Le sfide che attendono il nuovo governo

23 Settembre 2019 /

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di Alfiero Grandi
Dopo il voto di fiducia al governo Conte 2 resta il sollievo per avere evitato di regalare alla protervia di Salvini le elezioni anticipate, nella consapevolezza che aveva cercato di ottenerle ad ogni costo, fino a provocare la crisi del governo di cui faceva parte, contando sui sondaggi favorevoli e con l’obiettivo di ottenere pieni poteri. La formazione del nuovo governo allontana, per ora, la minaccia di una vittoria elettorale di una destra becera, reazionaria, sanfedista coagulata ed egemonizzata dalla Lega, che ora subisce una battuta d’arresto, conseguenza del fallimento dell’azzardo di Salvini. Evitare le trappole dell’avversario non basta ma è importante. E anche chi è perplesso sulla soluzione politica è probabilmente consapevole che ci sono possibilità che debbono essere sfruttate, per tentare di costruire quello che oggi non c’è. Per questo è bene dire con chiarezza che non è affatto sicuro che questa soluzione di governo si trasformerà da una vittoria tattica in una strategica. Anche perché la crescita della peggiore destra in Italia è anche connessa ad un processo internazionale di crescita delle destra, per quanto variegato e contraddittorio.
È uno degli effetti di una globalizzazione senza regole che ha provocato paure, reazioni di chiusura, ha favorito la crescita di populismi di destra fondati sul disagio crescente di ampie aree di popolazione. La composizione del governo non desta entusiasmi, qualche ministro è oggetto di critica severa non senza motivo, qualche altro desta perplessità. Il programma contiene certo tanti impegni positivi, perfino condivisibili, ma, come la composizione del governo, non desta entusiasmi. Gli aspetti importanti e nuovi sono all’interno di capitoli che contengono tanti contrappesi e le scelte fondamentali della futura azione del governo sono poco visibili. Nei passati governi di centro sinistra alcuni connotati erano nitidi, ora i contenuti più importanti sono mescolati, quasi celati. Sembra più un trattato di armistizio che un programma di governo. Forse in questo momento non era possibile fare di più, comunque sia è difficile suscitare entusiasmi.
Qualche esempio.
Uscire dalla crisi. È evidente l’impegno a cercare di uscire dalla stagnazione. I singoli provvedimenti indicati possono essere utili, ma c’è un problema politico a monte del tutto assente. L’Italia è entrata in difficoltà proprio nel settore delle esportazioni, causa Trump ed altri. Proprio quello su cui l’Italia aveva puntato per uscire dalla crisi. Occorre una novità politica oltre che di tecnica di governo. La questione di fondo è che il populismo dominante – prima con Renzi, poi ancora di più con Salvini e Di Maio – ha cercato di saltare completamente il ruolo delle rappresentanze sociali e in generale dei “corpi intermedi”, quelli che non si presentano alle elezioni. La novità politica potrebbe essere una svolta che ridia peso ed importanza ai sindacati e alle altre rappresentanze sociali, portandole da un ruolo secondario, ignorato, in pratica ridotte a lobbies, a quello di coprotagonisti delle scelte di fondo da compiere. Scelta necessaria per fare uscire l’Italia da una crisi prolungata. Ancora oggi non abbiamo raggiunto i livelli economici precedenti la crisi.
Questa scelta comporterebbe per il governo definire gli obiettivi, discuterli, cercando intese su cui far confluire impegni convergenti, altrimenti i singoli aspetti rischiano di restare iniziative isolate, senza la capacità di dare un segnale politico forte, generale. Il governo e il parlamento hanno sempre la possibilità di decidere in ultima istanza, ma oggi serve un impegno corale che faccia uscire i singoli dalla contemplazione del proprio particolare. Uscire dal particolare, dall’egoismo, dalle chiusure è un formidabile antidoto alle derive populiste.
Europa. Johnson è protagonista di un estremismo, di forzature che ricordano Salvini, e questo pone all’Europa la possibilità e l’obbligo di contrattaccare per tentare di evitare non solo il no deal ma forse anche per favorire un ripensamento sulla Brexit. In ogni caso va impostata un’idea di Europa diversa da quella conosciuta in questi anni, egemonizzata dall’austerità. Questo è indispensabile perché non si affrontano sfide decisive per il futuro come ad esempio ambiente, innovazione tecnologica, formazione, ecc. senza una visione di lungo periodo. L’Italia ora ha una base chiaramente europeista, è importante ma non basta, occorre che si proponga come paese protagonista di una linea di riforma della Ue non solo per avere più spazio per il nostro bilancio pubblico ma puntando a mettere in comune gli appuntamenti decisivi del futuro: ambiente, lavoro, innovazione, salute, capitolo purtroppo ignorato nella discussione sui trattati internazionali con altre aree del mondo. Sarebbe un modo alternativo per impostare in modo nuovo lo scorporo degli investimenti dal deficit pubblico, una riforma decisiva che oggi può essere affrontata in un’ottica europea.
