di Alfiero Grandi
Il 1° maggio negli anni è diventato per troppi un giorno di festa tra gli altri, dimenticando che è giorno di riscatto e di ricordo delle lotte per e nel lavoro. Così, il lavoro, i suoi drammatici problemi, la memoria delle faticose conquiste nel corso dei decenni, la scarsità di lavoro disponibile sono via via spariti dall’attenzione, con alcune eccezioni. La considerazione sociale del lavoro è crollata con il peggioramento del potere contrattuale e delle condizioni di lavoro della maggioranza dei lavoratori. Non solo in Italia, dove pure è esistito un movimento sindacale forte e combattivo, ma nel mondo perché la pressione della globalizzazione neoliberista ha spinto verso il basso il lavoro. Come ha detto con arroganza il finanziere Buffet: la lotta di classe l’abbiamo vinta noi. Per questo può essere importante una giornata come il 1° maggio: per riflettere, discutere, organizzare una risposta politica e sociale, per risalire la china.
Dobbiamo al contributo dato dai lavoratori alla Resistenza, alla sconfitta dei nazifascisti, alla libertà, la conquista della Costituzione del 1948 che – non a caso – recita nell’articolo 1: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La Costituzione avrebbe dovuto essere applicata con più coerenza, mentre il peso di politiche conservatrici ha precluso per molti anni l’adozione di leggi ispirate da una Carta fondamentale tra le più progressiste nel mondo. Nel 1970, al culmine di una fase di conquiste contrattuali importanti, fu approvato lo statuto dei diritti dei lavoratori. Una legge che era una svolta. Alcuni, forse troppi, anche a sinistra lo capirono in ritardo. In anni più recenti, con il dispiegarsi della globalizzazione, è iniziato un attacco allo statuto dei lavoratori che ha portato allo smantellamento di parti fondamentali come la regola contro i licenziamenti immotivati che prevedeva il reintegro senza giusta causa.
A sinistra, purtroppo, questo attacco, portato in nome dell’ideologia dominante che cantava le lodi della soppressione di tutte le regole sul lavoro, ha fatto proseliti. Ad esempio, dobbiamo al governo Renzi un attacco tra i più gravi allo statuto dei lavoratori. È ovvio che a destra hanno approfittato di questo varco e hanno fatto di tutto per andare oltre. Ciò che manca tuttora è una chiara e coerente autocritica su quanto è avvenuto, tale da consentire alla sinistra di diventare di nuovo riconoscibile agli occhi di chi lavora come sua rappresentanza politica, con l’obiettivo di fare dei lavoratori classe dirigente del paese. Altrimenti nessuno può meravigliarsi se i lavoratori cercano altre rappresentanze della loro frustrazione, che non risolve ma cerca sfogo alla rabbia.
La nostra Costituzione è da anni sotto l’attacco di quanti la ritengono troppo favorevole al ruolo dei lavoratori. L’attacco viene da sedi finanziarie internazionali che ne vogliono la modifica sia sul lavoro che sostenendo l’esigenza di decisioni anche senza il consenso dei cittadini. In altre parole una svolta autoritaria. Per questo da tempo è in corso un’iniziativa per riscrivere l’articolo 1 della Costituzione a favore del ruolo dell’impresa. Ovviamente a scapito del lavoro. Il ruolo dell’impresa è definito con equilibrio nell’articolo 41 della Costituzione che ne sancisce l’importanza e la libertà insieme alla sua responsabilità sociale.
