di Duccio Facchini
L’Italia continua a fornire supporto alla Libia per contrastare i flussi migratori ed effettuare respingimenti “delegati” nel Mediterraneo. A fine 2019, infatti, il ministero dell’Interno italiano ha nuovamente garantito l’”assistenza tecnica” per la “conduzione” di due motovedette da 35 metri “da riconsegnare allo Stato della Libia”. Ad aggiudicarsi l’appalto nel dicembre 2019 è stata ancora l’azienda Cantiere Navale Vittoria di Adria (RO). E il 2 febbraio di quest’anno, lo stesso giorno della proroga automatica del contestato accordo Italia-Libia del febbraio 2017 per fermare i migranti, un rappresentante della “sicurezza italiana” avrebbe incontrato ufficiali della guardia costiera libica per discutere proprio dei dettagli della “restituzione”, con tanto di foto e post pubblicati su Facebook.
Andiamo con ordine. Il “patto” Italia-Libia sulle due motovedette da 35 metri (P300 e P301) e su una terza da 28 (P201) risale all’agosto 2017. È da allora che il nostro Paese si è impegnato formalmente ed economicamente -nell’ambito di una “intesa tecnica” stipulata tra la Farnesina e il Viminale– a “provvedere alla rimessa in efficienza” di quei mezzi precedentemente ceduti all’”Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno libico” (GACS), come spiegano gli atti dell’affidamento. Un’attività necessaria, secondo il ministero, per il “contrasto dell’immigrazione clandestina”.
Di questa “rimessa in efficienza” se n’è occupata quasi esclusivamente Cantiere Navale Vittoria, azienda nata nel 1927 per iniziativa della famiglia Duò -ancora oggi proprietaria- specializzata in cantieristica navale militare e paramilitare. Costruttrice in passato delle tre motovedette, è un partner strategico della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere presso il ministero dell’Interno per una serie di commesse in Libia e Tunisia. Non solo: “in sede di negoziato bilaterale” con Tripoli, negli anni, Cantiere Navale Vittoria sarebbe stata “formalmente segnalata dalle Autorità libiche” più volte come operatore economico di riferimento.
È stata quindi Cantiere Navale Vittoria ad aggiudicarsi il primo appalto del Viminale (dicembre 2017) da oltre 2 milioni di euro e a lavorare sui “pattugliatori” alati a secco presso il porto di Biserta, in Tunisia. E in seguito è stata la stessa azienda, dopo un recente contratto risalente al novembre 2019, a occuparsi di “ulteriori servizi di rimessa in efficienza” per altri 285mila euro. Chi ha formato gli “equipaggi libici” alla conduzione delle motovedette attraverso due sessioni di “training” nel 2019 è stata invece l’associazione EXFOR (per 943mila euro, finanziati tramite il progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase” legato al Fondo fiduciario europeo per l’Africa istituito dalla Commissione Europea nel 2015).
Dopo la rimessa in efficienza, i servizi ulteriori e la formazione, le “autorità libiche”, come vengono definite dal ministero dell’Interno italiano nelle determine legate alla fornitura, avrebbero “richiesto espressamente nel corso di incontri istituzionali tra i due Paesi che durante il viaggio di riconsegna allo Stato della Libia delle due imbarcazioni da 35 metri” venisse “fornito un servizio di assistenza alla conduzione”. Ci sarebbe anche una “nota verbale” risalente a metà novembre 2019 proveniente dal ministero degli Esteri a Tripoli dalla quale “si evince che le autorità libiche” avrebbero infatti “richiesto l’assistenza di personale tecnico civile per il supporto a bordo durante la navigazione per Tripoli”.
La base d’asta è minima -37mila euro- e le uniche due società “consultate” sono state Cantiere Navale Vittoria ed EXFOR. Ha prevalso la prima.
La “restituzione” delle navi e l’accompagnamento da Biserta a Tripoli della P300 e della P301 sarebbero stati al centro di un incontro risalente a domenica 2 febbraio 2020 tra i rappresentanti della GACS libica, padroni di casa, e un emissario della “sicurezza” italiana. L’incontro è stato reso pubblico con un post e delle fotografie su Facebook (di seguito alcune schermate) sul profilo della stessa Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno libico: i miliziani e l’inviato dell’Italia avrebbero discusso dell’attività di “protezione della costa libica”, che in pratica consiste nell’intercettamento e il respingimento delle persone.
Il 2 febbraio non era un giorno qualunque ma quello della proroga automatica per altri tre anni del memorandum contro i migranti sottoscritto il 2 febbraio 2017 a Roma dall’allora presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di accordo nazionale di Tripoli, Fayez al-Sarraj.
Un accordo privo di validità e incompatibile con la Costituzione sul piano formale –come hanno riconosciuto diversi tribunali italiani in questi anni– nonché fonte della cooperazione con un soggetto come la cosiddetta “guardia costiera libica”, posta sotto indagine dalla Corte penale internazionale e indicata da diverse parti, istituzionali e non, come responsabile di terribili violenze. Lo scorso 25 gennaio il Segretario generale delle Nazioni Unite è tornato a denunciare il fatto che i migranti intercettati intorno a Tripoli dalla guardia costiera libica vengono portati in centri di detenzione (ufficiali e non) dove si hanno notizie di “omicidi illegali”. I governi italiani ed europei intervenuti nel tempo, invece, hanno invece rivendicato i “risultati” del memorandum. Il più significativo sarebbe quello di 8.406 persone riportate in Libia solo nel 2019 stando ai dati ufficiali della Guardia costiera italiana. Ecco perché al posto di una immediata sospensione è stata avanzata una bozza di rinegoziazione dell’accordo da parte del governo Conte II, definita “tardiva ed approssimativa” dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.
Poiché però lo “schema” paga e il Mediterraneo è ormai privo di un solido sistema di ricerca e soccorso alternativo a quello di intercettamento e respingimento per mano libica, la Direzione centrale Immigrazione e Polizia delle frontiere del Viminale ha previsto per il biennio 2020-2021 ulteriori “acquisti di beni e servizi” sul fronte della Libia. 1,2 milioni di euro in totale suddivisi in parti uguali nei due anni. Di che cosa si tratta? Nell’atto di programmazione si legge una breve descrizione del “servizio”: “Corsi di formazione comprendenti la fornitura di mezzi tecnici ed equipaggiamenti vari”. Niente di nuovo.
Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia il 02 marzo 2020