di Alfonso Gianni
Poiché, il 29 marzo, si tratta di referendum su norme costituzionali, non è necessario il raggiungimento di alcun quorum. In altre parole l’esito dipenderà dal rapporto fra i No e Sì, qualunque sarà il numero dei votanti. I sostenitori del Sì ritengono l’esito scontato perché i parlamentari non sono popolari, dopo anni di campagna qualunquista e populista. Certo: la battaglia è difficile. Ma il No intende intraprenderla con decisione, anche perché non è detto che gli elettori del Pd e di Leu siano d’accordo con il voto dato nell’ultima votazione dai loro rappresentanti, dopo che per tre volte avevano votato contro.
Non è la prima volta che i cittadini votano su quesiti referendari che concernono anche la riduzione dei parlamentari e sono stati sempre respinti. Mi riferisco alle revisioni costituzionali proposte dal centrodestra che prevedevano, tra le altre cose, una Camera di 518 deputati (elettivi) e un Senato di 252 membri: il referendum popolare del 2006, superando persino il quorum dei votanti che ora non è necessario, bocciò la legge di revisione costituzionale. La stessa cosa successe nel 2016 alla legge Renzi-Boschi, che, lasciando inalterato il numero dei deputati, riduceva il Senato a 95 membri elettivi di secondo grado (eletti dai Consigli regionali o provinciali autonomi).
Il taglio dei parlamentari lede il principio della rappresentanza politica. Infatti meno sono gli eletti e più distante è il loro rapporto con gli elettori e il territorio. È possibile fare una comparazione fra i paesi Ue, relativamente alla camera bassa, mentre per quella alta, il Senato, è cosa è impossibile data la diversità tra i vari paesi sul metodo di elezione e le funzioni dell’organo. Ora l’Italia risulta avere un numero di deputati per 100mila abitanti pari a 1 (96.006 abitanti per deputato) di un decimale superiore a Germania (0,9), Francia (0,9), Paesi Bassi (0,9) e di due rispetto alla Spagna (0,8). Tutti gli altri paesi, la maggioranza, sono al di sopra. Se entrasse in vigore la legge su cui è indetto il referendum, la percentuale italiana scenderebbe allo 0,7, inferiore a tutti gli altri paesi della Ue.
Abbiamo certamente bisogno di un Parlamento efficiente. Come è noto nel processo legislativo è cruciale il ruolo delle commissioni permanenti (14 alla Camera e 14 al Senato). Cui poi si aggiungono le varie Giunte, le commissioni speciali o straordinarie, le bicamerali. Le commissioni possono agire in sede referente (discutono un testo, nominano un relatore e lo affidano alla discussione e alla votazione finale all’aula plenaria), oppure in sede redigente (la commissione vota sugli emendamenti e consegna all’aula un testo finale su cui essa vota articolo per articolo e sul testo complessivo), o in sede legislativa (dove la commissione si sostituisce in toto all’aula e vara la legge). Riducendo il numero dei parlamentari si lascia il processo legislativo in mano a pochi di pochissimi partiti. Ad un’oligarchia.
Qualcuno dirà: riformeremo i regolamenti diminuendo il numero delle commissioni. Ma in questo modo si accorperebbero le materie ledendo il principio della specializzazione di competenze su cui le commissioni sono state previste e organizzate. In altre parole una simile riduzione dei parlamentari impedirebbe al Parlamento di funzionare correttamente.
Anche ora il Parlamento ha problemi di funzionamento. Ma non perché i suoi membri sono troppi. Questo deriva da un lato dalla pletora di decreti legge che il governo emana, dall’altro dalle leggi elettorali incostituzionali che si sono susseguite in questi anni, che hanno introdotto pesanti distorsioni maggioritarie e hanno impedito ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, giungendo così a un Parlamento di “nominati”.
Il significato del No il 29 marzo è anche quello di chiedere una legge proporzionale pura con libera scelta da parte dei cittadini degli eletti. L’attuale proposta di legge in discussione alla Camera, il cosiddetto “Germanicum”, non garantisce nessuna di queste condizioni. La solidità dei governi – la famosa governabilità – non deriva dalla restrizione di democrazia, dalla riduzione del Parlamento a un esecutore dei voleri del consiglio dei ministri, ma al contrario da una corretta rappresentanza politica dei cittadini, che rende il Parlamento autorevole. Il risparmio che si otterrebbe con il taglio dei parlamentari equivale allo 0,007% del bilancio statale. Circa 1,35 euro per singolo cittadino: un caffè all’anno. Se si volesse veramente risparmiare basterebbe, ad esempio, bloccare l’acquisto degli aerei di guerra F35.
Il No ancora una volta è chiamato a difendere la Costituzione e la democrazia.
Questo articolo è stato pubblicato da Sinistra Sindacale il 17 febbraio 2020