La più recente elaborazione del prof Phillips sulla libertà è la conferma della validità dell’impostazione del testo della nostra Costituzione. L’attacco alla Costituzione è un fiume carsico che periodicamente riemerge. La Costituzione è una conquista continuamente rimessa in discussione. Anche in questa fase ci sono stati e ci sono tuttora tentativi di modificarla. A troppi sembra non essere chiaro che la Costituzione è una garanzia fondamentale per tutti noi. In essa è previsto che le classi sociale subordinate possano diventare dirigenti attraverso le loro rappresentanze sociali e adeguate scelte politiche. Da molti anni è in corso non solo una crescente divaricazione sociale della ricchezza e dei redditi ma una lacerazione anche dentro il mondo del lavoro. Accanto a ristrette aree di lavoro più tutelato ci sono ampie aree con tutele scarse o inesistenti, in mezzo un saliscendi da far venire il mal di mare, di cui sono parte integrante le centinaia di aziende che vedono l’occupazione a rischio. Questa è la prima ragione delle difficoltà di unificare e fare pesare il mondo del lavoro come è accaduto in altre fasi della nostra storia recente. Anche la Costituzione risente di questa debolezza del ruolo del mondo del lavoro, che pure ha tanto contribuito alla sua conquista e in seguito alla sua attuazione.
Eppure il mondo del lavoro oggi ha più che mai bisogno della Costituzione e delle scelte politiche. In altri periodi il lavoro ha ispirato risposte politiche che andavano oltre il suo ambito, fino a diventare scelte generali, per tutta la società, come la scuola, il sistema pubblico di pensione, il sistema sanitario nazionale che fino a qualche decennio fa sono stati non solo conquiste sociali importanti ma collanti decisivi per la società italiana. Ora tutto è in movimento. Ora il mondo del lavoro ha bisogno di ottenere scelte politiche che aiutino a riunificare dispersione, frantumazione, scarso potere contrattuale, spesso scoraggiato con un attacco continuato al ruolo di rappresentanza dei sindacati.
In altri periodi il potere contrattuale e l’iniziativa sindacale potevano supplire in parte ai vuoti legislativi, ora invece occorrono leggi ben fatte, attente all’obiettivo di invertire la tendenza alla concorrenza esasperata tra lavoratori, di allentare la pressione di una disoccupazione a livelli troppo alti in particolare tra i giovani. Occorre impostare un disegno ambizioso che ispirandosi alla nostra Costituzione realizzi un nuovo impianto di diritti (la Carta dei diritti di tutti i lavoratori presentata dalla Cgil è un buon riferimento), di obiettivi sociali tali da garantire elementi nuovi ed importanti di unificazione del mondo del lavoro. Il lavoro oggi ha bisogno più che mai della attuazione della Costituzione, di buone leggi che chiudano la fase della regressione fino al riemergere dal passato di forme di vera e propria schiavitù.
La sinistra se vuole risalire la china deve ritrovare la sua iniziativa sul lavoro. Alcuni temi sono già chiari da tempo. I diritti di chi lavora, a partire da una normativa di legge contro il ricatto del licenziamento ingiustificato. Il diritto dei lavoratori ad avere un controllo contrattuale sulla propria condizione di lavoro, sulla retribuzione, sugli orari, ecc. sulla base di contratti definiti con i sindacati in base alla loro effettiva rappresentanza. A questo la legge può dare una spinta importante. Occorre ridisegnare gli interventi a favore delle aree di lavoratori che non riescono a difendersi adeguatamente da sole. La discussione sul reddito di cittadinanza ha il merito di avere portato alla luce che il salario in Italia è molto basso e che l’adozione di un salario minimo può essere utile se è rivolto a sostenere la contrattazione, non a sostituirla, come un pericoloso paternalismo ripropone. Il fenomeno dei lavoratori poveri si è allargato a dismisura. Occorre infine ridisegnare i pilastri dello stato sociale, non per abbatterli come propone la destra neoliberista, ma per rafforzarli negli aspetti che hanno perso la capacità di difendere aree di lavoratori che oggi sono esclusi o ai margini e, ad esempio, sono costretti a non curarsi perché non se lo possono permettere.
Il 1° maggio 2019 deve essere anche una festa ma soprattutto l’occasione per rimettere in campo il tema del lavoro, per ridare al lavoro il ruolo e la dignità che merita nella società, invertendo una fin troppo lunga fase di regressione.
Questo articolo è stato pubblicato da Jobsnews.it il 27 aprile 2019