Elly Schlein: "Serve un nuovo fronte progressista ed ecologista"

7 Novembre 2018 /

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di Giacomo Russo Spena
Il video – in cui lei denuncia la Lega di fare mera propaganda e di aver disertato negli ultimi 2 anni tutte le riunioni europee per negoziare la riforma di Dublino – è diventato virale. Elly Schlein, europarlamentare in quota Possibile, si sta spendendo da tempo perché la questione migratoria diventi tema centrale dell’Unione Europea. Ma proprio la settimana scorsa ha attaccato duramente il Consiglio Europeo di immobilismo.
Elly Schlein, entriamo nel merito della sua denuncia. Dal tavolo di discussione sarebbe sparita la modifica della riforma di Dublino e saltato ogni possibile accordo di solidarietà interna. L’Unione Europea ha imboccato un vicolo cieco?
Sì, così si va verso la disgregazione. Sono due anni che i Governi europei hanno la proposta di riforma di Dublino sul tavolo, ed è vergognoso che non abbiano trovato alcun accordo, nemmeno a fronte dell’ambiziosa proposta di riforma votata dai due terzi del Parlamento europeo. Di fronte alle mie critiche, il presidente del Consiglio Europeo Tusk si è difeso dicendo che “il vero progresso è che ora al Consiglio europeo hanno capito che bisogna bloccare i flussi anziché redistribuirli.” Che è sostanzialmente la stessa posizione di Orban e Salvini.

Quest’establishment europeo con la sua inerzia e la mancanza di visione comune rischia di consegnare l’Unione nelle mani dell’Internazionale dei nazionalisti che avanza in molti Paesi. Gli egoismi nazionali tengono in ostaggio da tempo il progetto europeo, questo è particolarmente evidente sul tema migratorio, ma purtroppo vale anche su quello economico e fiscale.
Intanto il leader austriaco Kurz ed Orban, quelli che sarebbero gli alleati di Salvini, si oppongono al meccanismo di quote e innalzano muri contro quel che definiscono l'”invasione” dei migranti. Anche Macron da un lato chiede la riforma di Dublino dall’altra rispedisce di nascosto gli immigrati in Italia, come fossero pacchi…
Le contraddizioni dell’asse nazionalista sono evidenti, si troveranno da parti opposte dei muri che sognano, e così assistiamo allo spettacolo indecoroso per cui Seehofer vuole rimandare i migranti a Kurz, che vuole rimandarli ad Orban, che vuole se li tenga Salvini. Il quale, clamorosamente, rinuncia alla riforma di Dublino, fondamentale per l’Italia, per non scontentare i suoi nuovi amici. L’asse di Salvini con Orban è tutto a spese dell’Italia. C’é tanta ipocrisia anche in chi attacca le politiche inumane di Salvini, ma poi ai confini di Ventimiglia e Clavière respinge indiscriminatamente chi prova a passare in Francia, violando diritti fondamentali. Non c’è nessuna invasione, negli ultimi 12 mesi sono state presentate in tutta l’UE circa 591’000 richieste d’asilo, stiamo parlando dello 0,12% della popolazione europea.
Come se ne esce?
Se ne esce solo con risposte europee condivise, se si aprono vie legali e sicure di accesso a tutti i Paesi UE e se si riforma Dublino nella direzione già indicata dal Parlamento, cancellando il criterio del “primo paese d’ingresso” che ha lasciato le maggiori responsabilità sui Paesi ai confini caldi dell’UE, e sostituendolo con un meccanismo di ricollocamento automatico che valorizzi i legami significativi dei richiedenti asilo e obblighi ogni Paese europeo a fare la propria parte sull’accoglienza, a pena di conseguenze sui fondi strutturali. Se ne esce, quindi, se i governi capiscono che la loro incapacità di mettere in campo soluzioni comuni europee ha aperto la strada ai rigurgiti fascisti che vediamo in tanti Paesi. Per votare la riforma basterebbe la maggioranza qualificata: se Merkel e Macron non vogliono che il loro europeismo sia solo di facciata, la portino sul tavolo del Consiglio, perché è una riforma paradigmatica per dimostrare a cosa serve l’Unione. Ad affrontare insieme sfide che nessuno Stato può affrontare da solo.
