di Daniela Preziosi
Elly Schlein, europarlamentare uscente. Tutte ma proprio tutte le liste del centrosinistra le hanno chiesto di candidarsi. Lei non ha scelto nessuna, ha scelto di non correre. Perché?
È una scelta sofferta ma inevitabile per il senso di tutto il mio lavoro di questi cinque anni a Bruxelles. So che scontento molti e mi dispiace. Ho provato a unire un fronte ecologista e progressista che rispondesse ai nazionalisti e si rafforzasse sulle battaglie che in tanti paesi condividiamo nelle piazze e nelle istituzioni. E che al parlamento europeo ci ha fatto vincere partite cruciali. Anche in Italia serve la stessa operazione: un fronte di quello che chiamiamo il terzo spazio, senza ambiguità verso le politiche liberiste e i nazionalisti. Ho fatto ogni sforzo possibile con tutti gli interlocutori per costruire un progetto comune nell’Unione e nel paese, per evitare frammentazioni inutili. Purtroppo non è andata così. Ringrazio di cuore tutti per le proposte, dai miei compagni di strada al Pd, la loro non era per niente scontata vista la mia storia, ma è il segno che il nuovo segretario vuole aprire una nuova fase nel dialogo con la sinistra. E mi ha colpito la generosità di alcune aree, che mi hanno offerto sostegno anche in quell’eventualità. Ho lavorato sempre per unire. Per questo non voglio né posso fare scelte divisive per le persone con le quali ho lavorato fianco a fianco per anni. Ma il mio impegno non finisce. Sosterrò in tutto il paese i candidati con i quali condivido i valori, indipendentemente dalle liste in cui sono.
Chi sosterrà?
Aspettiamo l’ufficializzazione delle liste. Darò loro una mano.
Le è arrivata una richiesta dal Pd, lei dice, è grazie al nuovo corso di Zingaretti. Ma ha risposto no. Il nuovo corso Pd non la convince?
In un mese è difficile superare le contraddizioni e segnare un nuovo corso. Staremo a vedere.
Lei parla di “terzo spazio” fra nazionalisti e neoliberisti, cioè i socialisti europei.
No, è più trasversale. Al parlamento europeo in questi anni siamo riusciti a riunire la parte di S&D di sinistra, i verdi e quella parte di Gue che non è per il ‘piano B’. Abbiamo ottenuto vittorie straordinarie, sul Trattato di Dublino, sull’attivazione dell’art.7 per l’Ungheria. Speravamo che diventasse l’embrione di un fronte comune. Le famiglie politiche però hanno fatto scelte diverse.
Il Pd eleggerà i suoi, le altre liste sono a rischio di quorum. Non è che questo ‘terzo spazio’ resterà vuoto?
È uno dei rischi di cui avvertivo i miei interlocutori. È sbagliato spaccare le piazze chiedendo loro se si sentono più ecologiste o più di sinistra, se difendono prima i diritti ambientali o quelli sociali. I tempi per costruire una convergenza sono maturi. Ma in troppi non l’hanno pensata così.
Qual è la principale ragione per cui questa convergenza non c’è stata?
Logiche identitarie, veti personali. I verdi italiani, non è un mistero, hanno fatto la scelta di non allargare il loro ragionamento alla sinistra. Avevano anche fatto un appello unitario, la sinistra ha risposto, ma la disponibilità non era reale. Non svelo segreti, lo hanno rivendicato.
Nel suo no al Pd c’è stata anche la paura di essere accusata di tradimento, un classico della sinistra radicale?
No, solo la paura di dividere un campo che ho sempre cercato di unire. Non volevo forzare nessuno a scelte che potevano essere evitate. Mi hanno scritto in tanti, con le idee più diverse. Molti mi sussurravano ‘vai comunque dove puoi continuare a fare il tuo lavoro’. Ringrazio tutti, ho raccolto in questi anni una preziosa trasversalità. È un valore in prospettiva, per questo ho voluto salvaguardarla. Da domani cercheremo di capire come costruire insieme quello che in tanti vogliamo.
Lei è bolognese, politicamente nasce prodiana. Le è costato dire no a Prodi in persona?
Prodi non ha chiamato per convincermi. Mi ha chiesto: che cosa vuoi fare? Abbiamo ragionato insieme. Lo ringrazio anche perché il mio percorso nasce quando in tanti ci siamo messi la maglietta ‘Siamo più di 101’. Ci avessero ascoltato, non avessero fatto quella scelta folle, oggi forse non ci sarebbe questo governo.
E ora che farà?
Non mi tiro indietro. Resto convinta che queste europee sono un bivio fondamentale. C’è da fare fronte al rigurgito nazionalista e fascista. La parte più bella di questi anni è stata scoprire che con tanti colleghi condividiamo le stesse battaglie. C’è molto da fare. Non mi fermo, il mio impegno si trasforma.
Per il dopo-europee Zingaretti propone «un’alternativa credibile» a questo governo. Risponderà questa proposta?
Bisognerà vedere sulla base di quali proposte concrete e quale percorso. Nessuno di noi può non guardare con interesse agli sviluppi futuri. Ma tutto il campo si deve interrogare sul perché in questi mesi abbiamo visto piazze spontanee, piene, a cui la politica si è aggiunta. Ma quella domanda di mobilitazione la politica ancora non riesce a raccoglierla.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 12 aprile 2019