Migranti. Accoglienza e integrazione, vedremo i fatti e l’orientamento del nuovo ministro degli Interni, ma è certo che occorre una linea alternativa a quella di Salvini, in gran parte già scritta ma rifiutata dalla Lega, che ha creato il dramma attuale sull’accoglienza dei migranti. La Lega alzerà i toni, pazienza, la sottolineatura dell’alternatività di questo governo conviene a tutti, inutile illudersi.
Fisco. Bene la sepoltura della flat tax e la riscoperta della progressività, come afferma la Costituzione che prevede che ciascuno contribuisca al fisco in rapporto alle sue capacità economiche. È tuttora insufficiente quanto previsto in materia di lotta all’evasione, era certamente necessaria qualche parola in più, ad esempio per escludere qualunque tipo di nuovo condono, sarebbe stata una novità importante. Costituire una cabina di regia per la lotta all’evasione e all’elusione potrebbe aiutare ad ottenere risultati migliori, alla pari dell’uso dell’informatica.
Autonomia differenziata. L’autonomia differenziata impostata dal precedente governo sotto la pressione della Lega è inaccettabile e le risposte nel programma e di Conte in parlamento sono inadeguate. Il pericolo che l’autonomia regionale differenziata rompa l’unità nazionale è seria, fino a provocare l’abbandono del Sud a se stesso. Non si tratta solo di evitare slittamenti ulteriori che comportino l’abbandono del Sud, ma occorre rovesciare la tendenza attuale, che è verso un crescente divario Nord/Sud.
Riduzione dei parlamentari. Pur apprezzando l’impegno per una legge elettorale proporzionale, che rovesci la stupidità del Rosatellum, che per di più avrebbe premiato la Lega in caso di elezioni anticipate, resta il fatto che la riduzione dei parlamentari provocherà di fatto il raddoppio della soglia di accesso al parlamento, insieme ad una insufficiente rappresentanza territoriale per intere aree del paese. Semmai il vero problema sarebbe riformare il parlamentarismo paritario.
La novità politica è che se fallisce questo governo la vittoria della Lega potrebbe essere solo rimandata. Per evitare questa iattura occorrono forza e coraggio nelle scelte, ma perché questo avvenga occorre che entrino in campo i cittadini, facendo valere il loro punto di vista. Colpisce che da versanti diversi ci siano in questi giorni messaggi rivolti al nuovo governo che preannunciano iniziative, voglia di farsi sentire. Può perfino diventare un aiuto, certo, ma non sarà un sostegno gratuito perché tutte chiedono novità politiche, chiedono di respingere le derive, di far vivere quello che altrimenti potrebbe restare solo scritto nel programma. La crisi e soprattutto la sua soluzione sono avvenute attraverso scelte che non hanno coinvolto i cittadini. Non solo perché era agosto. Ora occorre fare entrare in campo i cittadini, anche perché il governo da solo non avrebbe forza sufficiente per fare scelte innovative, socialmente importanti. La partecipazione deve imporsi, con una totale autonomia dal governo e deve pretendere risposte.
In questa fase partecipazione e autonomia debbono più che mai andare insieme.
Occorre cambiare registro, senza attendere le chiamate dal governo, le sue indicazioni, anzi per il bene di tutti occorre che si sviluppino vigilanza, partecipazione organizzata, in tutte le forme possibili cercando di portare settori importanti dell’opinione pubblica a dire la loro con la forza di chi sa che per farsi ascoltare occorre autonomia politica, determinazione, coraggio di andare controcorrente. Se qualcuno pensa di ricondurre le scelte all’interno del governo e della sua piattaforma sta lavorando, consapevole o meno, per la fine di questa esperienza e per una crisi di quella democrazia che abbiamo conosciuto dalla Liberazione ad oggi. Il senso della sfida per tutti deve essere ben chiaro.
Questo articolo è stato pubblicato da JobNews.it il 12 settembre 2019

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