È appena stata a Londra per l’evento “Europe for the Many” che ha visto la partecipazione di politici e attivisti progressisti di diversi Paesi europei contro la Brexit, cosa vi siete detti?
È stato un interessantissimo confronto coi ragazzi di “Another Europe is possible” che lottano contro la Brexit, i colleghi del Labour, e molti ospiti internazionali, a una settimana dalla mobilitazione che ha visto 650’000 persone nelle strade di Londra per chiedere un secondo referendum. Paradossale che secondo alcune ricerche i giovani nel Regno unito si sentano oggi più europei che non inglesi. Abbiamo parlato delle battaglie comuni con cui la sinistra europea deve fare fronte comune per ridisegnare il futuro europeo.
Passiamo al braccio di ferro tra Italia e Commissione Europea. Al di là del giudizio sulla manovra finanziaria, non crede siano insopportabili le ingerenze dell’Unione Europea? Come replica a chi ritiene che, innanzitutto, vada difesa la nostra sovranità?
In un mondo così interconnesso, in cui i poteri economici e finanziari, così come quelli criminali, si muovono agevolmente attraverso le frontiere, è del tutto illusorio pensare che i problemi si risolvano entro i ristretti confini nazionali. Le maggiori sfide su cui ci giochiamo il futuro delle nuove generazioni sono tutte europee e globali. Vale per quella migratoria, vale per la lotta all’evasione e l’elusione fiscale delle multinazionali che senza misure europee e globali di contrasto e trasparenza ottengono scandalose aliquote dello zero virgola rubandoci il futuro, vale per il contrasto ai cambiamenti climatici, ma anche per il contrasto alle diseguaglianze, con una forte dimensione sociale da dare all’Unione. Vale, infine, anche per la politica estera, dove l’incapacità di trovare una voce sola e forte ci condanna all’irrilevanza in uno scenario geopolitico inedito. La vera sfida, quindi, per ridare sovranità ai cittadini, è farlo al livello più adatto ad affrontare queste sfide, senza rinunciare all’Unione, ma democratizzandone profondamente l’impianto. Gli errori clamorosi fatti in questi anni nelle politiche economiche e sociali di risposta alla crisi, che hanno aumentato vorticosamente le diseguaglianze, non sono mai state scelte “tecniche” prese da burocrati senza volto, ma profondamente politiche, determinate dagli equilibri tra governi. Un’Unione a trazione intergovernativa finisce per far valere la legge del più forte. Democratizzare l’impianto vuol dire anzitutto rafforzare il Parlamento e dotarsi di strumenti necessari e democratici di governance economica e politica dell’eurozona per chiudere la stagione dell’austerità cieca.
Che ne pensa di quella sinistra che fa opposizione in nome dello spread, dei mercati e di Standard and Poor’s?
Che si autodefinisce sinistra, ma ha perso di vista la sua ragion d’essere e la sua missione, che risiede nel battersi per il progresso sociale partendo dalle fasce più fragili della società.
Opporsi a questo tragico governo aggrappandosi alle oscillazioni dello spread è sbagliato, anche perché il conto dell’inaffidabilità del governo lo pagano comunque i cittadini. Bisogna invece avanzare una critica di merito profonda a questa manovra che non è redistributiva ed è tutt’altro che espansiva, perché non fa investimenti in futuro, in ricerca e innovazione, ma fa le solite regalie elettorali di cortissimo respiro che non ridurranno le diseguaglianze (anzi con la flat tax mirano a privilegiare di nuovo chi è più ricco), non creeranno lavoro, né rilanceranno l’economia.
Varoufakis, in una recente conferenza stampa, ha spiegato la necessita di lavorare per un Terzo Spazio, sintetizzabile col motto: “Né con Roma né con Bruxelles”. Qual è la tua idea? Tra Maastricht e Visegrad, esiste davvero la possibilitàà di un’alternativa o, al momento, è irrealizzabile?
