La politica piegata a tutto

7 Agosto 2018 /

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di Alfonso Gianni
Ci si potrebbe domandare come mai un provvedimento così blando, come il decreto sul lavoro, abbia potuto incontrare tale e tanta opposizione dalle forze padronali, da trasformarsi da «Waterloo del precariato» in «tripudio dei voucher».
La politica e tantomeno l’economia non spiegano tutto. È forse il caso di rivolgersi anche alla psicologia cognitiva. Recentemente la prestigiosa rivista Science ha pubblicato un originale studio partendo dalla seguente domanda: «come definireste un puntino blu?». Ai partecipanti all’esperimento sono stati mostrati centinaia di puntini il cui colore variava dalle tonalità del viola a quelle del blu scurissimo. Ognuno doveva riconoscere il puntino blu. Diminuendo il numero dei medesimi le stesse persone al contrario dichiaravano l’esistenza di un numero maggiore di puntini blu.
In sostanza tendevano a classificare come blu ciò che non lo era. Un fenomeno di concept creep, di estensione strisciante del concetto. Ovvero meno punti blu ci sono più se ne vedono. Il fenomeno pare tanto più evidente quando l’elemento che viene diminuito ha per gli osservatori una valenza negativa.
Se ora sostituissimo ai puntini blu i diritti dei lavoratori – e non è la sola analogia in campo sociale che si potrebbe fare, si pensi al tema dei migranti ad esempio – e scegliessimo tra i partecipanti all’esperimento prevalentemente datori di lavoro e loro sostenitori, otterremmo che più si diminuiscono i diritti e più quei pochi che sopravvivono diventano un problema insopportabile, ben al di là della loro reale consistenza. È esattamente il processo cui abbiamo assistito in queste settimane.

Contro il titubante e pasticciato decreto Di Maio si è scatenata una canea reazionaria impressionante, di cui il giornale della Confindustria ha dato accurato e quotidiano spazio, a dimostrazione che la linea di tolleranza verso i diritti minimali nel mondo del lavoro ha subito un repentino e violento arretramento. Ed è questo il frutto avvelenato di poche settimane di governo fasciostellato. Che del resto ha trovato ben scarsa opposizione davanti a sé. Sia per la preponderanza dei numeri, sia per la modesta consistenza qualitativa di quest’ultima.
Anzi, se questo governo ha potuto sfondare sui voucher è perché Gentiloni cancellò con il famoso decreto il referendum abrogativo. Così non fosse stato e se quel referendum che aveva più che ottime probabilità di successo si fosse tenuto, non sarebbe stato possibile, o quantomeno assai più dubbio, riproporre di lì a poco la stessa normativa.
Non bastano le cifre fornite l’altro ieri dall’Istat che certificano a giugno lo splafonamento per più di centomila unità del tetto di tre milioni di contratti a termine, né la crescita della disoccupazione generale ufficiale (quasi all’11%) inferiore di almeno due punti a quella reale, neppure di quella giovanile (al 32,6%), né di un tasso di occupazione tra i più bassi in Europa, a fronte di 18 miliardi di euro gettati negli ingranaggi mangiasoldi delle imprese.
A tutto ciò si aggiunge il rapporto Svimez di ieri, che ci dà il senso pieno della drammaticità della condizione del nostro Mezzogiorno. Nel 2019 è previsto un forte rallentamento dell’economia meridionale: se il Nord può sperare in un incremento del Pil di appena l’1,2%, il Sud non andrà oltre lo 0,7. Il nostro Sud non è tutto uguale, ma le regioni che stavano male vanno ancora peggio.
Gli investimenti fissi lordi si sono fermati e la spesa pubblica in dieci anni è scesa al Sud del 7,1%. La desertificazione dell’ attività economica e della vita civile.
Nel 2017 ci sono stati meno nati, i giovani se possono scappano, in 16 anni se ne sono andati 1 milione e 883mila residenti. La povertà cresce, chi lavora è un working poor, perché le retribuzioni fanno schifo e il precariato dilagante le peggiora.
Sui voucher Adriano Giannola, presidente dello Svimez, a domanda risponde che questi strumenti al Sud non fanno che aggravare la situazione «Non è cambiando le modalità contrattuali che si crea lavoro». Ma questo non trattiene il M5stelle dal sostenerli, malgrado la prevalenza meridionale del proprio elettorato, mentre Salvini si fa bello con le imprese del Nord (e non solo). Infatti l’obiettivo del governo è ben altro. Non unicamente quello di seppellire nuovamente l’articolo 18 (l’emendamento è stato respinto dalla maggioranza).
Che motivo ci sarebbe infatti ad estendere i voucher anche al turismo dal momento che in quel settore le norme contrattuali prevedono già una gamma ampia di flessibilità? Uno solo: i voucher sono il piede di porco per fare saltare il contratto nazionale di lavoro, obiettivo perseguito da anni da parte del nostro padronato che con questo governo spera di portarlo a casa. Vogliono un paese no union, malgrado la moderazione dei nostri sindacati. Altro che governo di destra che fa cose di sinistra.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 2 agosto 2018

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