Schedature etniche: perché non possiamo tacere (e dobbiamo firmare)

29 Giugno 2018 /

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la petizione su Change.org
Al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Riteniamo opportuno, in quanto membri della società civile, consegnare queste nostre riflessioni alle massime cariche dello Stato. Il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, il 18 giugno scorso ha dichiarato:

Al Ministero mi sto facendo preparare un dossier sulla questione rom in Italia […] Una ricognizione della situazione rom in Italia per vedere chi come e quanti […] Vedremo di capire come intervenire rifacendo quello che all’epoca fu chiamato censimento – apriti cielo, e chiamiamola l’anagrafe, chiamiamola una situazione, una fotografia – per capire di cosa stiamo parlando. Sull’espulsione stiamo lavorando, anche con un collega ministro, sull’espulsione dei detenuti stranieri che sono in Italia […] E poi i rom italiani, eh, purtroppo te li devi tenere in Italia perché non li puoi espellere.

Rom e sinti non vivono soltanto in accampamenti e non sono identificabili a partire dall’appartenenza etnica. Hanno documenti d’identità che li identificano come cittadini italiani o di altri paesi (la condizione di apolide non appartiene che a circa il 10% dei rom provenienti dall’ex-Jugoslavia), e sono soggetti alle leggi cui sono soggetti gli altri cittadini italiani e gli altri stranieri, e godono degli stessi diritti.
L’intenzione di censire o di schedare rom e sinti, dunque, è inutile e inattuabile: ha funzione meramente propagandistica e giova a istituire il principio che si possono certificare differenze basate sull’appartenenza etnica. Il che in Italia non è consentito, dal momento che viola apertamente il dettato della Costituzione (art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”).

Viola anche gli articoli 8 (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e 14 (“Divieto di discriminazione: Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”) della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (https://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf), oltre che la Direttiva europea relativa alla tutela della vita privata dei cittadini, che vieta il “trattamento di dati che rivelino l’origine razziale o etnica” (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/LSU/?uri=celex:32001R0045).
Il censimento del 2009 – quello voluto da Maroni, cui fa riferimento Salvini, fu bloccato dalle critiche dell’Unione Europea e dell’ONU. Quando delle parziali schedature sono state intraprese, il Consiglio di Stato ha condannato il Governo a risarcire gli schedati. Nel 2013 il Tribunale di Roma ha riconosciuto un risarcimento di ottomila euro a un cittadino che era stato schedato nel piano emergenza nomadi del 2010 (https://www.internazionale.it/bloc-notes/2018/06/19/censimento-rom).
Dunque, una volta affermata un’intenzione inattuabile e ingiustificabile, il Ministro dell’interno ha corretto il tiro, anche sotto la pressione delle innumerevoli critiche ricevute:

Non è nostra intenzione schedare o prendere le impronte digitali a nessuno, nostro obiettivo è una ricognizione della situazione dei campi rom. Intendiamo tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai quali non è permesso frequentare la scuola regolarmente perché si preferisce introdurli alla delinquenza.

Ma i dati sugli insediamenti, regolari e irregolari, esistono già, e sono già in possesso degli Enti locali, delle Prefetture, del Ministero dell’Interno. Certo, riguardano la natura degli insediamenti, il numero di persone che ci vivono, il paese di provenienza: non l’etnia di appartenenza (che può essere presa in considerazione in studi sociologici, antropologici, linguistici, ma non può certo determinare schedature di qualsivoglia natura). Dunque la questione rimane invariata: non si capisce su quali basi si possano distinguere i “campi rom” da altri “campi” (ad esempio tendopoli o gruppi di baracche di operai, di braccianti agricoli o di altri senza casa, italiani o stranieri che siano) senza operare distinzioni e discriminazioni su base etnica. Il che sarebbe contrario, ancora una volta, al dettato della Costituzione italiana, a quello della Convenzione europea i Diritti dell’Uomo e della citata Direttiva europea.
Il Ministro dell’interno ha dovuto dunque aggiungere:

Vorrei sottolineare che [i censimenti] non sono di carattere etnico: la razza non m’interessa. Nei campi possono vivere anche esquimesi, finlandesi, controllerei lo stesso che siano in regola, che portino i figli a scuola.

E ancora:

Questa del censimento nei campi rom non è una priorità, quella è la sicurezza, i migranti.

E dopo:

Qualcuno parla di “shock”. Perché? Io penso anche a quei poveri bambini educati al furto.

