di Fabrizio Ricci
Il 2030 può apparire ancora lontano nelle nostre singole esistenze, ma è terribilmente vicino nell’ottica del pianeta. Mancano solo 11 anni alla “scadenza” di Agenda 2030, il documento sottoscritto nel 2015 dai 193 Paesi dell’Onu, che fissa 17 obiettivi di sviluppo sostenibile per “salvare il pianeta”. Sì perché, attualmente, la nostra Terra è su un sentiero di sviluppo che sostenibile non è. E questo non solo da un punto di vista ambientale – al quale spesso ci si limita erroneamente – ma anche sociale ed economico.
Il lavoro, ad esempio, è centrale. Garantire un’occupazione dignitosa per tutti è uno degli obiettivi fondamentali di agenda 2030, è il cuore del goal numero 8 (“Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”), tra i cui target specifici ci sono la “protezione dei diritti del lavoro” e la “promozione di un ambiente del lavoro sicuro e protetto per tutti i lavoratori, compresi quelli migranti, le donne e i precari”.
Il nostro Paese, che in generale è in chiaro ritardo sugli obiettivi di Agenda 2030, lo è in modo particolare sul goal numero 8. Lo ha ribadito con chiarezza il nuovo rapporto di Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che è stato presentato a Roma lo scorso 4 ottobre, dal presidente dell’Alleanza Pierluigi Stefanini e dal portavoce Enrico Giovannini, alla presenza, tra gli altri, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Asvis ha costruito vari indicatori compositi per misurare l’aderenza dei vari Paesi, ma anche delle regioni italiane, agli Sdgs (Sustainable development goals, ovvero obiettivi di sviluppo sostenibile). Per misurare i risultati rispetto al goal 8 ha incrociato 6 elementi: il Pil procapite, le morti sul lavoro, i Neet (giovani che non studiano e non lavorano), il peso degli investimenti sul Pil, il tasso di occupazione e la disoccupazione di lungo periodo. Ne emerge che l’Italia, in controtendenza rispetto all’Europa, è diventata “meno sostenibile” in questi ambiti tra il 2010 e il 2017. In Unione europea infatti c’è stato un miglioramento, dovuto, come si legge nel rapporto Asvis, alla “riduzione della quota di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) e all’aumento della quota di investimenti sul Pil e del tasso di occupazione, vicino all’obiettivo del 75% fissato per il 2020. Anche il Pil reale pro capite è in ripresa dal 2010 e, nonostante la flessione del biennio 2012-2013, registra un aumento medio dell’1,2% annuo tra il 2010 e il 2017”.
“In Italia invece – si spiega ancora nel rapporto – a differenza di ciò che avviene nella maggioranza dei Paesi europei, il Pil pro capite, nonostante una leggera ripresa del triennio 2015-2017, rimane ben al di sotto dei livelli pre-crisi. Il tasso di disoccupazione, seppure sceso al 10,6% nel 2018 (rispetto all’11,2% del 2017), resta comunque superiore ai livelli pre-crisi e molto più alto di quello medio europeo. Il miglioramento occupazionale non ha interessato poi le regioni del Mezzogiorno, che presentano un tasso di occupazione statico e inferiore al 44% (43,5% nel primo trimestre 2019)”.
A conferma di una situazione ancora molto insoddisfacente, Asvis evidenzia anche il tasso di mancata partecipazione al lavoro (19,7%), quasi doppio rispetto a quello medio Ue, e la quota di Neet (27,1% per la fascia d’età 20-24 anni e 30,9% per quella 25-29 anni), con punte superiori al 40% per i giovani di 18-29 anni in Campania, Calabria e Sicilia.
Non a caso, tra le proposte avanzate dall’Alleanza per lo sviluppo sostenibile c’è quella, centrale, della creazione di una “task force trasversale e interministeriale per definire un piano nazionale per l’occupazione giovanile”. Un piano da varare in tempi stretti, vista l’imminente scadenza del target 8b dell’Agenda 2030, che richiede, entro il 2020, di “sviluppare e rendere operativa una strategia globale per l’occupazione giovanile e l’attuazione del Patto globale dell’Organizzazione internazionale del lavoro”.
“Rispetto al passato c’è un sostegno maggiore da parte dei cittadini, delle imprese, delle organizzazioni sindacali, della società civile e dell’opinione pubblica per azioni coraggiose, anche se alcune appaiono costose nel breve termine – ha detto Giovannini -. La sequenza degli interventi è cruciale, così come l’attenzione ai più deboli. L’Asvis è a disposizione di tutte le istituzioni per sostenere questo processo. Ci credevamo quattro anni fa, quando ben pochi sapevano cosa fosse l’Agenda 2030, continuiamo a crederci oggi, confortati dalla presa di coscienza globale che non c’è più tempo”.
Questo articolo è stato pubblicato da Rassegna.it il 4 ottobre 2019