Incursioni e radicamenti: danza e territorio in Emilia Romagna

30 Settembre 2019 /

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di Silvia Napoli
La storia della danza emiliano romagnola, quella che si intende come fatto diffuso, performativo e performante nello spazio comune, fattore identitario, insomma, passa attraverso la dialettica tra due attitudini, quella del blitz piratesco e quella della radice rizomatica.
Corre l’anno 1995, quando Monica Francia, coraggiosa figura di coreografa danzatrice in fissa con una concezione pedagogica e democratica della danza, fonda il mai dimenticato festival Lavori in pelle in quel della natia Alfonsine.
Siamo nel cuore della Romagna più verace e meno turistica, posseduta da una sorta di forza tellurica che muove da radici ribelli di antica data per sposarsi agli immaginari distopici della science fiction d’autore, quelli per intenderci intenzionati a ridisegnare biotopoi di inquietante bellezza. E Francia riesce a offrire scenari inconsueti a dir poco, a promesse, oggi luminose certezze. della danza contemporanea quali per esempio Simona Bertozzi. Formazione impeccabile, ma spirito sovvertitore e desiderio di contaminazioni multidisciplinari animano questa sorta di meglio gioventù che mette il corpo come palla al centro, più che l’esibizione ballettistica tout court.
Intanto un fervore propositivo anima a Bologna, un gruppo altrettanto determinato di studenti DAMS e siamo nel 1997, a inventarsi il fortunatissimo format Danza urbana, da subito inserito nel circuito delle Città che danzano. Ovvero, spettacoli di danza, ambientati, a sorpresa, si potrebbe dire, in luoghi estremamente eterogenei e vissuti del paesaggio urbano. Che si connota in questo modo di accenti insoliti e poco esperiti. Ma sarebbe meglio dire, pensati opportunamente per luoghi storici, o futuribili, oppure ancora dismessi, di passaggio o di sosta, riletti in modo fresco e sorprendente da coreografi spesso stranieri, dal vecchio continente, ma recentemente anche extraeuropei, che misurano cosi l’impatto della propria cultura per come espressivamente deflagra nel nostro affollato e distratto day by day cittadino.
A poco a poco comincia a delinearsi una rete sempre più strutturata di esperienze fuori dalle programmazioni canoniche di cartellone, fuori da un sistema, ma non in contrapposizione e neppure forse in alternativa manichea, bensi come opportunità, completamento, arricchimento, copertura totale per una modalità di espressione corporea che è una sfida per i professionisti di settore, una pedagogia virale per i neofiti, un modo antiaccademico, non canonico di percepire il mondo e le sue stratificazioni:se oggi la scienza ci avverte che siamo entrati nell’era Anthropocene, la danza che si fa nei territori, ipotizza un campo di gioco che sopravviva gioiosamente all’umano come l’abbiamo conosciuto finora. Insomma, con grande fluidità, pronti a tutto, persino a inventarsi una naturalità ibrida che travalichi regno vegetale, animale, bestiari immaginifici e mondo artificiale.
Cosi si incastrano le varie sezioni scatola cinese di danza Urbana, Masdanza, Convergenze e Sedimenti fino a Danza Urbana XL che rappresenta il punto di incontro del network anticorpi XL, un vero programma di scambi e circuitazione per la danza d’autore in spazi non convenzionali. in Romagna intanto si passa dai lavori in pelle ai Cantieri Danza, di base a Ravenna, sottolineando la vocazione pratica e artigianale di un parlare con il corpo come incessante lavoro accessibile potenzialmente a tutti sin dai banchi di scuola.
Selina Bassini e Monica Francia, da performerse coreute diventano specialmente grandi pedagoghe e organizzatrici e possono permettersi di titolare Ammutinamenti, la loro rassegna estesa di danza a vocazione performativa. Un ammutinamento agli stereotipi, uno scompaginare i codici che vede la sua ragion d’essere in un incessante fabbricare prima di avere certezze di rotta. Perché questo è il rischio, quando si parla del Bello in senso non convenzionale. Cosi, Danza Urbana in Bologna ci ha proposto un incantevole esercizio di stile ambientato all’orto botanico, per esempio, targato Hisashi Watanabe, che mutatis mutandis recupereremo anche tra i corsari di Ravenna come pure Nicola Galli, da promessa a certezza in entrambe le sue versioni, De Rerum natura, tanto per aprirci ulteriormente al concetto di fecondo spaesamento spazio temporae ep poi il gioco sperimentale Genoma, sul quale ritorneremo a breve.
