Contratto a termine: cosa dice la legge?

2 Luglio 2018 /

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di Sergio Palombarini
Secondo la legge, in linea di principio, quando si stipula un contratto di lavoro, la prestazione dovrebbe essere a tempo indeterminato, ma in alcuni casi è possibile che venga posta una scadenza. Si parla quindi di contratto a termine o contratto a tempo determinato. Fino agli anni 2000 la possibilità di stipulare questo tipo di contratti era molto limitata poi, col tempo, la legge ha reso sempre più semplice il ricorso al contratto a termine, eliminando molte barriere e rendendo questa tipologia contrattuale più flessibile e conveniente per le aziende.
Cenni normativi
La norma che regolava il contratto a termine fino al 2001 era la Legge 230/1962 che prevedeva questa tipologia contrattuale solo in alcuni casi tassativi. Poi, a partire dal Decreto Legislativo 368/2001 e norme successive, fino ad arrivare al Decreto Legislativo 81/2015 (uno dei decreti emessi nell’ambito del Jobs Act), la disciplina in materia è stata modificata radicalmente, favorendo sempre di più il ricorso a questo tipo di contratto.
Fino a qualche anno fa, infatti, la scelta di stipulare un contratto a termine doveva essere giustificata da motivi di tipo tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo. Oggi, invece, la legge non prevede esplicitamente che ci debba essere una giustificazione, quindi il ricorso ad un contratto a tempo determinato è molto più facile che in passato. Vediamo ora quali sono gli aspetti più importanti relativi ai contratti a tempo determinato, sanciti dalla legge ad oggi. Infatti, il programma del nuovo Governo da poco insediato potrebbe portare con sé novità importanti in materia.

Durata massima del contratto a termine e proroghe
Secondo il D.lgs 81/2015 il contratto a termine deve avere una durata massima complessiva di 36 mesi, e vale per tutti i contratti tranne quelli per il lavoro stagionale e salvo le disposizioni previste dai contratti collettivi di alcune categorie. La legge però non stabilisce una durata minima.
Se il contratto supera il limite di 36 mesi (cioè 3 anni) o se vengono stipulati altri contratti a tempo determinato successivi che comportano il superamento della soglia, il contratto a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indeterminato, che scatta a partire dal giorno in cui è avvenuto il superamento del termine fissato dalla legge.
Sono previste delle deroghe?
Sì, è possibile prorogare il termine oltre i 36 mesi stipulando un altro contratto a tempo determinato purché:

  • 1) non duri più di 12 mesi;
  • 2) venga stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente.

Se queste due condizioni non sono rispettate, il contratto diventa a tempo indeterminato a partire dalla data in cui è stato stipulato. Fino al 2001 la legge ammetteva una sola proroga. Oggi, invece, con il Jobs Act sono possibili fino a 5 proroghe, ma a queste condizioni:

  • 1) il lavoratore deve dare il suo consenso;
  • 2) la durata iniziale del contratto non deve superare i 36 mesi;
  • 3) le proroghe non possono essere più di 5, ma non è più necessario che ogni proroga faccia riferimento alla stessa attività per cui era stato stipulato il contratto a temine.

Il termine deve essere fissato per iscritto
Se le due parti si accordano per un tempo determinato, il termine deve essere fissato per iscritto, altrimenti non è efficace. Questa condizione è valida per tutti i contratti a termine tranne quelli che prevedono un rapporto di lavoro non superiore a 12 giorni. In ogni caso il datore di lavoro deve consegnare copia dell’atto scritto al lavoratore entro 5 giorni dall’inizio della prestazione.
Se si supera il termine concordato, la trasformazione in contratto a tempo indeterminato non è sempre automatica. Salvo il superamento della soglia di legge, cioè 36 mesi, per cui il passaggio all’indeterminato è automatico, con il Jobs Act, se il rapporto di lavoro prosegue dopo la scadenza fissata da contratto, la trasformazione da contratto a tempo determinato a indeterminato non avviene automaticamente. Stiamo parlando quindi dei contratti che hanno una durata inferiore ai 36 mesi.
Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.
A quanto ammonta il risarcimento?
Fermi i limiti di durata massima dei 36 mesi, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore.
Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qual è la differenza fra i contratti che durano meno di 6 mesi e quelli di durata superiore o pari a 6 mesi?
Le legge stabilisce che se il contratto a termine aveva una durata inferiore a 6 mesi, la conversione in contratto a tempo indeterminato scatta se il rapporto di lavoro è proseguito oltre il trentesimo giorno dopo la scadenza. Se invece il contratto a termine aveva una durata pari o superiore a 6 mesi, la conversione in contratto a tempo indeterminato avviene se il rapporto è proseguito oltre il cinquantesimo giorno dopo la scadenza.
Il limite del 20% e le sue eccezioni
Quanti lavoratori a termine è possibile assumere? Secondo la legge, il numero complessivo di rapporti di lavoro a tempo determinato non può superare il limite del 20% del numero di lavoratori a tempo indeterminato presenti in azienda, ma con alcune eccezioni, cioè quando:

  • il datore di lavoro ha fino 5 dipendenti;
  • l’attività è stata appena avviata o si tratta di una start-up innovativa;
  • l’assunzione di nuovo personale serve a sostituire personale in maternità, malattia, aspettativa ecc.;
  • l’assunzione riguarda un lavoro stagionale o lavori specifici (spettacoli, programmi radiofonici o televisivi);
  • l’assunzione riguarda lavoratori con più di 50 anni;
  • l’assunzione riguarda contratti a termine stipulati tra istituti di ricerca e tecnici o ricercatori.

Se il limite del 20% viene violato, il contratto a termine non viene trasformato in contratto a tempo indeterminato, ma al datore di lavoro viene comminata una sanzione amministrativa.
Licenziamento e dimissioni nel contratto a termine
Un lavoratore a termine può essere licenziato? Sì. Anche se il contratto ha una scadenza prefissata, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore. Ma le tutele previste per il lavoratore a tempo determinato sono molto minori rispetto a quelle riconosciute a chi ha un tempo indeterminato. Se il licenziamento è illegittimo, infatti, il lavoratore a termine non può chiedere di essere reintegrato, ma può solo rivolgersi al tribunale perché il datore di lavoro venga condannato ad un risarcimento danni.
Analogamente, il lavoratore a termine che dà le dimissioni per giusta causa può solo chiedere il risarcimento del danno. Se invece le dimissioni non sono per giusta causa (per esempio perché ha trovato un altro lavoro) il lavoratore dovrà accordarsi col datore di lavoro per concludere consensualmente la collaborazione, ma se non lo fa, sarà il prestatore a dover risarcire il danno alla controparte.

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