di Tommaso Di Francesco
Il voto delle amministrative di domenica scorsa porta a termine, se possibile, lo stravolgimento che era del resto apparso evidente con i risultati delle elezioni europee. C’è la ripresa del Pd, ma assolutamente parziale, è sempre in discesa l’astro nascente del M5s, emerge su tutto l’affermazione forte quanto pericolosa della Lega che sfonda in aree sociali, politiche e culturali, che eravamo abituati a dare per scontate, chissà perché, considerandole «per sempre» presidio di memoria d’eventi che nel tempo hanno rappresentato la storia italiana.
È infatti una cancellazione dell’immaginario cultural-politico, non solo della sinistra, il fatto che la Lega prima secessionista e al potere con il sistema-Berlusconi, venata di localismo e corruttela, ma poi diventata nazionalista identitaria sovranista-razzista, abbia sfondato in Emilia, sia il primo partito nell’antifascista Forlì, e prenda le redini del Comune di Ferrara.
Viene provocatoriamente da chiedersi, che fine fa Olmo, il protagonista di Novecento di Bernardo Bertolucci, ora che la bandiera rossa gigante che aveva conservato nell’epoca buia del fascismo, torna ad essere minuscola, invisibile e stracciata? E che fine fa quel Romanzo di Ferrara di Giorgio Bassani, che fine fa il dolore di Micol nell’itinerario di sentimenti e vite fatte a pezzi dal fascismo, come nel racconto della tragedia degli ebrei di quella città – anche di quelli che al fascismo avevano aderito – deportati nei lager nazisti con la connivenza di tutti.
Qui ormai dal Giardino dei Finzi-Contini siamo passati al Giardino dei Finzi-Salvini. Certo, si dirà – e a ragione -, la Lega di Salvini non è il fascismo squadrista.
Ma proprio la sconfitta odierna della sinistra in Emilia e a Ferrara ci permette di riflettere su un altro elemento storico. Ferrara all’inizio degli anni ’20 dello scorso secolo fu, oltre che il territorio della guerra civile e della violenza organizzata da Italo Balbo contro i lavoratori, le Camere del lavoro e le organizzazioni fasciste, il primo vero territorio italiano che si arrese alle camicie nere e anzi passò dall’altra parte costituendo quella che, prima Gramsci e poi Togliatti, furono costretti a segnalare come prima «base di massa del fascismo».
C’era la proposta concreta, quanto mutuata dal socialismo e rivelatasi falsa anzi tutta a vantaggio degli agrari, della distribuzione proprietaria della terra, della «riforma agraria», ai contadini ex combattenti (tutt’altro che nostalgici della guerra ma snobbati dalla sinistra) a riparazione del sangue versato nell’inutile massacro della Prima guerra mondiale; e c’era insieme la violenza armata – degli squadristi scortati nelle loro spedizioni dai carabinieri – contro le lotte bracciantili che avevano come obiettivi i contratti nelle campagne e in prospettiva la collettivizzazione delle terre.
Il mondo del lavoro nelle campagne alla fine risultò diviso, come quello operaio più tardi con l’adesione ai sindacati corporativi. Quel «concreto» dei programmi della destra estrema era assolutamente a favore degli agrari e dei padroni ma intanto divideva i lavoratori. Eppure l’allora sinistra di classe, socialista, cominciava a demoralizzarsi e ad abbandonare il campo, e i comunisti erano troppo pochi.
Ora accade che con i risultati dei ballottaggi Nicola Zingaretti sembri esultare e dichiarare che non di sconfitta si tratta ma invece del ritorno ad un «bipolarismo competitivo» tra destra e Pd, partito non ancora uscito dalle nebbie moderniste di Matteo Renzi e soltanto rivestito di una patina di buone promesse.
In realtà di bipolarismo non c’è traccia e invece è sfacciatamente preponderante una destra che, contro le rigidità e l’austerità della Commissione europea – le migliori alleate dell’avanzata di Matteo Salvini – parla ormai di «protezione sociale per le persone» oltre le regole del mercato, della concorrenza, della crescita presentate come salvifiche ancora dal Partito democratico. Certo, la Lega ne parla premettendo vergognosamente «prima gli italiani» nella finzione ideologica di chi è consapevole che ormai le soluzioni ad ogni problema locale o sono sovranazionali o non esistono.
Ma la sinistra che fa? Stando come sta solo a guardare la destra che sfonda nei propri territori? In assenza di risposte a sinistra alla domanda di «protezione sociale», Ferrara torna a confermarsi come la tragedia della nostra immobilità.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto l’11 giugno 2019