Evidenti sono peraltro i legami con tutta la scena teatrale romagnola, se troviamo sia nella rassegna si Bologna, sia in quella ravennate successi da vari festivals romagnoli, primo fra tutti quel Santarcangelo dei Teatri, che magari non accoglie tanta danza in senso stretto, ma sa farsi nido per le performance più toccanti e interattive del momento, quale Graces di Silvia Gribaudo, già prontissima per le programmazioni autunnali di cartellone. Ma a sottolineare la maturità di un festival che conserva la sua cifra anche e soprattutto contraddicendosi, almeno apparentemente, abbiamo visto una straordinaria composizione corale di Enzo Cosimi, quasi un classico nell’ambito della ricerca, che fa entrare la strada letteralmente in un tempio delle programmazioni bolognesi quale l’oratorio s Filippo Neri, mettendo in scena la stupefacente bellezza degli ultimi.
A Ravenna, come si diceva, la pedagogia detta le sue leggi attraverso sottosistemi di scoperta e cura. Sto pensando per esempio ai percorsi delle nuove traiettorie, che si dotano di una commissione di tutoraggio composta appunto dai coordinatori delle residenze di TeatriDimora di Mondaino e da Massimo Carosi, fondatore di Danza Urbana insieme a docenti assai conosciuti, voglio citare Fabio Acca dei laboratori DAMS e Lisa Gilardino reduce dalla vice direzione di Santarcangelo, tra tutti. E naturalmente, voglio riferirmi al tassello conseguentemente ideale di quel percorso che è la vetrina della giovane danza d’autore che ha infiammato il secondo fine settimana di programmazione dal 12 al 15 settembre con lavori promettenti da diverse parti d’Italia.
Questa volontà di estendere e meticciare pubblici e filoni di ricerca, partendo da quella che è ormai una consolidata tradizione nostrana, si evince in particolar modo dalla sezione Residance XL, incrocio di autori e provenienze residenziali, che annoverano eccellenze extra regionali, per la verità quasi tutte situate nel nord d’Italia, in costante dialogo e scambio, in senso sia teorico che pratico-organizzativo. In definitiva un insieme di reti che non si smagliano come spesso accade, ma sedimentando, producendo, allargando danno l’idea di sistematizzarsi e se prima esisteva una sorta di covo di pirati issati sull’imbarcazione dell’alterità, oggi potremmo dire di avere una flotta agguerrita, qui a Ravenna, che nel tempo si è conquistata un largo seguito di aficionados e adepti.
Questo mi risulta evidente nelle due situazioni altamente simboliche rispettivamente del primo fine settimana, ovvero il Genoma scenico teens pomeridiano, ideato appunto da Nicola Galli, a sua volta teen non molto tempo fa e le prove d’autore XL di sabato 14 settembre in serale, seguite da conversazione con il brillante ad arguto docente e critico Fabio Acca, entrambi gli eventi posizionati nel covo per eccellenza degli ammutinati, ovvero quelle Artificerie Almagià ricche di storie identitarie del territorio ravennate.
Genoma entusiasma e spinge ad una fruizione della danza ben lontana dall’ingessata attitudine dei pubblici da balletto. Cinque giovanissime performers, agiscono in varie combinazioni momenti di esibizione governati dall’estro degli spettatori attivi che muovono in piccoli gruppi le tessere di una tastiera collegata elettronicamente a produrre suoni, musiche, ritmi e a decidere la formazione del prossimo numero, ovvero solo, duetto o gruppo. Un gioco di virtuosismi incrociati che fa sentire il pubblico parte del tutto.
In maniera diversa e più mediata, sensazioni analoghe di freschezza creativa, vicinanza etica e affinità tra generazioni si respirano poi nel trittico concettuale formato dalla coreografia Best seller, pensata da Marco D’Agostin per il balletto di Roma, Greta on the beach di Francesca Foscarini per il nuovo balletto di Toscana e Beats di Solinas e Urzelai, concepita per la MMContemporarydancecompany, per la verità viste in ordine invertito a questo. In questo caso, i giovani coreografi si sono provati con compagnie di formazione accademica e indubbia perizia a dispetto dell’anagrafe, offrendo uno spaccato ironico, ispirato e profondos ulla propria condizione e la propria disciplina e sulle cose dal mondo: parafrasando Eco, potremmo dire che questo lavorare sul corpo lungi dall’essere questione di superfici, li preserva dal rischio di risultare apocalittici o integrati, fornendo invece carburante alla prefigurazione scanzonata di trasformazioni e sovvertimenti possibili, perché l’Utopia è qui che si sta facendo, a mani nude e catturandoci si, ma dentro una accessibile, democratica Bellezza.
Si conclude in uno scampolo d’estate, sciamando sulla darsena e ringraziando la determinazione e lo stare “mani in pasta” di Francia e Bassini, organizzatrici e maestre a tutto campo, che certo sanno crescere realtà che vivono e conoscono da artiste in primis.

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