzione di cibo, e ci impone di ripensare non solo il modo in cui produciamo, ma anche quello in cui viviamo».

Questo articolo è stato pubblicato su Ilmanifesto il 16 aprile 2020

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati