di Alfonso Gianni
Come avevamo detto anche in un recente passato, avviene che due torti tornano a scontrarsi tra loro. Da un lato quello interpretato dalle decisioni della Commissione europea di aprire una procedura per debito eccessivo in base all’articolo 126.3 del Trattato sul funzionamento della Ue. Dall’altro quello rappresentato dalla politica economica del governo che con sempre maggiore insistenza – come è stato detto ieri nell’incontro fra Di Maio e Salvini – punta all’attuazione della flat-tax.
Non c’è da stupirsi se siamo a questo punto: il rovesciamento dei rapporti di forza fra sovranisti-nazionalisti europei e seguaci dell’ortodossia di Maastricht non c’è stato. I primi si sono rafforzati, ma non in modo tale da modificare nella sostanza gli equilibri politici a Bruxelles. Quindi la Commissione alza la mannaia. Non l’ha ancora abbassata, la decisione spetta agli stati membri, quindi al Consiglio europeo, ma il sigillo potrebbe arrivare il 9 luglio dall’Ecofin, il consiglio dei ministri delle Finanze dell’Unione europea. E in quelle sedi neppure i loro amici sovranisti più spinti sono in vena di tenerezze nei confronti dei governanti italiani.
Ma già la minaccia basta per eccitare i mercati finanziari, per fare lievitare i rendimenti dei titoli di Stato e spingere in alto lo spread. Infatti Moscovici da un lato dice di mantenere la porta aperta alla trattativa con l’Italia, dall’altro avverte che saranno i mercati a fare “ravvedere” il governo italiano. Ma è una politica irresponsabile, soprattutto quando viene condotta nei confronti di un paese, come il nostro, in grave difficoltà economica e allo stesso tempo tra i più importanti della Ue. La procedura per debito, a differenza di quella per deficit, non è mai stata attuata. Qualora lo fosse le conseguenze per l’Italia sarebbero gravissime e durerebbero almeno un lustro (vedi Nota in fondo all’articolo). Ma su cosa si basa una simile severità in una Unione che non è mai neppure riuscita a raggiungere una politica fiscale unitaria? La risposta è semplice, quanto sconvolgente. Sul nulla, ovvero sul caso.
Tutto ruota attorno al numero magico 3, o meglio il 3%. Già Romano Prodi ebbe a dire che si trattava di un parametro stupido, ma non spiegò mai il perché. Venne inventato da un funzionario del ministero del bilancio francese, Guy Abeille, che, in un’intervista (ne ha rilasciate più d’una) al Sole24Ore del 3 aprile 2019, ha dichiarato: “Se mi chiede se la regola adottata oggi in Europa e in altre nazioni del mondo, tra cui Israele, Malesia e Cina, secondo cui il deficit di un Paese non debba superare il 3% del Pil abbia basi scientifiche le rispondo subito di no. Perché sono stato io a idearla, nella notte del 9 giugno 1981, su richiesta esplicita del presidente François Mitterrand che aveva fretta di trovare una soluzione semplice che mettesse rapidamente un freno alla spesa del governo di sinistra che nel frattempo stava esplodendo. Così in meno di un’ora, senza l’assistenza di una teoria economica, è nata l’idea del 3%».
Perché fu scelto quel numero? Non solo per i suoi caratteri esoterici, ma perché in quell’anno il Pil francese era di 3.300 miliardi e la spesa si avvicinava a 100, il rapporto non era quindi lontano dal fatidico numero 3. La cosa piacque anche ad Hemut Kohl: “Drei komma null” (tre punto zero): una formula lapidaria quanto autoritaria. E da allora prese il volo, e ora ne paghiamo le conseguenze. Lo stesso Abeille propone di sostituirlo con altri criteri dotati di maggiore scientificità, e umanità verrebbe da aggiungere. Ma nessuno fa il primo passo.
Tantomeno il governo italiano che si prepara al conflitto nel solito modo roboante quanto privo di proposte se non quelle pessime. Perché, e siamo al secondo torto, un conto è aprire un conflitto con la Ue per attuare una politica di spesa sociale e di effettivo rilancio della economia con investimenti pubblici, un altro è farlo con un reddito di cittadinanza che tale non è e soprattutto con una flat-tax che oltre che incostituzionale, avrebbe l’effetto di aumentare le diseguaglianze, come già si è visto dal primo assaggio per quanto riguarda i rapporti fra lavoro autonomo e dipendente, e diminuirebbe le entrate fiscali dello stato riducendo quindi la sua capacità di spesa. Ne deriverebbe un impoverimento a tutti i livelli, tranne che per quel famoso 1% che guarda il mondo dall’alto delle sue indivise ricchezze.
Nota
La procedura diventa più vincolante e aspra a mano a mano che procede e prevede sanzioni solo ad uno stadio avanzato: allo stadio dell’articolo 126.7, il decimo della piramide, è prevista la possibilità che la Commissione raccomandi il deposito infruttifero di una somma pari allo 0,2% del Pil. All’articolo 126.8, l’undicesimo gradino della piramide, è prevista la possibilità di sospendere una parte o tutti gli impegni oppure i pagamenti relativi ai fondi strutturali e di investimento europei. Al dodicesimo stadio, è possibile per la Commissione raccomandare la decisione di imporre una sanzione, non più un deposito infruttifero, pari allo 0,2% del Pil; al diciassettesimo stadio, l’articolo 126.11, il Paese potrebbe subire, oltre alla sospensione dei pagamenti o i pagamenti legati ai fondi strutturali, una multa pari allo 0,2% del Pil cui si aggiunge, in questa ultima fase, una componente variabile, per un ammontare fino allo 0,5% del Pil.
Questo articolo è stato pubblicato da JobNews.it l’8 giugno 2019