di Alessandro Calvi
Fascista o meno che sia, il pensiero che anima Salvini è comunque schiettamente autoritario e strumentalmente nazionalista. Drammaticamente, proprio a questo pensiero si sono consegnati sia il Movimento 5 stelle sia il Partito democratico, aiutandone e persino anticipandone la costruzione, sebbene in tempi diversi. Ciò rappresenta già oggi un problema almeno quanto potrebbe rappresentarlo Salvini in futuro.
È cosa nota che la Lega sia da sempre abitata da un sentimento di destra, di una destra che si nutre di slogan i quali fino a non molto tempo fa chiunque o quasi avrebbe avuto pudore di pronunciare a mezza bocca, figurarsi urlarli nelle piazze. Basterebbe ricordare lo scandalo che diedero anni fa alcune iniziative di personaggi come Mario Borghezio mai risarcite, almeno nella pancia del partito, da giovanili appartenenze a formazioni di sinistra, e addirittura al Partito comunista, attribuite a certi altri dirigenti leghisti.
Che di questo si trattasse, che si avesse a che fare con un partito i cui esponenti se ne andavano armati di disinfettante a sterilizzare i sedili dei treni utilizzati dagli extracomunitari, lo si sapeva come si sapeva di certi slogan razzisti a proposito dei meridionali e delle invocazioni al Vesuvio o all’Etna affinché nettassero la terra. Son tutte circostanze difficilmente derubricabili a forme di goliardia, sebbene adesso molti preferiscano credere che così fosse. Tutto ciò lo sapevano anche i grillini i quali, anche per il suo esser di destra, scelsero proprio il leghista come alleato per andare al governo. Ce lo dimostrano molte circostanze e, più di ogni altra cosa, il contratto di governo.
Il contenuto di quel documento, infatti, più che alla conservazione, è apparso a tratti attingere direttamente alla reazione. Basti dire della giustizia dove il vecchio “legge e ordine” è diventato principio ispiratore per stravolgere la legge in repressione. Ma si dovrebbe dar conto anche dell’idea di introdurre il vincolo di mandato per i parlamentari – peraltro già ben visto da molti altri leader muscolari che hanno preceduto la coppia Salvini-Di Maio – e che però finirebbe per neutralizzare di fatto la democrazia parlamentare. Quel contratto è stato fatto ingoiare al proprio elettorato il quale ha poi ingoiato in rapida successione una lunga serie di ripensamenti e giravolte, dal Tap all’Ilva fino al ridicolo del mandato zero.
Anni fa, era il 2012, Beppe Grillo durante un comizio ad Aosta disse ai suoi: “La situazione è drammatica, siamo l’ultima speranza di una rivoluzione senza violenza, se andiamo via noi non c’è più una barriera tra lo stato e la gente, noi siamo una barriera protettiva”. E ancora: “Se non ci fosse il M5s arriverebbero gli eversivi veri. Noi abbiamo riempito un vuoto. Negli altri Stati ci sono le albe dorate, ci sono i nazisti, c’è Le Pen in Francia, in Ungheria c’è il partito nazista”
Poi, però, i suoi hanno accompagnato al governo gli aspiranti alleati di quelle forze politiche e sono stati alla guida del paese con chi ha usato senza nessun pudore espressioni come “zingaraccia”. Infine, sono stati scaricati dall’alleato che ha saputo divorarne il consenso elettorale in pochi mesi. Adesso lo stesso Grillo scrive: “Mi eleverò per salvare l’Italia dai nuovi barbari”. Ma ormai serve a poco: la leadership grillina rischia d’esser ricordata dalla storia soltanto per aver consegnato l’Italia a Salvini poiché questo, al momento, sembra il principale risultato politico della sua partecipazione al governo del paese.
Se si guarda invece a ciò che si afferma centrosinistra, la responsabilità politica nell’attuale stato delle cose è ancora più ampia e risalente. Forse qualcuno ricorderà quel “Siamo tutti con Fredy” che proclamò tempo fa – era il dicembre del 2018 – Michele Serra nella sua rubrica su Repubblica, l’Amaca. Si riferiva al gommista di Arezzo che aveva sparato nel corso di una rapina, uccidendo un rapinatore. “Siamo tutti con Fredy”, sosteneva Serra, poiché, “a parte qualche estroso e qualche maudit, non si conosce chi, tra il lavoratore che sgobba e il ladro che lo deruba, faccia il tifo per il ladro”.
Il fatto però è che di mezzo ci fu anche un morto ammazzato, e infatti tempo dopo lo stesso Fredy, dimostrando spessore umano non comune, dichiarò: “No, non riprenderei in mano una pistola anzi, se dovessi dare un consiglio dopo la mia esperienza, direi a tutti di non prendere le armi perché è un vivere nel terrore”. Il fatto è che fino a qualche anno fa, a sinistra si sarebbe detto senza indugi che non si sta dalla parte del ladro ma neppure di chi spara per difendere la sue cose. Ora, evidentemente, qualcosa è mutato. Si è fatto proprio il punto di vista della destra: la roba si difende, si difende sempre, fino alla morte. Non c’è più soltanto lo stato. C’è l’individuo, la roba, Mazzarò.
Si può essere o meno d’accordo. Si può pensare che la sinistra abbia fatto un passo avanti sulla strada della comprensione del reale. O si può pensare che negli ultimi anni sia avvenuto un cedimento quando, dopo la fine delle idee avvenuta tra gli anni ottanta e novanta del novecento, ci si è resi conto che nessuna idea nuova era venuta a sostituire le vecchie e che non restava altro che il capitale. Si può legittimamente pensarla come si vuole.
In ogni caso, qualcosa è avvenuto e la sinistra oggi – quando non si è abbandonata a una rabbia caotica più revanscista che rivoltosa, e men che mai rivoluzionaria, poi intercettata da personaggi come Di Maio e Di Battista – si sovrappone in buona parte a ciò che un tempo era il centro o perfino la destra moderata. Non a caso una parte importante della leadership democratica è post democristiana più che ex comunista. Michele Serra, nel suo corsivo, ce lo racconta in prima persona, affermando nei fatti quanto il pensiero borghese, nonostante la propria crisi, sia ancora fortemente espansivo.
Questo articolo è stato pubblicato da Internazionale il 12 agosto 2019