Ci siamo confrontati spesso con Varoufakis e Diem25 sul punto e credo anch’io che la gravita della situazione attuale ci chiami tutti ad una grande responsabilità politica: da alcuni anni chiedo ai colleghi delle sinistre europee e dei verdi di reagire all’Internazionale dei nazionalisti con un fronte progressista ed ecologista europeo, mettendo insieme coloro che non stanno né con l’establishment, che con politiche economiche e sociali scellerate ha aumentato le diseguaglianze e prodotto la crisi dell’Unione, né con chi propone il ritorno ai confini nazionali da destra o da sinistra. Il fronte progressista ed ecologista che serve, sia a livello europeo che italiano, è possibile eccome ed anzi esiste già. Al Parlamento europeo, quando coi colleghi del Progressive Caucus che riunisce deputati socialisti, verdi e della sinistra abbiamo condiviso battaglie, abbiamo ottenuto risultati straordinari condizionando la maggioranza, sia su Dublino che sul voto sull’Ungheria.
Attorno a queste battaglie comuni credo sia il momento di costruire un unico progetto: solidamente europeista, ma radicalmente critico sui devastanti errori di questi anni. Un progetto che punti a democratizzare l’impianto europeo, a ridurre le disuguaglianze e avviare una decisa transizione ecologica dell’economia.
Parliamo dell’opposizione che non c’è. Il Pd è riformabile? Da Zingaretti può rinascere un polo progressista nel Paese?
Anche se il PD pare fermo al 4 marzo, l’opposizione esiste eccome. E non mi riferisco tanto a noi, quante alle piazze gremite che abbiamo frequentato in questi mesi, da Catania a Milano, da Riace a Verona. Così come in chi nella pratica quotidiana resiste alla regressione sul piano dei diritti, a questo clima d’odio e anche di fronte alla criminalizzazione della solidarietà porta assistenza a chi soffre, sia nelle nostre strade che in mare, guardando ai bisogni senza curarsi del colore della pelle. Mi pare, dall’esterno, che la discussione sul congresso del PD non sia molto centrata su questo e su una profonda autocritica, ma più sui suoi tanti candidati. Soprattutto mi pare assurdo che ci sia chi pensa di fare opposizione a questo Governo rivendicando il Jobs Act e la linea Minniti, o addirittura di candidare Minniti a segretario. Significa non aver capito cos’è successo nel Paese e il 4 marzo.
Che altri movimenti politici reputi interessanti? Si vocifera dell’impegno giàà per le prossime europee di Luigi de Magistris. Qual è il suo giudizio?
Ci sono molte realtà in movimento, sia in politica che nella società. Fondamentale sarebbe provare a riallacciare i fili tra queste, cogliendo quella maggiore spinta alla mobilitazione che abbiamo visto in questi mesi. Credo sia necessario costruire un progetto comune insieme alle persone, attorno a proposte molto concrete sulle grandi sfide europee, da condividere con altri movimenti europei, come i Verdi e come Diem25, come Generations in Francia e Razem in Polonia, come En Comù Podem ed altri. Da mesi con Possibile parliamo con molte altre realtà con cui condividiamo battaglie importanti, per cercare di dare forma ad un fronte progressista ed ecologista almeno a livello italiano, e tracciare un orizzonte europeo, che metta insieme chi non sta né con l’establishment né coi nazionalisti. Quello che bisogna evitare è ripetere gli errori del passato, riproponendo semplici sommatorie di sigle e gruppi dirigenti, che non parlerebbero più a nessuno e che sono state già bocciate dal nostro mondo. La politica può mettersi con umiltà all’ascolto e a disposizione di quel che già si muove nella società.
Immagino vorrà continuare quel lavoro già iniziato a Bruxelles, il prossimo 26 maggio Elly Schlein sarà quindi candidata?
Non è ancora il momento di pensare alle candidature, ma di fare ogni sforzo per mettere in campo un progetto credibile ed innovativo, sia nei metodi che nei linguaggi, che nelle persone che lo rappresentano. Siamo l’unico Paese in cui, quando una classe dirigente fallisce, si cambia il simbolo del partito e non la classe dirigente. La situazione è talmente grave nel Paese e in Europa, che a sinistra bisogna smettere di perdere tempo e superare la tradizionale frammentazione e i personalismi: gli unici due confini sono quelli che dicevamo, chi non sta né con la scarpa del leghista né con le lettere di Bruxelles, e siamo tanti, oggi può costruire un’alternativa insieme.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega Online il 3 novembre 2018

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