Era largamente prevedibile – ed evidentemente prevista dal Ministro Salvini – la necessità di un ridimensionamento delle affermazioni iniziali, continuamente negate e riaffermate, in un continuo zigzagare tra riferimenti espliciti all’appartenenza etnica e negazioni di quegli espliciti riferimenti: i rom e sinti che non portano i figli a scuola – affermazione che non è dato sapere da quali dati è sostenuta – e pertanto vanno censiti; i rom italiani che “purtroppo te li devi tenere in Italia perché non li puoi espellere”, contraddetta dall’affermazione che nei “campi possono vivere anche esquimesi, finlandesi”. Esquimesi (qualunque cosa siano) o finlandesi, si badi bene: cioè gente che notoriamente non vive in Italia in accampamenti; non altri senzatetto, stranieri o italiani, che in accampamenti ci vivono eccome; a ribadire che di zingari sta parlando, e non di altri. Si tratta chiaramente di dichiarazioni estreme, formulate sempre ammiccando ai propri sostenitori, cercando consenso su temi e per ragioni che restano in qualche modo e misura sottaciuti, sottintesi.
Il messaggio è chiaramente il seguente: gli zingari andrebbero espulsi dal nostro paese, oppure, quando non è possibile perché sono italiani, andrebbero trattati in modo diverso dagli altri cittadini, quanto meno schedandoli e sottoponendoli a controlli, a partire dalla loro appartenenza etnica, e a prescindere dalle eventuali azioni illegali degli individui (ovviamente, anche l’attribuzione di capacità delinquenziale a categorie di cittadini, invece che a singoli individui, è assolutamente inammissibile). E anzi, di più: si attribuiscono, assai esplicitamente, i comportamenti illegali a intere comunità, a partire dall’appartenenza etnica. La sola frase “i rom italiani purtroppo te li devi tenere in Italia perché non li puoi espellere” è sufficiente: una parte dei cittadini italiani, uguali sotto il profilo giuridico, dei diritti e dei doveri a tutti gli altri, sono discriminati a partire dalla loro appartenenza etnica dal loro Ministro dell’interno. Sanno, perché costui lo ha affermato pubblicamente, che non saranno trattati come tutti gli altri, perché sono rom. I bambini rom e sinti, la grandissima maggioranza dei quali a scuola ci va, dovranno imparare che loro per lo Stato italiano non sono cittadini uguali agli altri.
Le dichiarazioni del Ministro Salvini sono apertamente discriminatorie: nulla le giustifica; anzi, molti argomenti militano esattamente in senso inverso (persino, i citati aggravi economici, in termini risarcitori, a carico dello Stato). Un trattamento differenziato per taluni cittadini (rom, sinti o altri) non è ammissibile da parte di nessuno e, è persino superfluo sottolinearlo, meno che mai da parte del Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana.
Per la prima volta dall’abrogazione delle leggi razziali, il 20 gennaio 1944, una persona che svolge un ruolo istituzionale in Italia fa, nell’esercizio delle proprie funzioni, dichiarazioni di contenuto così manifestamente contrario ai principi basilari della nostra società e della nostra Costituzione Repubblicana.
Questi fatti – al di là delle smentite, delle conferme, delle correzioni, delle nuove affermazioni, delle rinnovate smentite, insomma di quello strumentale “dichiara e smentisci” cui ci stiamo abituando – sono di una gravità enorme.
È vero che si assiste alla quotidiana degenerazione della dialettica politica con il crescente uso di dichiarazioni plateali per conquistare consensi, ma ciò non può sottrarre al dovere di mantenere salda e costante l’attenzione sui valori basilari della civiltà e dell’ordinamento italiani ed europei, e di operare una sorveglianza attiva sul ruolo, il comportamento, le iniziative ammissibili e consentiti a chi ricopre importanti ruoli istituzionali.
Per questa ragione, e a difesa delle nostre istituzioni, delle nostre leggi, dei fondamenti della Repubblica e della Comunità Europea, riteniamo di esternare alle più alte Cariche dello Stato il nostro profondo dissenso e la nostra forte riprovazione per tali dichiarazioni e condotte, anche affinché, nell’esercizio delle Loro prerogative e a tutela dei valori fondanti della nostra Repubblica e della Carta Costituzionale, nonché dei principi sanciti dalla Comunità Europea, adottino le iniziative più opportune.

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