Luigi De Magistris, beni comuni e opposizione al potere: prove pratiche di una nuova forza

12 Dicembre 2018 /

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di Loris Campetti
“Questo è il governo più di destra dell’Italia repubblicana”. Così la pensa il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, un uomo carismatico che ha dato troppo fastidio al potere come magistrato e continua a darne da sindaco di una delle città più belle e difficili d’Italia, l’unica realtà importante in cui viene rispettato l’esito di un referendum vinto con un plebiscito dal movimento dei beni comuni: l’acqua nella città partenopea è pubblica.
Il massimo della fedeltà alla Costituzione antifascista, è la linea di De Magistris, ma al tempo stesso disobbedienza civile contro leggi ingiuste come quella imposta da Salvini e ingoiata dal M5S “sulla sicurezza”. Una legge razzista che contraddice i dettami della legge fondamentale dello Stato, cosicché la disobbedienza è costituzionale. Il nuovo Masaniello, pur figlio della nobiltà napoletana, invita gli eroi delle navi della salvezza che solcano il Mediterraneo per raccogliere vite umane a “venire nel nostro porto, andrò io con le barche dei pescatori a raccogliere i naufraghi e vedremo se Salvini ci sparerà addosso”.
Nel buio politico italiano De Magistris lancia l’idea di un clic per accendere un lumino che dovrebbe diventare una luminaria capace di rendere visibili le mille esperienze democratiche che combattono la cultura dell’odio e della violenza, dai paesini dell’Aspromonte alle montagne friulane. Un compito ancor più difficile e ambizioso del governo di Napoli.

Un progetto che non sia la sommatoria di sconfitte e resistenze, dei partitini nati per partenogenesi dalla dissoluzione della sinistra radicale, bensì un moltiplicatore di pratiche sociali umane contro gli egoismi figli di un impasto puzzolente di neoliberismo e sovranismo xenofofo, esperienze di lotte e di vita per la difesa e, ormai, la riconquista dei diritti dal lavoro all’ambiente alla cittadinanza all’eguaglianza, comunità positive e ospitali prive però di rappresentanza e sponde politiche. Il Pd, parte e non soluzione del problema, è troppo impegnato in un rito autocentrato per decidere chi sarà il capo di un partito ridotto ai numeri che una volta aveva la nuova sinistra e capire se, quando e con chi Renzi farà ciao ciao con la manina per fondare il suo partito macroniano insieme a un pezzo di Forza Italia.
I 5 Stelle hanno “tradito” le aspettative popolari, dice De Magistris, facendo diventare maggioranza una minoranza infetta come la Lega che sta costruendo un sistema di apartheid con due livelli di diritto, uno per gli indigeni di pelle bianca con la pistola nel comodino e uno per rifugiati, nuovi italiani, richiedenti asilo, emigrati da guerre e fame. Se uno di questi cittadini di serie B ruba una scatoletta di tonno in un supermercato sarà rimandato a casa sua, ammesso che ce l’abbia e non multato come uno di serie A.
I rifugiati vengono espulsi dagli Sprar che li ospitava dove imparavano l’italiano e iniziavano l’integrazione e gettati in strada, per morire bruciati in una tendopoli o di fatica nei campi di pomodoro o entrare nelle maglie della criminalità. E la sicurezza salviniana alza la condanna per i blocchi stradali, tanto per arrestare il conflitto operaio e sociale. Questo governo, insiste De Magistris, sbarca in Calabria non per combattere la ‘ndrangheta che è la mafia più potente d’Europa – e la mafia come diceva Peppino Impastato è una montagna di merda – ma per arrestare e poi esiliare chi, come Mimmo Lucano, salvava paesi spopolati e povericristi riusciti ad attraversare il Mare Monstrum.
Una coalizione civica aperta. Questo promette De Magistris che sabato scorso ha riempito, dopo Napoli, Milano e altre città, un grande cinema romano di umanità varia, storie, esperienze, pratiche, ambientalisti contro le grandi opere ma per le opere sociali, occupanti di case, isole di eguaglianza in un terreno in cui le diseguagliane crescono. Femministe che riempiono strade e piazze in difesa di diritti fondamentali e di un’altra idea di relazioni umane.
Connettere queste realtà e aiutarle a camminare insieme, si può non essere minoritari di estrema sinistra se si entra in consonanza con i bisogni reali e non indotti da odio e paura, per questo le donne, gli studenti, i cittadini delle aree metropolitane, gli attivisti dell’accoglienza, i precari si riprendono la parola. E chi l’avrebbe detto che nel buio della democrazia la più grande organizzazione di sinistra, la Cgil, sarebbe stata guidata da un tipo come Maurizio Landini, come potrebbe accadere tra un mese? Ai rappresentanti di Si, Prc, l’Altra Europa per Tsipras presenti in aula e disponibili a entrare nel percorso tracciato da De Magistris non è stata data la parola, riservata alle esperienze di base con l’eccezione di Podemos (Iglesias ha inviato un saluto in video dall’Andalusia).
Potere al popolo non c’era proprio, come protesta per non poter prendere la parola come organizzazione politica ma solo attraverso le sue pratiche territoriali. Ce la farà De Magistris? Per aiutarlo bisognerebbe riempire il vuoto che c’è tra una lunga linea orizzontale di popolo e un vertice posto molto (troppo?) in alto. Resta il fatto che, per ora, questo progetto è l’unica testimonianza in vita sul versante politico. Probabilmente il nuovo soggetto avrà il suo battesimo alle europee dove De Magistris, se eletto, rinuncerà a Bruxelles per continuare il suo impegno partenopeo. Poi ci saranno le elezioni in Campania, ma l’obiettivo vero del sindaco che ha in tasca una sola tessera, quella partigiana dell’Anpi proprio come Maurizio Landini, punta più in alto. Addirittura a Palazzo Chigi, e lui non lo nega.

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